ROMA, sabato, 22 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato venerdì 21 ottobre nella Basilica di S. Luca dal cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, durante l’incontro con i giovani (dai 16 anni in su) di tutte le parrocchie, associazioni, movimenti della Diocesi per il tradizionale appuntamento di inizio dell’anno pastorale.
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Prima di addentrarci nella riflessione, devo fare alcune premesse assai importanti. Esse in un qualche modo devono guidarvi nel cammino che durante questo anno vi chiedo di fare assieme ai vostri sacerdoti, perché siate sempre più fondati e radicati in Cristo mediante la fede.
Cfr. YC 25-29 [YC= YouCat.] 01. Ogni domenica quando celebriamo l’Eucarestia noi facciamo la nostra professione di fede: recitiamo il Credo. Ne esistono due. L’uno più complesso e più lungo; viene chiamato il Simbolo Niceno-Costantinopolitano, ed è quello che comunemente recitiamo. L’altro molto più breve è chiamato Simbolo Apostolico.
Il fatto che la Chiesa abbia sentito il bisogno di esprimere la sua fede, ciò in cui crede, mediante brevi formule assai precise, ha molte ragioni.
In questo modo essa ha messo «al riparo il messaggio di Cristo da fraintendimenti e falsificazioni. Ha trovato una modalità semplice mediante la quale noi possiamo sapere con certezza se abbiamo o non la fede della Chiesa.
02. I Simboli della fede non sono un ammasso disordinato di frasi. Essi hanno una loro armonia, una loro logica interna.
Se noi entriamo in una basilica vediamo che essa è costruita secondo uno stile; lo spazio è ordinato secondo le varie campate. Così è del Simbolo della fede: esso ci descrive ed esprime la stupenda architettura della fede. Recitando con consapevolezza il Credo, noi entriamo nell’edificio della fede. É una grande gioia quella di contemplare, apprendere, esprimere la realtà della fede, e gustare la sua bellezza.
Cfr. YC 27 03. Come si sono formate le professioni di fede? In sostanza dalla parola di Gesù: «… battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo» [Mt 28, 29].
Se voi vi fate venire in mente il Simbolo Niceno- costantinopolitano, vedrete che esso è tutto costruito sulla fede nelle Tre persone della SS. Trinità: il Padre, creatore; il Figlio, nostro redentore; lo Spirito Santo, che porta a perfezione l’opera del Figlio nella Chiesa.
L’edificio della fede ha dunque tre grandi campate: il fatto della creazione; il fatto della redenzione; il fatto della nostra santificazione.
Ho finito le premesse. Noi questa sera rifletteremo brevemente sulla verità della creazione: percorreremo la prima campata dell’edificio della fede. Ho detto brevemente. Vi do solo qualche spunto di riflessione perché poi coi vostri sacerdoti possiate approfondire. Durante questo anno riflettete su questa grande verità.
Cfr. YC 40-44 1. Vorrei partire da un’esperienza carica di significato. Vi prego di prestarmi molta attenzione.
È un’ovvietà: nessuno di noi si è dato la vita da solo. Dobbiamo la nostra esistenza ad altri. A questo punto, e giustamente, noi pensiamo ai nostri genitori: dobbiamo la vita a loro. E questo è vero, ma non del tutto.
I vostri genitori volevano, desideravano un bambino. Ma non potevano desiderare proprio te, e non un altro. Desideravano un bambino; chi fosse il bambino non lo potevano sapere, non lo potevano volere. Hanno costatato che il bambino che desideravano eri tu, la prima volta che ti hanno visto. Ciò che costituisce la tua irripetibile unicità non è dovuto ai genitori.
A chi è dovuto? Prendete coscienza della grandezza di questa domanda. A che cosa è dovuto, quale spiegazione ha il fatto che io esista?
Qualcuno potrebbe rispondere: il caso. Esisto per caso. Esistere per caso significa che non c’è nessuna spiegazione del fatto che io esista; che ciascuno è il frutto di casuali “incroci” di leggi fisiche e biologiche.
Ora potrete capire che cosa significa «credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra». Significa che «non siamo il prodotto casuale e senza senso della evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario» [Benedetto XVI].
Cari amici, non stancatevi mai di meditare su questa verità della creazione. Se la fate veramente vostra, la vostra vita e la coscienza che avete di voi stessi cambia. Vi voglio aiutare in questo, attirando la vostra attenzione su alcune conseguenze esistenziali di questa verità.
a) Quando un artista produce un’opera d’arte, egli in un qualche modo la concepisce nella sua mente prima di realizzarla. Dio – se così possiamo dire – prima di crearti, aveva un progetto su di te; aveva un’idea di te. E ti ha fatto esistere perché tu la realizzassi. Possiamo dunque e dobbiamo dire che la nostra esistenza è vocazione, e tutta la nostra felicità consiste nell’essere fedele e realizzarla. Il beato Card. Newman ha scritto: «io sono stato creato per fare qualcosa o per essere qualcosa per la quale non è stato creato nessun altro; occupo un posto nei piani di Dio, nel mondo di Dio, un posto che non occupa nessun altro … Dio mi conosce e mi chiama per nome … sono necessario nel mio posto come un Arcangelo nel suo» [Meditazioni e preghiere, Jaca Book, Milano 2002, 38].
b) Il senso della nostra vita noi non dobbiamo inventarlo: dobbiamo scoprirlo. Si capisce la grandezza e la bellezza della nostra libertà. Essa è chiamata a realizzare nella nostra vita un’opera, un progetto divino.
c) Che cosa accade nella coscienza di una persona quando si oscura la percezione della verità della creazione? Inevitabilmente perdiamo in larga misura la consapevolezza della nostra dignità, portati come siamo a sentirci nulla più che il prodotto fortuito di fattori naturali impersonali.
Cfr. YC 41-47 2. Il Simbolo della fede dice: «creatore del cielo e della terra». Cioè dell’universo intero.
Dobbiamo subito chiarire un punto assai importante. Prestatemi attenzione, perché è molto importante.
La proposizione «creatore del cielo e della terra» non è un’affermazione scientifica, ma filosofica e teologica. Essa infatti intende dirci qual è il rapporto del mondo con Dio. La scienza non ha competenza in campo teologico; la teologia non ha competenza in campo scientifico. Ma precisiamo.
Oggi la grande obbiezione a questa verità della creazione si chiama evoluzionismo.
In realtà «l’evoluzione presuppone che esiste qualcosa che può essere soggetto di sviluppo; ma circa la provenienza [l’origine] di questo qualcosa non dice nulla». La verità della creazione risponde precisamente all’esigenza della ragione di trovare risposta alla seguente domanda: perché esiste qualcosa o non piuttosto il niente? Come ha avuto origine? La professione della fede si pone a questo livello, dove le scienze non possono dirci nulla.
Voglio approfondire un poco questo punto. Prestatemi attenzione perché presenta una qualche difficoltà.
La conoscenza scientifica prende atto della “presenza” dei vari oggetti, di ciò che accade in natura. Ma non si ferma a questa presa d’atto. Essa cerca una giustificazione, una spiegazione razionale secondo modelli logici, matematici.
La scienza, ma a questo punto è più corretto dire le scienze, restano sempre legate, limitate ad una parte della realtà, una “regione” della realtà conformemente al metodo proprio delle scienze.
La verità della creazione non si pone a questo livello: non è una fra le tante teorie scientifiche. Essa presuppone lo sforzo della ragione di abbracciare l’intera realtà esistente [non solo una parte], considerata nel suo complesso e si chiede: perché esiste? Quale è la spiegazione dell’esserci non di quel o quel fenomeno, ma della realtà come tale? Dell’intera em> realtà.
È una ricerca indipendente dalla ricerca scientifica. È il supremo impegno della ragione a trovare la risposta alla domanda radicale: che cosa sta all’origine del tutto?
La verità della creazione dice: sta una sapiente e libera decisione di Dio di far essere ciò che non è.
3. Ma il Simbolo che recitiamo alla domenica è più preciso e dice: «creatore … di tutte le cose visibili ed invisibili».
Dunque la realtà non è fatta solo di cose che posso vedere, toccare, Cfr YC 54-55 ascoltare: le cose visibili. Esistono anche realtà invisibili, non sperimentabili dai nostri sensi: sono gli angeli. Essi sono persone, dotate quindi di intelligenza e volontà libera, ma puramente spirituali, senza un corpo.
Gli angeli vivono nella lode perenne dell’amore e della grandezza del Signore, e noi quando celebriamo l’Eucarestia ci uniamo a loro quando con loro cantiamo il Santo.
Ma essi hanno anche una missione di nostra protezione ed aiuto: «Egli darà ordine ai suoi angeli» dice un Salmo «di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede» [S 91 (90), 11-12]. Anzi ognuno di noi riceve da Dio un proprio angelo custode, al quale fate bene rivolgere la vostra preghiera.
4. Dunque noi crediamo – siamo cioè ragionevolmente certi – che Dio Padre onnipotente è creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibile ed invisibili.
Nell’universo esiste una gerarchia, come una gradazione che va dalle più umili creature che semplicemente sono, alle creature che sono e vivono, alle creature che sono, vivono e capiscono: hanno l’intelligenza e la libertà. La persona umana è il vertice della creazione.
cfr.YC 56-59 La nostra fede esprime questa posizione dell’uomo nella creazione dicendo che egli è stato creato «ad immagine e somiglianza di Dio». Che cosa significa? che egli è una persona: qualcuno non qualcosa; capace di conoscere la verità su Dio e sul creato e di compiere scelte libere; di con-vivere con le altre persone secondo giustizia ed amore.
La prima conclusione è un testo stupendo della Liturgia che riassume tutto ciò che ho cercato di dirvi questa sera.
«È veramente giusto renderti grazie, è bello cantare la tua gloria, Padre Santo, unico Dio vivo e vero; prima del tempo ed in eterno tu sei, nel tuo regno di luce infinita. Tu solo sei buono e fonte della vita e hai dato origine all’universo, per effondere il tuo amore su tutte le creature ed allietarlo con gli splendori della tua luce. Schiere innumerevoli di angeli stanno davanti a Te per servirti, contemplano la gloria del tuo volto e giorno e notte cantano la tua lode… Noi ti lodiamo, Padre Santo, per la tua grandezza: tu hai fatto ogni cosa con sapienza ed amore. A tua immagine hai formato l’uomo, alle sue mani operose hai affidato l’universo perché nell’obbedienza a te esercitasse il dominio su tutto il creato» [Preghiera Euc. IV].
La seconda ed ultima conclusione. Vorrei farvi sentire nel cuore che cosa significa credere in Dio creatore o negare la verità della creazione. Lo faccio mettendo a confronto due pagine stupende una di Leopardi e un brevissimo Salmo.
Il primo testo è desunto dal Canto notturno di un pastore errante in Asia 79-104; il secondo è il Salmo 8. L’uomo che non ammette la verità della creazione vive sperduto dentro un universo indecifrabile, enigmatico [l’acerbo, indegno mistero delle cose: Le Ricordanze 71-72]; l’uomo che crede in Dio creatore vive egli pure questa esperienza della grandezza dell’universo che schiaccia, ma Dio si ricorda dell’uomo e si prende cura di lui. Questa è la verità della creazione: c’è un Dio che ti vuole e ti ama e desidera che tu viva con Lui, per sempre.
«Ciò che costituisce la serietà dell’amore di Dio è amare, ed essere amato è per Lui una passione. Anzi è quasi – oh Amore infinito! – come se Lui fosse schiavo di questa passione, in suo potere, così che non potesse fare a meno di amare; quasi che l’amore fosse la sua debolezza, mentre è la sua forza, l’onnipotenza del suo amore» [S. Kierkegaard, Diario 1854; XI/2 A 98].
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