Uniti nella preghiera per i defunti

In Cristo la fragranza di una eterna primavera

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di padre Mario Piatti icms

ROMA, venerdì, 28 ottobre 2011 (ZENIT.org) – “Mille anni ante oculos tuos tamquam dies hesterna, quae praeteriit” (ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri, che è trascorso. Salmo 89).Tutto trascorre e scivola via per sempre, lasciando solo le vestigia delle epoche precedenti, con i loro monumenti e la testimonianza di un mondo che non esiste più, se non nella faticosa ricostruzione dei posteri.

Tutto passa, tutto scorre, tutto fluisce, apparentemente verso il nulla, da cui tutto è emerso. Mille anni sono come un giorno… Noi viviamo nella perenne illusione che tutto proceda senza fine, senza battute di arresto; che il nostro orizzonte quotidiano, popolato dagli stessi volti rassicuranti e sostenuto da incrollabili certezze, non finisca mai e che la vita prosegua, salda e sicura, per sempre.

Ma non è così. Il “conto alla rovescia”, anche per chi ha posto ciecamente la sua fiducia nelle cose del mondo, non tarda a profilarsi, generando immancabilmente delusione, amarezza e rabbia. Le stagioni si succedono, l’una all’altra, senza tregua e i sogni della giovinezza svaniscono, senza più ritorno.

“Povera polvere imperfetta”: tale – diceva una bella meditazione di un Padre – è la nostra natura e la nostra condizione, se valutiamo onestamente e con sincerità la vita. Siamo povera polvere, piena zeppa di fragilità e di errori, schiava del proprio orgoglio e di maldestre ambizioni, destinate tutte a sfumare in un momento.

Forse anche noi credenti, in fondo, accogliamo con imbarazzo e con fastidio qualche salutare richiamo alla vanità del presente e ai “Novissimi”, imparati un giorno al Catechismo e poi facilmente rimossi e dimenticati, quale scomodo e ingombrante bagaglio, da accantonare in qualche remoto angolo della memoria. Eppure Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso costituiscono Verità di Fede essenziali e centrali, poste nel cuore stesso dell’annuncio cristiano. Gesù è venuto proprio per liberarci da una condanna eterna, per indicarci la sola via della salvezza e metterci in guardia, perché evitassimo l’orrendo rischio di perdere per sempre noi stessi.

Nel dialogo che Gesù intesse con Nicodemo, il notturno visitatore del Maestro (cfr. Gv 3), si parla di una “rinascita dall’alto”. Come è possibile, domanda stupito il fariseo, che un uomo vecchio rinasca? Può forse ritornare nel grembo della madre? Può ricominciare ancora tutto da capo, quando i segni degli anni sono profonde incisioni sul volto, accompagnate spesso da dolorose ferite nell’anima? Può forse la nostra vita – unica, sola, irripetibile – avviata inesorabilmente al suo declino, ritrovare speranza e luce, riassaporando l’antica ebbrezza e la fragranza di una nuova primavera?

In verità, soltanto in Cristo, solo in Lui, Signore del tempo e dell’eternità, immortale Re della Gloria, vincitore per sempre del peccato e della morte, si può ricominciare a sperare. Solo la sua Grazia restituisce al cuore una imprevista ventata di amore e di fiducia, spalancandoci alla prospettiva di una vita finalmente priva dei limiti dello spazio e del tempo. Soltanto Lui, sebbene uomo come noi e come noi sepolto nell’abisso oscuro e atroce della morte, ha infranto la catena e sciolto i vincoli che lo tenevano prigioniero.

In Gesù riappare il pallido chiarore di un’alba nuova, inattesa, che prelude all’abbagliante luce della visione di Dio; uno spiraglio si apre, dentro il desolante quadro delle nostre città e delle nostre coscienze. Solo Lui, Signore del tempo e della eternità, ha la chiave per introdurci nel mistero che ci avvolge. Solo Cristo Gesù, Uomo e Dio, si pone sul crinale dei nostri giorni e pronuncia finalmente una parola nuova e insperata tra le rovine del presente e ci rammenta che non tutto è finito per sempre. Quel tenue e pallido chiarore è il
primo segno – fragilissimo ma tenace – di una vita che sta per ricominciare.

Insegnaci a contare i nostri giorni, dice ancora il Salmo. Tre bambini, alla Cova da Iria, appresero rapidamente la sapienza della Fede, non persero più un istante della vita, ma tutto orientarono alla meta ultima, al Cuore di Dio, al loro, e nostro, ultimo destino.
Fatima è scuola di speranza, terrena ed eterna. È scuola di impegno, coraggioso e generoso, perché la nostra vita –apparentemente posta tra due nulla- ha un valore infinito, ogni attimo conduce al Cielo o ci condanna inesorabilmente all’eterno fallimento.

Fatima è luce di cristiana speranza, nella penombra e nelle tenebre della nostra condizione umana. L’inferno e il paradiso non sono così distanti, come spesso pensiamo: li portiamo dentro di noi e ci costringono, ogni momento, a scegliere, a prendere posizione, per il Bene o per il Male. Nel mese che riconduce la nostra attenzione e il nostro affetto a chi ci ha preceduto nel cammino della vita, siamo invitati a guardare oltre il presente, a non fermarci alla superficie delle cose, ma a considerare la realtà con gli occhi e con il cuore di Dio. Imparando, ancora una volta, dai più piccoli e dai più semplici, come i tre fanciulli di Fatima.

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ZENIT Staff

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