ROMA, mercoledì, 5 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento pronunciato questo mercoledì dal Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), in occasione della presentazione a Roma del secondo rapporto-proposta curato dal Comitato per il progetto culturale della CEI, dal titolo: “Il cambiamento demografico. Rapporto-proposta sul futuro dell’Italia” (Laterza, Bari-Roma 2011).
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“Stiamo andando verso un lento suicidio demografico” (cfr. Prolusione, maggio 2010). Il presente Rapporto-proposta – per il quale desidero ringraziare sentitamente il Comitato per il Progetto culturale della Chiesa Italiana e segnatamente il Suo instancabile Presidente, S. E. il card. Camillo Ruini – offre molteplici dati che confermano questa ipotesi, tentando una interpretazione non emotiva e tantomeno ideologica, ma aderente alla realtà. Soprattutto aiuta ad andare oltre la semplice analisi dei dati perché disegna una cornice interpretativa del fenomeno del ‘cambiamento demografico’, che chiama in causa la nostra società ed è destinato a segnare profondamente il nostro Paese.
Viviamo nell’epoca delle false alternative e anche, di conseguenza, delle promesse tradite. Una di queste false alternative è senz’altro quella tra autonomia e legame: sciolta dal legame, cioè dalla responsabilità, l’autonomia diventa solitudine, anzi solipsismo. Il soggetto che non vuole legami è alla fine il soggetto che non può scegliere, che resta intrappolato nelle gioco delle possibilità: un soggetto spogliato di ciò che ha di più umano in nome di una libertà che non esiste, e che disattende, alla fine, le promesse di felicità. L’esperienza personale di ciascuno mostra – al contrario – che il soggetto si sviluppa in modo tanto più autonomo ed equilibrato quanto più ha beneficiato di legami forti: con la madre prima di tutto, ma più in generale con un contesto accogliente, al quale potersi “affidare”. L’esperienza dell’affidamento (che anche etimologicamente si lega alla fiducia, alla fede, alla fedeltà) è una tappa fondamentale dello sviluppo della persona, e una condizione della sua libertà, a differenza di quanto affermano i luoghi comuni dell’individualismo metodico. E’ nel contesto di affidamento che diventa possibile l’esperienza del bene e che si costruisce la “sicurezza ontologica” di sé e la fiducia nel mondo. Chi da piccolo è privato di questa esperienza fondamentale non può non risentirne. Non vi è dubbio che una società in cui si interrompe la catena generativa e si blocca il circuito della testimonianza tra le generazioni è una società impoverita e destinata a isterilirsi, oltre che a rivelarsi miope sotto diversi profili.
Il primo profilo critico riguarda la reciprocità. La nostra cultura fa talvolta vedere i figli come un peso, un costo, una rinuncia, ma i figli sono prima di tutto una risorsa. E non solo perché nel futuro potranno prendersi cura dei genitori, ma perché già nel presente li interpellano, li sostengono, li incoraggiano. L’ideologia dell’autosufficienza e del rifiuto del legame inteso solo come vincolo negativo occulta la bellezza della reciprocità, che pur mutando forme e modi con le stagioni della vita, rimane una costante della vita familiare e del rapporto tra le generazioni, una fonte di calore e di bellezza che sostiene nel difficile cammino esistenziale, rendendo la condivisione quotidiana un potenziale fattore di moltiplicazione delle energie e delle risorse.
L’altro profilo critico ha a che fare con la creatività. L’innovazione infatti non si estrae solo da se stessi, non è il prodotto esclusivamente della genialità dei singoli, ma è sempre un frutto che matura da un contesto aperto, cioè dalla capacità di rileggere la tradizione alla luce delle sfide del presente, accogliendo soprattutto la capacità immaginativa delle giovani generazioni. Privarsi di vite nuove significa privarsi della novità della vita. Non è un caso che S. Benedetto nella sua Regola inviti sempre a dar la parola al più giovane, anche nelle questioni delicate, prima del discernimento finale, perché “spesso proprio al più giovane il Signore rivela la soluzione migliore”.
A ben guardare, la ragione del calo delle nascite non può essere soltanto di tipo economico. Si tratta piuttosto di una povertà culturale e morale, che ha di molto preceduto lo stato di innegabile crisi che caratterizza la congiuntura presente. La ricetta dunque non può essere quella che ci ha portato a un presente difficile: non è con più consumo e meno figli che risistemeremo l’economia, quanto con una revisione radicale delle priorità. Tale richiamo non vuole essere evidentemente un giudizio per chi affronta con fatica la precarietà del quotidiano, bensì un invito a mutare prospettiva e una critica decisa a una cultura nichilista, che ha lavorato sistematicamente alla decostruzione di uno dei valori che fonda l’umano e lo sostiene e cioè la famiglia e la maternità.
La modernità ha frammentato l’uomo, prima “homo faber”, poi “homo consumer”. E’ ora di recuperare l’integrità della persona umana, anche a partire dal riconoscimento del fallimento della cultura iperindividualista, che ha separato l’io dal noi e disarticolato i diversi aspetti della persona; un fallimento che è ormai difficile da negare a chi abbia un minimo di onestà intellettuale.E’ ora anche di sostenere con maggiore decisione i soggetti che si adoperano per rendere più affrontabili le complessità della vita familiare; occorre incoraggiare nuovi modelli di solidarietà interfamiliare e intergenerazionale, facendo in modo che i genitori non si sentano abbandonati proprio dalla società che contribuiscono a tenere in vita.
Nasce da quanto sommariamente evocato la preoccupazione della Chiesa per il ‘cambiamento demografico: se non si riusciranno a far scaturire, nel breve periodo, le condizioni psicologiche e culturali per siglare un patto intergenerazionale l’Italia non potrà invertire il proprio declino: potrà forse aumentare la ricchezza di alcuni, comunque di pochi, ma si prosciugherà il destino di un popolo. Tale ipotesi va naturalmente scongiurata e il presente Rapporto-proposta si muove nella direzione giusta che è quella di accrescere la consapevolezza di un problema: il che è, se non la soluzione, certamente la premessa del un suo superamento.