Il riconoscimento dello Stato palestinese, “atto di alto valore simbolico”

Mons. Shomali commenta la richiesta avanzata all’ONU

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ROMA, venerdì, 7 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Riconoscere lo Stato palestinese avrebbe un “alto valore simbolico”, ha affermato monsignor William Shomali, Vescovo ausiliare del Patriarca latino di Gerusalemme.

Il presule ha commentato con l’associazione caritativa cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) la proposta presentata all’ONU da Mahmoud Abbas, Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, di riconoscere lo Stato palestinese.

Monsignor Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, ha auspicato al riguardo “una decisione da parte degli organi competenti delle Nazioni Unite che aiuti a raggiungere effettivamente l’obiettivo finale, vale a dire la realizzazione del diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato indipendente e sovrano e del diritto degli israeliani alla sicurezza, dotando ambedue gli Stati di confini internazionalmente riconosciuti”.

Per monsignor Shomali, “pur senza sciogliere i nodi del processo di pace – profughi, insediamenti, Gerusalemme capitale di due Stati – il riconoscimento di uno Stato palestinese rappresenterebbe un atto di alto valore simbolico”.

Questa opinione è condivisa da monsignor Giacinto Boulos Marcuzzo, Vescovo di Nazareth e vicario del Patriarcato latino, che ha definito l’iniziativa della proposta “valida e giustificata”.

Consenso alla richiesta viene anche dalla Pontificia Missione per la Palestina, fondata nel 1949 da Papa Pio XII per la cura dei rifugiati palestinesi. Il direttore regionale Sami El-Yousef ha infatti dichiarato ad ACS che “solo uno Stato compiuto che vive in pace accanto ad Israele può garantire sicurezza alla regione”.

Per El-Yousef, la richiesta di un seggio all’ONU può dare nuovo impulso al dialogo tra Israele e Palestina, basato sulla legittimità internazionale.

“Una volta concordato il quadro, il resto inizierà ad essere facile da gestire”, ha indicato. “Trovo più utile investire della questione le Nazioni Unite, piuttosto che permettere agli Stati Uniti di monopolizzare i negoziati, vista la loro evidente parzialità nei confronti di Israele”.

La Missione Pontificia per la Palestina spera quindi che si giunga al più presto alla fine del conflitto, con “l’istituzione di uno Stato indipendente e con la risoluzione di tutte le problematiche pendenti, inclusa quella dei rifugiati”.

Monsignor Shomali ha aggiunto che, oltre a quello politico, è necessario anche un consistente lavoro spirituale, per il quale i cristiani possono svolgere un ruolo fondamentale.

“Abbiamo una grande responsabilità e possiamo contribuire concretamente alla creazione di un dialogo mirato alla pacifica convivenza, i cui pre-requisiti indispensabili sono la rinuncia alla violenza, il mutuo rispetto e il desiderio di abbattere le barriere”, ha riconosciuto.

Arginare l’esodo

A suo avviso, il raggiungimento della pace avrà certamente conseguenze positive sulla comunità cristiana, “non solo arginandone l’esodo, ma soprattutto convincendo molti fedeli a far ritorno nella terra dove il cristianesimo è nato”.

Monsignor Shomali ha riferito che “l’emorragia di credenti” è iniziata nel 1890, quando molti fuggirono dal servizio militare, dalla povertà e dalla mancanza di libertà religiosa. Da allora l’esodo dei cristiani non si è più fermato, raggiungendo il picco nel 1948, nel 1967 e durante la prima e la seconda Intifada.

Oggi la situazione si è leggermente stabilizzata, soprattutto grazie all’afflusso di pellegrini, “che hanno rilanciato il settore turistico, offrendo impiego ai cristiani”.

Il campo lavorativo è uno di quelli in cui i fedeli sono più penalizzati. Per questo motivo, ACS commissiona da anni rosari e altri manufatti in legno d’ulivo e madreperla agli artigiani cristiani locali.

La Chiesa e le opere caritative cattoliche si impegnano ad arginare l’esodo dei cristiani dalla Terra Santa, sottolinea ACS, indicando che di queste iniziative beneficia tutta la popolazione.

“In questo momento stiamo costruendo 80 appartamenti a Gerusalemme da destinare a cristiani di riti diversi e anche a due famiglie musulmane”, ha affermato monsignor Shomali.

Il Patriarcato latino è responsabile di 13 scuole nei territori palestinesi, con oltre 5.800 alunni di entrambi i sessi e di diversa appartenenza religiosa.

Nei territori palestinesi e a Gerusalemme, Aiuto alla Chiesa che Soffre sostiene diversi progetti volti in modo diretto o indiretto a promuovere la riconciliazione, come formazione per sacerdoti o seminaristi, ristrutturazione dei Centri pastorali e fornitura di auto e minibus per raggiungere le  varie parrocchie.

Aiuto alla Chiesa che Soffre, opera di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa dove questa è perseguitata o priva di mezzi. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi in cui è presente con sedi nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 Nazioni.

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ZENIT Staff

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