Riportare Dio nella società

di Stefano Fontana*

Share this Entry

ROMA, giovedì, 6 ottobre 2001 (ZENIT.org).- Il viaggio del Papa in Germania si è prestato a molte considerazioni, data l’alta taratura dei suoi discorsi – ne abbiamo avuto un assaggio nel grande discorso al Bundestag– e data l’alta posta in gioco in questa difficile visita, ma sullo sfondo credo che l’aspetto principale di  questo viaggio è stata la registrazione che il cattolicesimo nell’area renana e danubiana non c’è (quasi) più e che bisogna rievangelizzare quelle terre partendo non dall’uomo ma da Dio.

Facciamo un passo indietro. Al Consiglio Vaticano II l’ala progressista era proprio rappresentata dai cardinali austriaci, tedeschi, belgi, olandesi. Il cardinale di Vienna König, quello di Monaco Döpfner, quello di Colonia Frings, il belga Suenens, l’olandese Alfrink. Non che il Concilio – anche se esaminato dal  solo punto di vista storico – si riduca alla loro azione. Il Concilio fu di più e altro dalle loro posizioni. Tuttavia il dato è certo: nella parte d’Europa che il Papa sta visitando in questi giorni era nato e si era sviluppato il progressismo teologico e pastorale cattolico che, anche sotto la guida di teologi – spesso più influenti degli stessi vescovi – come Rahner, Schillebeckx, Küng, intendeva secolarizzare la fede cattolica facendola passare attraverso la “svolta antropologica”, che è altra cosa da “l’uomo via della Chiesa” di Giovanni Paolo II, principio valido perché prima di tutto “Cristo è la via della Chiesa”.

Ora, che ne è della fede cattolica nelle terre del progressismo conciliare e postconciliare? Nel Belgio del Cardinale Suenens, nell’Olanda del Cardinale Alfrink il cattolicesimo non esiste (quasi) più. Nell’Austria del Cardinale König, proprio pochi giorni fa, ben 300 preti hanno firmato una petizione per la disobbedienza al Papa, chiedendo le solite riforme: matrimonio per i preti, ordinazione delle donne, comunione ai divorziati risposati. 300 preti su 1000 significano uno scisma di fatto. Qualche mese prima avevano fatto lo stesso più di 200 professori di teologia di Svizzera, Germania e Austria.  Nella Baviera del Cardinale Döpfner va a messa il 12 per cento della popolazione, ed è la Baviera! Giovanni Paolo II aveva chiesto a Kiko Arguello e al Movimento dei Neocatecumenali di mandare famiglie missionarie nella Germania del Nord, per riannunciare Cristo a una popolazione che non ne ha mai sentito parlare. Molte famiglie sono partite ed hanno trovato la desolazione. Benedetto XVI ha creato il nuovo Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione dell’Occidente – pare su una vecchia proposta di don Giussani – pensando con ogni probabilità proprio a queste terre.

Ci si chiede: come mai, visti questi risultati prodotti dalla secolarizzazione del cattolicesimo nell’Europa centrale, si vuole proseguire ulteriormente su questa strada fallimentare? Giudicare dai frutti rimane un principio di buon senso evangelico. Credo che questa sia stata la sfida fondamentale per Benedetto XVI durante questo viaggio. Egli ha detto insistentemente tre cose. La prima è una chiara denuncia del rischio di sparizione del cattolicesimo dall’Europa. Durante il viaggio in Portogallo nel 2010 egli ha fatto le valutazioni forse più spietate su questo reale pericolo – “cosa accadrà se il sale diventa insipido?”; “la fede cattolica non è più patrimonio comune della società e, spesso, si vede come un seme insidiato e offuscato da divinità e signori di questo mondo”  -, ma è una denuncia che fa continuamente. La seconda  la centralità di Dio nella vita della Chiesa, nella liturgia e nella pastorale. Gli orizzontalismi non pagano, la rincorsa del mondo per cercare di piacergli non produce frutti. Lo stesso personalismo va rivisto perché non esiste un personalismo cristiano che ponga “la persona al centro”, al centro c’è Dio. Gli umanesimi senza Cristo non possono che trasformarsi in ideologie. La terza cosa è che bisogna aprire un posto a Dio nel mondo, ossia che la fede cristiana deve avere anche un ruolo pubblico.

Del resto, questi tre elementi li vediamo presenti tutti anche nel discorso al Bundestag di Berlino. La denuncia del rischio che predomini in Europa una mentalità positivista che riduce (citando Kelsen) tutti i fenomeni ad “un aggregato di dati oggettivi, congiunti gli uni agli altri quali cause ed effetti”: ecco la prospettiva del deserto della fede. La centralità di Dio è ben presente nell’immagine negativa della casa chiusa (che mi ha ricordato come erano le case nella società futura ipotizzata da Benson in “Il Padrone del mondo”, senza finestre e con la sola luce artificiale), mentre invece si ha bisogno del “mondo vasto di Dio” e di “spalancare le finestre”. Infine, il pericolo che un umanesimo senza Dio porti all’ideologia è presente nel discorso al Bundestag quando Benedetto XVI ha parlato del movimento ecologista, positivo per certi versi, ma ideologico per altri se dimentica che c’è anche una ecologia dell’uomo oltre quella dell’ambiente. Ponendo la natura dell’uomo non si può non porre il problema del Creatore e senza la prospettiva del Creatore non si affronta in modo completo nemmeno quello della natura umana.

———-

*Stefano Fontana è direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa (http://www.vanthuanobservatory.org/).

Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione