Dio nel presepe ha sei miliardi di volti

Originale messaggio natalizio del Presidente della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche

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di Eugenio Fizzotti

ROMA, mercoledì, 21 dicembre (ZENIT.org).- «Quest’anno il mio Presepe è ancora vuoto. C’è il paesaggio, il fiume, il cielo e la grotta con la natività, e  nient’altro. Non è esattamente vuoto, più che altro è spopolato. Non ci sono i pastori, gli zampognari, le pecorelle, gli angeli. Solo un paesaggio e un bambino con la sua famiglia.

Un vuoto da riempire:  troppo silenzio, troppa solitudine. E non ho più i pastori, li avrò smarriti ? chissà…;  e, allora, quest’anno decido io chi mettere nel mio presepe, davanti a quella grotta, in cammino verso quel neonato». Inizia così il messaggio che D. Mimmo Battaglia, Presidente della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche ha inviato a tutti gli operatori sociali delle Comunità che ospitano migliaia di giovani che, essendo scivolati nel vuoto esistenziale attraverso l’uso e l’abuso di droghe, recuperano la loro identità e il loro progressivo reinserimento nella società vivendo l’esperienza straordinaria della comunione e della condivisione.

Partendo dalla sua ormai pluridecennale esperienza, D. Mimmo riconosce nel suo messaggio che i volti dei tanti giovani che ha incontrato «hanno fame, hanno sete, sono volti nudi, volti forestieri, volti malati, carcerati» e volentieri vorrebbe che avessero questi volti i personaggi da collocare nel presepe attorno alla stalla, escludendo però «i  volti dei potenti:  volti  sicuri, forti, vincenti che non si metterebbero in cammino. Ricordate Erode? So bene che in questo mondo comandano i più forti, che Erode siede sempre su un trono di morti, che la vita è avventura e pericoli, di strade e di esilio, ma so che dietro a questo c’è un filo rosso il cui capo è saldo nelle mani di Dio. So che il denaro comanda, ma so anche che non è il denaro il senso delle cose».

E allora per arricchire di numerosi e significativi personaggi il suo presepe D. Mimmo dichiara di volerci mettere «quel volto che ha fame, Caterina, una mamma che ha perso il lavoro. Porta in braccio e per la mano i suoi figli, da sfamare con i pacchi del banco alimentare, da mandare a scuola, vestire, in cammino verso quel bambino che piange per la fame, verso quell’altra mamma che deve dare da mangiare». E accanto a lei pensa di mettere «il volto di chi ha sete, Steven, ugandese di sette anni che ogni giorno fa cinque chilometri a piedi: la strada dal suo villaggio al pozzo più vicino, portando taniche gialle sulle strade di polvere rossa, che è l’acqua, quella buona, l’hanno presa gli europei per annaffiare le loro piante di the. In cammino anche qui con le sue taniche, nel mio presepe, verso quel bambino che sarà acqua viva, che smorza la sua sete con le sue lacrime».

Con coraggio ed entusiasmo prosegue nel descrivere i possibili personaggi del suo presepe tra cui ci potrebbe essere «Marja, che passeggia di notte, piena di timore, sui viali di Bologna come un tempo passeggiava spensierata per le strade di Tirana. Nuda, per vendere un corpo che non le appartiene più, schiava;  nuda della propria dignità di donna e di madre, della propria libertà. Nuda per il piacere di uomini, nuda per il guadagno di altri uomini. Nel mio presepe sta in una strada migliore, che la porta verso una casa, a ritrovare sogni e speranze nella famiglia che non ha, dove l’uomo è un  padre giusto, un falegname, un uomo nuovo che conosce l’amore e la dolcezza. E, soprattutto, il rispetto della dignità, e la tenerezza di una madre che le  restituisce il senso della sua vita».

E riconoscendo che sono numerosi coloro che provengono da paesi esteri decide di mettere nel suo presepe «un forestiero di nome Marco, italiano, che è emigrato a Londra perché il  laboratorio in cui faceva ricerca non lo pagava più. Paga un affitto sempre troppo caro e il prezzo di una nostalgia scavata nel cuore. Non c’è una mattina in cui non scopra l’amarezza di svegliarsi lontano dalla sua casa, dai suoi amici, dai suoi fratelli, dalla sua ragazza. Come ogni altro straniero qui in Italia! Porta verso quella grotta la sua vecchia borsa piena di sogni e  un curriculum non letto».

E consapevole del compito importante e urgente di sostenere i disagiati nel loro cammino di recupero del senso della vita, D. Mimmo scrive che «sulla sua carrozzina, nel mio presepe, ci metto  il volto di Maurizio. Ma ci vuole qualcuno che spinga la carrozzina, così scelgo il volto di Francesco, un ragazzo sieropositivo. Maurizio che ha accettato con dignità la sua malattia, Francesco che non si rassegna e vuole riempire di senso il tempo che gli è dato.  Si spingono a vicenda verso quella grotta, l’uno con le braccia, l’altro con l’anima. Attraversano dolori e giudizi, paure ed esclusioni, superano insieme barriere architettoniche e pregiudizi per raggiungere il tenero sguardo di quel bambino, per abbandonarsi tra le sue piccole braccia , per specchiare i loro mali nella sua santità. Perché c’è qualcosa di Dio in ogni uomo, c’è santità in ogni vita.

E riconoscendo che sono molti coloro che hanno commesso azioni criminali e subiscono condanne, dichiara di voler mettere nel presepe «anche il volto di Giovanni, sedici anni e una condanna di omicidio sulle spalle. Giovanni che si porta appresso il suo dolore tra carceri e tribunali, che un giorno ha voluto liberare la sua famiglia dal mostro che la divorava, Giovanni che sa che deve pagare per questo. Giovanni che ha attraversato l’inferno ed ora è solo con il suo passato e fantasmi troppo ingombranti da far tacere. Che cerca in quella grotta una via per sentirsi ancora libero, ancora vivo. Che cerca da quel bambino il perdono che nessun altro può dargli».

Sarà veramente bello il presepe se i suoi personaggi indicano le situazioni di povertà e di sofferenza che caratterizzano la nostra epoca culturale. Ovviamente, accanto ad essi è opportuno collocare anche gli angeli che «Dio invia dentro l’umile via del sogno, e non per risparmiare ai suoi il deserto o l’esilio, ma perché non si arrendano in mezzo al deserto, non si rassegnino all’esilio». E si tratta di «angeli veri, donne e uomini benedetti dal Padre nostro, quelli che danno da mangiare, da bere, che visitano, lottano per i diritti e la dignità. Quelli che amano. I volontari che curano le mense, quelli che costruiscono pozzi e legami d’amicizia, quelli che si prendono cura, che portano coperte e pane sulle strade delle metropoli e sulle spiagge di Lampedusa, i medici che lasciano i loro poliambulatori nuovi di zecca per curare malati senza diritti e senza soldi in ospedali di guerra, quelli che amano la pace, che vivono con dignità, che sono fedeli alla propria vocazione nella storia, quelli che non scendono a compromessi, che non si vendono per nessun piatto di lenticchie. Quelli che ci sono sempre»

Il tal modo il presepe ipotizzato da D. Mimmo Battaglia consente di scoprire «un’umanità bella, di donne , uomini e bambini senza risposte e senza certezze, un’umanità provata ma viva che non può fare altro che abbandonarsi al mistero, cercare la Verità e la Vita nella luce di una stalla, tenue ma molto più luminosa di ogni  illusione umana, e scaldarsi al fuoco della Speranza». Ed è su quella luce che, in questo  Natale, D. Mimmo invita tutti a fissare il proprio cuore e da lì ripartire per collaborare attivamente al rinnovamento della società e alla rievangelizzazione della stupenda e significativa parola di Dio, fonte di serenità, di pace e di giustizia!

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ZENIT Staff

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