ROMA, martedì, 15 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Nei dibattiti sulla musica liturgica degli ultimi decenni, ci si sofferma molto su interpretazioni di documenti e su traduzioni più o meno fedeli degli stessi. Ciò è necessario e non sta a me entrare nel merito di questo. Perlomeno, in quest’articolo. In effetti, quest’articolo non ha pretese di spiegare nulla, di chiarire chissà quali arcani, di esemplificare le complessità che sono oggetto di già tanti dibattiti. Vorrei solo dire qualcosa su cosa significa per me cantare e perché la Chiesa Cattolica dovrebbe considerare seriamente questa attività umana e non relegarla, come talvolta succede, alle smanie incontrollabili del dilettantismo (il dilettantismo che si oppone all’aver cura, non al professionismo). Sono molti anni che sono attivo in questo campo, più di venticinque, per la precisione.
Ogni tanto mi sono soffermato a chiedermi: ma perché far cantare durante la Messa? Non sarebbe meglio far leggere tutto? Si snellirebbe il tutto e non ci si dovrebbe preoccupare di cantori, strumentisti, spartiti… Io credo che questa domanda se la dovrebbero porre tutti coloro che operano nella liturgia come cantori, direttori, organisti, strumentisti e via dicendo. In questo modo si rivedrebbero le ragioni del proprio impegno, prima che esso possa scadere in un mero soddisfare proprie voglie artistiche, il che lo farebbe deragliare dal binario principale in modo drammatico. Il porsi domande ci impedisce di diventare schiavi dell’abitudine, pericolo insito in ogni attività umana.
Devo dire che ogni volta che mi interrogo su questo tema mi trovo a sondare con nuova forza le tante ragioni che durante la mia esistenza mi sono dato. Quello che era valido nella mia adolescenza potrebbe non funzionare più oggi. Perché impegnarsi affinché durante la liturgia ci sia il canto? Una delle ragioni che più mi sembrano valide e che ancora oggi mi offre consolazione è legata ai limiti del linguaggio. La comunicazione verbale dice molto ma ha un limite evidente specialmente quando si tratta di esprimere realtà soprannaturali. Questo non è difficile da vedere anche nella nostra vita di tutti i giorni: quando siamo innamorati, come cerchiamo di esprimere le nostre emozioni? Una canzone (“cara, stanno suonando la nostra canzone!” – è un classico), un’immagine, una poesia (che è certo comunicazione verbale, ma che cerca la musica nelle parole)…di certo non si sceglie di fare un comunicato (“In data undici febbraio 2011, il sottoscritto dichiara di avvertire sentimenti speciali nei confronti della signorina tal dei tali…”, ammetterete che non suona bene).
Insomma, il linguaggio verbale è fondamentale ma è limitato. Quando ci si vuole spalancare sull’oltre, si devono cercare nuovi mezzi espressivi per tentare di rappresentare ciò che non riusciamo nemmeno a comprendere pienamente. Inoltre, pensateci bene: anche il linguaggio verbale non è pienamente “verbale”: gesti, intonazioni, espressioni facciali e corporee ne denotano il significato, in modo fondamentale. Pensate di dire a qualcuno una frase tipo: “ti amo!”. Immaginate ora di dire questa frase come pura espressione verbale, senza intonazioni o espressioni che ne aiutino l’efficacia. La frase è puro suono, chiunque si renderebbe conto che non funziona, non comunica.
Quindi, anche il verbale si appoggia pesantemente su altri mezzi che ne permettono l’efficacia. Se la comunicazione verbale è così limitata nelle cose umane, immaginatevi nelle cose che superano la nostra comprensione. Un teologo del recentissimo passato, Karl Rahner, diceva che abbiamo bisogno dell’arte quando facciamo teologia, in quanto attraverso l’arte rappresentiamo l’uomo nella sua interezza. Posso non condividere altre affermazioni di questo teologo, ma questa mi trova in pieno accordo. Chi avesse letto il libro di Daniel Goleman, “Intelligenza emotiva”, potrebbe affermare insieme a me che la parte che gioca l’emotività in quello che noi siamo è assolutamente di primo piano e l’arte è la chiave per entrare in contatto con questa parte di noi che anche la moderna scienza ci dice essere fondamentale. Attraverso il canto la nostra voce si modula su frequenze che il semplice parlare non può raggiungere. Attraverso il canto si comunica da cuore a cuore, il cuore del credente con il cuore del messaggio. La fede non è concettuale. Se leggiamo i Vangeli ci accorgiamo come il messaggio di Gesù sia comunicato attraverso un rivelarsi emozionale: sorpresa, amore, pianto…Egli parla al cuore. Il canto permette all’uomo di entrare in contatto con questa memoria, di farla sua.
Attraverso le melodie del passato possiamo essere parte di una tradizione di credenti che hanno prima di noi cantato il messaggio della salvezza. Attraverso le melodie del presente possiamo anche noi contribuire alla edificazione di quel canto della fede che si innalza dai campanili di cento chiese.
Attraverso le melodie del futuro saremo sempre pronti a partecipare a quel canto nuovo, quel canto che ci impegna ogni giorno a rivedere le nostre vite alla sua luce. Cantare è proprio di chi ama, diceva sant’Agostino. Non è proprio di chi ragiona, ma di chi ama. Ricordo mia madre, che amava molto cantare. Quando ero molto giovane mi portava in Chiesa a cantare con lei. Quando è cominciata la sua malattia, la sua bella voce non era più sonora come un tempo. Allora ogni tanto mi chiedeva: ma perché non riesco più a cantare bene? Io non sapevo, forse non potevo, rispondere. Ma il mio cuore gli diceva che il suo bel canto si era trasfigurato nella sua sofferenza; essa si era fatta melodia con cui Dio intonava un canto che solo orecchie attente alle sonorità che vengono dall’eterno possono intendere.
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*Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. E' professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute, la Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L'Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. E' socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell'Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l'ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.