LONDRA, lunedì, 10 ottobre 2011 (ZENIT.org).-“Tristissimo!” mi fa, con un’aria ancora più triste. Daniela è arrivata a Londra da qualche giorno e mi descrive così il panorama italiano. Non quello fisico-geografico che resta pur sempre splendido. Ma quello degli animi, delle mentalità, delle situazioni sociali. E dalle sue parole avverti un certo nascosto senso di tragedia.
Antonella di Andria ritorna per la seconda volta a Londra, dopo avervi fatto un master tempo fa, è qui per ritentare la fortuna: in Italia non ha attecchito. Il Sud? “Un deserto!” ti risponde immediatamente. “Si è perfino stanchi di cercare lavoro, tanto non lo si trova. Non c’è nulla. Si lavora al nero, anzi – calcando il tono – un nero che più nero non c’è.” Accenna anche allo scadimento di valori: le ragazzine ormai desiderano fare le veline, i ragazzi i calciatori. E viene in sintonia, ti precisa, anche un vuoto culturale. “Ciononostante – mi fa con un’impennata di orgoglio meridionale – “no, non sono tutti così. C’è gente che vale, laggiù!”.
Olga e Giovanna di Rho, due ragazze bionde e vivaci, mi dicono a raffica gli aspetti che colgono nei giovani che conoscono: “Rassegnati, delusi, demotivati, squattrinati e ciononostante studiano… chissà, perché.” Chiedo della presenza della chiesa in Italia… “Lontanissima!” mi scagliano e non capisco se fisicamente o metafisicamente, forse entrambi.
Boris, bergamasco di Pontida, qui da vari anni ha appena incontrato l’altra settimana due trentenni arrivati di fresco dall’Italia, anzi “scappati,” si corregge subito. Li ha aiutati a trovare casa ed altro, anche se con difficoltà. Ormai ce ne sono troppi che arrivano a Londra, in particolare, giovani dalla Grecia, dalla Spagna.
Clarissa, piacentina, invece, prende il tempo di riassumermi cosa ha apprezzato in questa metropoli. La cosa più bella è la sincerità: quello che un inglese ti dice è quello che pensa. “Per quanto rude possa essere è la verità, e la verità si gestisce, l’ipocrisia invece ti affonda nei dubbi” sottolinea con un bel fare magistrale. Poi ha trovato molto rispetto per chi vuole imparare: l’accoglienza verso chi studia è espressa anche ai livelli più alti. Nessuno, poi, si preoccupa di come si appare, piuttosto che pre-giudicare, non giudica affatto. Infine, gli inglesi leggono ovunque e conclude: “Io in Italia venivo guardata bizzarramente, quando leggevo camminando per strada o aspettando il bus, qui invece io sono… normale!”.
Renata, da qualche anno ormai a Londra, dove si trova come di casa dipinge il quadro così: molti sono fuggiti dall’Italia in cerca di lavoro e di opportunità. Molti sono rimasti a seguito di un’esperienza lavorativa, perché meglio pagati, molti qui non vorrebbero stare, ma lo fanno perché riescono a guadagnare bene, hanno una buona posizione che in Italia non avrebbero. Altri stanno semplicemente provando a vivere e lavorare in una realtà diversa per mettersi alla prova. Spesso si riscontra un disagio a livello umano, perché l’Inghilterra non ha il calore umano dello stivale; nella maggior parte si nota la nostalgia del sole, del buon cibo e dell’estro nostrano, ma in tutti si sente la necessità di vivere in una società più rispettosa, meno macchinosa e falsa. In Italia si è tutti amici, è vero, ma è una lama a doppio taglio: questo rapporto spesso richiede favori… E conclude: “Chi vive in Italia lo vedo frustrato, depresso e scontento di un Paese che si svende, che non investe, che si piange addosso fingendo di stare bene, che vorrebbe ribellarsi, ma ne ha paura o non ne ha le forze”.
Simone, ormai da due anni a Londra, ricorda i suoi amici in Italia come solari, affettuosi, insicuri e generosi, mentre qui si presentano un po’ riservati, internazionali, forse poco collaboratori; anche se in questo clima sa resistere bene.
Seguendo il filo del discorso di questi giovani emerge un’idea inquietante. Sembra che i barconi che approdano alle nostre coste siano paradossalmente l’immagine stessa della nostra terra. Essa getta a mare i suoi giovani. E fa ricordare una massima amara, che un vecchio professore ripeteva spesso: “Quando in una società il vecchio uccide il giovane c’è ben poco da sperare: si autodistrugge senza saperlo”.
Viene, allora, da interrogarsi se i responsabili della nostra società siano come gli idoli nella Bibbia, che hanno orecchi ma non sentono, hanno occhi e non vedono, come recita il salmo. Sapendo che la dinamica dell’idolo è concentrare in sé ogni potere, ogni ambizione e farsi adorare. Centrato in se stesso, per eccellenza. Forse è la naturale conseguenza di una società che ha assunto ultimamente una regola d’oro perversa: fare i propri interessi. “Siamo rimasti al medioevo!” – mi analizza clinicamente Massimo, un giovane medico veneto – “da noi non c’è stata una rivoluzione francese o una rivoluzione industriale come in Gran Bretagna o una rivoluzione protestante…”.
All’estero, poi, il paragone viene naturale. I nostri emigranti italiani hanno costruito per decenni dei ponti con altre culture e con altri popoli, hanno lanciato passerelle, hanno imparato a vivere in simbiosi con loro “facendo la loro patria il mondo”. Nella nostra terra, invece, ci si rinchiude in campanilismi, in clan, in corporazioni e nei propri interessi. Chi governa, sensibile a tutto questo, si mostra incapace di cambiare passo, di lanciarsi nella modernità, di investire sui giovani. Per questo per loro la perdita di identità, di fiducia e di speranza è sempre in agguato.
“Signore, per questi giovani abbandonati da tutti, abbandonati a se stessi, resti ormai solo tu a proteggerli!”. Così, il nostro sguardo si fa compassione e preghiera.
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*Padre Renato Zilio è un missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi letterari presso l’Università di Padova, e gli studi teologici a Parigi, conseguendo un master in teologia delle religioni. Ha fondato e diretto il Centro interculturale di Ecoublay nella regione parigina e diretto a Ginevra la rivista “Presenza italiana”. Dopo l’esperienza al Centro Studi Migrazioni Internazionali (Ciemi) di Parigi e quella missionaria a Gibuti (Corno d’Africa), vive attualmente a Londra al Centro interculturale Scalabrini di Brixton Road. Ha scritto Vangelo dei migranti (Emi Edizioni, Bologna 2010) con prefazione del Card. Roger Etchegaray.