ROMA, venerdì, 7 ottobre 2001 (ZENIT.org).- “Il cambiamento demografico” (Laterza, Bari-Roma 2011) è il titolo del secondo rapporto-proposta curato dal Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), che fotografa l’andamento della popolazione dell’Italia e propone vie di uscite per questo “suicidio demografico” molto più complesso dell’attuale crisi economica.
Il rapporto è stato presentato mercoledì 5 ottobre dal Presidente della CEI, il Cardinale Camillo Ruini, in quanto responsabile del Comitato per il progetto culturale.
“Il sottotitolo: rapporto-proposta sul futuro dell’Italia’ è molto indicativo – ha detto il porporato a ZENIT –. Infatti questo dossier lancia una allarme -come hanno indicato i diversi relatori- che si basa su dati statistici i quali registrano un inverno demografico. E’ urgente quindi, cambiare le condizioni socio culturali ed economiche per favorire le famiglie a fare figli, senza però un intervento “a gamba tesa” da parte dello Stato che avrebbe conseguenze negative.
Oltre al Card. Ruini sono intervenuti: l’Arcivescovo di Genova e Presidente della CEI, il Cardinale Angelo Bagnasco; il prof. Giancarlo Blangiardo, ordinario di demografia presso l’Università di Milano-Bicocca; il prof. Antonio Golini, ordinario di demografia presso l’Università “La Sapienza” di Roma; il dott. Giuseppe Laterza, presidente della Casa editrice Laterza; e il prof. Francesco D’Agostino, ordinario di filosofia del diritto presso l’Università Tor Vergata di Roma.
Il volume svela una Italia dove la quota degli under 20 è uguale a quella degli over 65; un paese dove la fecondità media delle donne è di 1,4 figli anche se in realtà ne vorrebbero di più; la media di nascite stabili, invece, è pari a 600 mila l’anno, mentre ce ne vorrebbero altre 150 mila per mantenere la sostenibilità; il deficit, infine, corrisponde al numero di aborti che si praticano ogni anno.
“Suicidio demografico”
Nel prendere la parola il Card. Angelo Bagnasco è stato molto netto: “Stiamo andando verso un lento suicidio demografico” e questo libro è “un Rapporto-proposta con interpretazione non emotiva e tantomeno ideologica, ma aderente alla realtà”.
Dati importanti, ha indicato, “per interpretare il ‘cambiamento demografico’ che chiama in causa la nostra società ed è destinato a segnare profondamente il nostro Paese, nell’epoca delle false alternative e anche, di conseguenza, delle promesse tradite”.
La “nostra cultura – ha evidenziato – fa talvolta vedere i figli come un peso, un costo, una rinuncia, ma i figli sono prima di tutto una risorsa. E non solo perché nel futuro potranno prendersi cura dei genitori, ma perché già nel presente li interpellano, li sostengono, li incoraggiano”.
Una recessione demografica dovuta non soltanto a ragioni economiche, ma collegata “piuttosto a una povertà culturale e morale, che ha di molto preceduto lo stato di innegabile crisi che caratterizza la congiuntura presente”.
“La ricetta dunque – ha proseguito – non può essere quella che ci ha portato a un presente difficile: non è con più consumo e meno figli che risistemeremo l’economia, quanto con una revisione radicale delle priorità”.
Di qui il Cardinale ha invitato “a mutare prospettiva” e a fare “una critica decisa a una cultura nichilista, che ha lavorato sistematicamente alla decostruzione di uno dei valori che fonda l’umano e lo sostiene e cioè la famiglia e la maternità”.
Occorre quindi – ha precisato – “incoraggiare nuovi modelli di solidarietà interfamiliare e intergenerazionale, facendo in modo che i genitori non si sentano abbandonati proprio dalla società che contribuiscono a tenere in vita”.
Ecco allora la preoccupazione della Chiesa per il cambiamento demografico: “se non si riusciranno a far scaturire, nel breve periodo, le condizioni psicologiche e culturali per siglare un patto intergenerazionale l’Italia non potrà invertire il proprio declino: potrà forse aumentare la ricchezza di alcuni, comunque di pochi, ma si prosciugherà il destino di un popolo”.
Interventi pubblici per le giovani coppie
Il secondo relatore, il Cardinale Ruini, ha sottolineato l’impegno della Chiesa di fronte ai problemi demografici sui quali “non ha smesso di insistere”.
Il porporato ha precisato come si è “al di sotto del ricambio generazionale”, un dato questo che si somma “al notevole incremento della durata media della vita, fatto di per sé altamente positivo ma che concorre, con la diminuzione delle nascite, a causare l’invecchiamento della popolazione.”
Allo stesso tempo, l’incremento degli immigrati e i ricongiungimenti familiari volti ad alleggerire queste difficoltà, “al di là dei problemi di sostenibilità che comportano, non sembrano in grado di rappresentare una vera soluzione”. Ed ha ricordato che altre nazioni “non troppo dissimili da noi – come in particolare la Francia – si sono mostrate in grado di affrontarlo”.
Il Rapporto, ha indicato il porporato, individua due ordini di fattori capaci di influire sull’andamento delle nascite: “il primo è costituito dagli interventi pubblici, cioè da una serie organica di provvedimenti di lungo periodo rivolti non a premere sulle coppie perché mettano al mondo dei figli che non desiderano, bensì semplicemente a eliminare le difficoltà sociali ed economiche che ostacolano la realizzazione dell’obiettivo di avere i figli che esse vorrebbero”. Ed ha ricordato che “giustificare una politica questo genere è abbastanza facile: i figli (…) rappresentano un bene pubblico, e non soltanto un bene privato dei loro genitori”.
Il secondo ordine di fattori si colloca a un livello più profondo, “quello delle mentalità” quindi “dei vissuti personali e familiari e della cultura sociale, che influiscono potentemente sui comportamenti demografici”. Quanto alle politiche sociali per la famiglia “l’Italia è certamente in grave ritardo, un ritardo da riparare iniziando subito col mettere in campo un impegno adeguato alla posta in gioco e molto prolungato nel tempo”.
Però esistono “due vantaggi potenziali” vale a dire “la solidarietà interna e la rilevanza sociale delle famiglie italiane”. Ma “per essere efficace, questa sinergia deve rendere consapevoli e coinvolgere ciascuna delle componenti della nostra società”.
Lo scopo di questo Rapporto-proposta, ha concluso, “è proprio far penetrare nell’intero corpo sociale la consapevolezza della sfida demografica con cui l’Italia deve inevitabilmente misurarsi”.
Sulla famiglia si gioca il cambiamento e bisogna investire
Il professore Giancarlo Blangiardo, nella sua relazione ha puntato sulla “consapevolezza, capace di condurre all’azione”. Il docente ha ricordato i dati statistici sopra indicati, e come differiscano da quelli di quarant’anni fa quando gli under 20 erano 17 milioni e gli over 60 soltanto 6 milioni, con un saldo positivo di nascite di 400 mila l’anno. “Oggi il saldo naturale è negativo”, ha detto, e anche se gli immigranti stanno aiutando la demografia, man mano che si integrano sono portati a ridurre il tasso delle nascite.
Il fenomeno delle culle vuote non è in genere una rinuncia definitiva ma piuttosto uno spostamento in avanti nel tempo motivato da ragioni economiche.
E poi ci sono i giovani adulti, i cosiddetti “bamboccioni”, e “l’invecchiamento demografico e il bisogno del riassetto delle pensioni”. E fra non molto, se si continua di questo passo, “ci saranno più persone 80enni che ragazzi di 10 anni”.
“Èsulla famiglia che si deve giocare il cambiamento – ha osservato –. Piaccia o no, la famiglia deve tornare al centro”. E ha ricordato un dato dolente: “l’immigrazione è una risor
sa acquisita, anche se il totale del numero degli immigranti è uguale al totale degli aborti fatti. Abbiamo guadagnato una forte risorsa però perso un’altra importante risorsa”.
Lo studioso ha concluso ricordando che esiste un Piano nazionale sulla famiglia, rimasto soprattutto sulla carta, ed ha auspicato che “una parte delle risorse si possano dirottare verso la famiglia e il problema demografico”.
Lo Stato crei condizioni ma non intervenga a “gamba tesa”
Il il prof. Francesco D’Agostino da parte sua ha introdotto la sua relazione ricordando un film di Woody Allen, in cui il protagonista si spaventa all’idea di vivere fino ai 120 anni e dice: “Ma come faccio, non ho i soldi”. E ha ricordato a Victo Hugo quando scriveva: “Il rispetto per i vecchi e l’amore per i figli muoiono insieme”.
Per il docente, “al calo della popolazione, è corrisposto un aumento delle imposte, dal 25 al 43 per cento”, equivalente al “dimezzamento dei redditi”. Senza figli, infatti, aumenta l’invecchiamento della popolazione e aumentano quindi le spese fisse, portando uno “spostamento degli ammortizzatori dalle famiglie verso le pensioni”. Al di là del problema che “se non ci sono figli viene meno il lavoro e si produce la delocalizzazione verso il terzo mondo”.
“L’unica struttura per contrastare l’inverno demografico – ha ricordato – è la famiglia”, ma lo Stato non deve intervenire coercitivamente “a gamba tesa” perché in quei casi i risultati sono stati negativi. Come la politica del figlio unico in Cina o in Svezia con interventi che hanno creato situazioni problematiche come le madri single.
Ed ha concluso: “L’ipotesi del rapporto è ottimistica. Gli uomini amano i rapporti intergenerazionali purché non ci siano ostacoli che portino a un rimandare sine die”.
Il debito demografico, come quello economico, si paga
Il professor Antonio Golini invece ha osservato che si parla molto del debito economico, ma che in realtà esiste anche un “debito demografico”, ancora più profondo, che saremo prima o poi costretti a pagare: “se la crescita è troppa si esplode come in Africa, ma se si è troppo pochi la popolazione implode”.
Occorre dare “a quelle donne e coppie che non vogliono avere figli, tutta la libertà di avere un solo figlio”, ma “dare anche quella libertà economica e psicologica di fare quattro figli”. Ed ha concluso: Perché “oltre alla penalizzazione economica c’è quella psicologico-sociale: ‘quattro figli, mamma mia!’”.