di Eugenio Fizzotti
ROMA, sabato, 17 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Non per fare una festa, ma per avviare una seria riflessione, nata dal fatto che fu a partire dall’11 gennaio 1981 che ebbe inizio a Firenze l’attività dei 44 Centri della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche (FICT), mercoledì 14 dicembre 2011 si sono riuniti ben 150 operatori, provenienti da tutt’Italia, che hanno vissuto due momenti particolarmente significativi. Il primo è consistito nella partecipazione nell’Aula Paolo VI all’Udienza generale del Papa Benedetto XVI che li ha affettuosamente salutati, mentre il Presidente, Don Mimmo Battaglia, e il suo predecessore, D. Egidio Smacchia, hanno avuto il privilegio di salutare personalmente il Pontefice che li ha ringraziati per il servizio pastorale che animano e li ha incoraggiati a proseguire con sempre maggiore impegno.
Il secondo momento della giornata ha visto riuniti tutti i 150 rappresentanti nella Sala Conferenze Unicef per una tavola rotonda sul tema “Crisi e nuove povertà: non sempre i poveri li avrete con voi”, finalizzata ad approfondire, come si è espresso D. Mimmo Battaglia, che «la forbice tra ricchi e poveri è ogni giorno più larga, e nel mezzo sono ormai tantissime le persone “vulnerabili” e “fragili”, famiglie che camminano pericolosamente sulla soglia della povertà, rischiando quotidianamente di cadervi dentro». E riconoscendo che «i nostri stessi operatori ormai troppe volte si trovano a dover fare i conti con l’esiguità delle risorse investite sul loro servizio e sugli indegni ritardi nell’erogazione dei finanziamenti per questi servizi», D. Mimmo ha ritenuto opportuno sottolineare che «in questo contesto si ritiene fondamentale che la Federazione esprima il proprio pensiero, forte delle esperienze dei suoi Centri che, radicati sull’intero territorio nazionale, rappresentano le antenne dei bisogni, ma anche le avanguardie della sofferenza. Sono tantissimi infatti i gruppi che stanno lottando drammaticamente per la sopravvivenza che non riguarda ovviamente solo i servizi, certamente importanti, ma la stessa idea di Progetto Uomo, con tutti i valori etici e morali che porta con sé». Ecco perché la Federazione in tutt’Italia continua a battersi per i diritti di tutti, «per un modello di welfare dove le politiche sociali e sanitarie devono avere riguardo prima di tutto dei più fragili e dei più deboli».
Ampio riconoscimento ha in Italia la FICT per l’impegno delicato e seriamente sostenuto dalla qualifica degli operatori che, come ha evidenziato D. Mimmo Battaglia, da trenta anni lotta «contro lo stigma della tossicodipendenza per vizio, contro le sterili ideologie sui modelli di intervento, contro la sostanza posta al centro a scapito dell’uomo, contro i profeti della guarigione e gli arroganti della cronicità. Ma, in realtà, sono stati trenta anni durante i quali abbiamo soprattutto lavorato per la dignità di ogni uomo, per la libertà intesa come diritto inviolabile di ogni cittadino, per il riconoscimento pieno del principio di sussidiarietà, per il rispetto della vita umana intesa nella sua dimensione più completa».
Tra i fattori che suscitano perplessità e incertezze negli operatori delle Comunità terapeutiche, che sono psicologi, educatori e assistenti sociali, emerge «il rarefarsi delle risorse, la mancanza di fondi delle pubbliche amministrazioni, gli stipendi non pagati, l’impoverimento del sistema a fronte di bisogni crescenti a causa di un disagio che nasce da una povertà economica sempre più diffusa», il che vuol dire che, nonostante si operi in uno stato sociale, giusto e trasparente, nel quale il pubblico e il privato svolgono in collaborazione la loro funzione, la povertà sembra essere “tornata di moda” e i “nuovi poveri”, di cui si parla diffusamente nei convegni, nei seminari e persino nelle trasmissioni televisive, per D. Mimmo Battaglia «inquietano un po’ di più. Sono italiani intanto, come noi. E poi sono poveri perché lo sono diventati, prima erano uguali a noi. Sono un monito, una minaccia, un avvertimento: il prossimo potresti essere tu! Vivono tra noi, come il titolo di un vecchio racconto dell’orrore e, allo stesso modo, ci fanno paura. Sembrano dirci: attenti, la vostra azienda potrebbe chiudere, i vostri figli e fratelli non troveranno un lavoro, i servizi sociali non vi aiuteranno, non hanno fondi e personale, la vostra banca potrebbe fallire: è già successo negli Stati Uniti! E come nel racconto dell’orrore sembrano moltiplicarsi, come un contagio, assediando le nostre sicurezze con l’inquietudine e il timore di una possibilità».
Come conseguenza tragica di tale lettura della realtà sociale è emerso nel corso del dibattito che, pur continuando ad esserci i poveri, risulta difficile stare dalla loro parte perché spesso si è accecati da un bisogno costante di sicurezza e perciò si costruiscono muri, cancelli e sistemi d’allarme. Eppure, l’amore sincero per l’umanità, che caratterizza in modo ampiamente riconosciuto il servizio offerto dalle Comunità terapeutiche, deve superare la tentazione di voler incasellare i poveri e suddividerli nelle categorie dei disoccupati, dei carcerati, delle ragazze-madri, dei tossici, degli immigrati… e riconoscere con estrema sincerità che essi sono uno specchio possibile, perché «mettono in discussione persino il nostro modo di essere e fare il “sociale”, il nostro avere a che fare con il potere per preferire l’organizzazione alla mission, facendo sì che la povertà entri nelle nostre fibre, nel nostro cuore, faccia parte del nostro sangue».
Occorre allora scegliere la “sorella povertà”, amarla ed esserle fedeli ogni giorno, perché «solo quando entrerà davvero non nelle nostre buone coscienze o nelle nostre ideologie politiche, ma nelle nostre vite, solo allora potrà essere la strada che indica la salvezza alla nostra storia umana ed a quella del mondo che viviamo». E questo si realizza attraverso il profondo e autentico riconoscimento dell’appartenenza alla Chiesa cattolica che favorisce l’impegno ad amare e a far provare l’essere amati in un contesto di sincera e sistematica relazione umana.