di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 7 ottobre 2001 (ZENIT.org).- In quel tempo, Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: “Il regno dei cieli è simile a un re che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: ‘Dite a gli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!’. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: ‘La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze’. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: ‘Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?’. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: ‘Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti’, perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”(Mt 22,1-14).
Tre aspetti di questa parabola di Matteo non mancano ogni volta di sconcertare chi l’ascolta: l’assurdo e violento rifiuto dei primi invitati alle nozze, l’ancor più assurda spedizione punitiva del Re nei confronti della loro città, e la cacciata brutale dell’uomo entrato alla festa in abiti normali.
La storia di allora è in grado di spiegare parte del racconto (c’è il riferimento alla distruzione di Gerusalemme del 70 d. C.), ma qual è il messaggio integrale dei suoi colpi di scena per la storia di oggi?
Per comprenderlo, è anzitutto da sottolineare la somiglianza con la parabola precedente dei vignaioli assassini: si tratta del quadro drammatico dell’ostilità omicida incontrata da Gesù, l’ultimo di quei profeti che Israele ha continuato ad eliminare. Scribi e farisei attendevano un Messia, per così dire, “preconfezionato”, a misura delle loro idee e speranze terrene, ma quando si sono resi conto che Gesù non si adattava minimamente agli schemi, piuttosto che spogliarsi dei loro pregiudizi per accogliere la sua Parola, Lo hanno ucciso. Allora la Parola, “viva, efficace” (Eb 4,12), è stata accolta dai pagani. Ed è proprio a partire dalla loro evangelizzazione che possiamo cogliere il messaggio del Vangelo di questa Domenica nei termini della “Nuova Evangelizzazione”.
Facciamo un passo indietro. Anche se la parabola degli invitati a nozze non ha certo pretese di precisione geografica, è da notare che i numerosi commensali che aderiscono all’invito sembrano provenire dalla stessa zona di quelli che lo hanno rifiutato. L’unica differenza è che i secondi vengono reperiti “ai crocicchi delle strade”: si tratta quindi dei disoccupati che chiedono l’elemosina, gli emarginati sociali, i poveri e gli impuri, “buoni e cattivi”. Costoro, a differenza dei primi invitati, sono tutti sinceri e non accampano false scuse con i servi del Re per rifiutare l’invito (cf. Lc 14,18s).
Possiamo supporre che i servi inviati per ultimi, vista la sorte drammatica di chi li aveva preceduti, avessero un certo timore a mettersi in strada per reclutare commensali più bendisposti, tuttavia non esitano: la loro obbedienza al comando del Re viene premiata e si conclude nella pace, come sembra sottinteso nel commento finale: “..e la sala delle nozze si riempì di commensali” (Mt 22,10).
Ed ecco profilarsi qui un messaggio per noi: “La nuova evangelizzazione non consiste nel rifare qualcosa che non era stato fatto bene nel passato o nel rappresentare semplicemente il Vangelo come è stato rappresentato nel passato. Consiste piuttosto nel coraggio di forgiare delle strade nuove per affrontare le circostanze che affronta la Chiesa oggi. Si tratta anzitutto di un’attività spirituale capace di ridare al nostro tempo il coraggio e la forza dei primi cristiani e dei primi missionari, per compiere il comandamento missionario del Signore” (da ZENIT, In cosa consiste la Nuova Evangelizzazione?, 1 ottobre 2011).
Il riferimento alle primizie cristiane, piene di coraggio e vitalità, mi fa pensare a quella terra di missione particolare che è diventata la vita umana. È purtroppo vero che, non ostante le forti parole dei pontefici e dei vescovi, il tema della vita rimane ancora straniero, nella pastorale ordinaria, dalla catechesi dei bambini e degli adulti; tuttavia è ancor più vero, credo, che la vita ha il potere di essere evangelizzatrice di se stessa.
Mi metto dal punto di vista del suo Creatore. Dio vede e sa che il grembo materno è divenuto ormai un luogo infido e minaccioso. Dato che “il rifiuto della vita dell’uomo, nelle sue diverse forme, è realmente rifiuto di Cristo”, e che “ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a Me”(Enciclica Evangelium vitae, n. 104),sembrerebbe che Dio metta a “rischio” Se stesso quando dona all’uomo la vita (cf. Benedetto XVI, Deus Caritas est, n. 12). Ma Gesù concepito non teme. Egli è infatti l’Amore ed è anche la Vita, e poiché l’Amore è più forte della morte, anche la Vita lo è e sempre lo sarà.
Nel DNA della vita umana è inscritta una sequenza indistruttibile, eterna, scoperta da Paolo di Tarso: “Quelli che Dio da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché Egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati” (Rm 8,29-30).
Ogni concepito umano, per ciò stesso che riceve da Dio la vita, è inserito in questa sequenza eterna, iniziata prima della creazione del mondo e destinata, in Cristo, a compiersi nella gloria del Paradiso. In tal modo la vita umana è, in se stessa e per se stessa, soggetto di evangelizzazione, ed ogni uomo non solo annuncia Cristo al suo inizio, nel concepimento, ma ne ripete poi l’annuncio fino al termine del suo tempo terreno.
La vita umana è una meraviglia talmente prodigiosa che proclama da sé il suo Autore divino; essa poi, quando sofferente, è capace di sprigionare attorno a sé quelle opere d’amore che annunciano il Vangelo della vita senza parlare; nella sua bellezza innocente (non solo i bambini), la vita affascina e suscita la nostalgia dell’eterna Verità; nella genialità creativa dell’uomo e nella natura, la vita annuncia il Sommo Artista e Creatore dell’universo. Infine nel suo declino insopportabile verso lo spogliamento della malattia e della morte, la vita annuncia che la morte di ognuno sarà assorbita dalla Vita, ma l’uomo ha la tremenda libertà di non accettare questo abito nuziale (Mt 22,13-14).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.