Intervento della Santa Sede sulla tutela della proprietà intellettuale

A Ginevra per un incontro delle Assemblee degli Stati membri dell’Ompi

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GINEVRA, mercoledì, 29 settembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’intervento pronunciato il 21 settembre dall’Arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni Specializzate a Ginevra, in occasione della 48a serie di incontri delle Assemblee degli Stati membri dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (Ompi).

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Presidente,

la delegazione della Santa Sede apprezza molto il fatto che l’attenzione di questo Segmento Ministeriale ad Alto Livello della quarantottesima Serie di Incontri delle Assemblee Generali dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale sia concentrata sulle questioni critiche di innovazione, crescita e sviluppo: una migliore creatività offre a tutti nuove e concrete opzioni.

La ration d’être del sistema di protezione della proprietà intellettuale è la promozione della produzione letteraria, scientifica o artistica e, in generale, dell’attività creativa a favore del «bene comune». Quindi, la protezione sancisce ufficialmente il diritto dell’autore o dell’inventore al riconoscimento della proprietà della sua opera e a un certo grado di remunerazione economica. Nello stesso tempo, essa è al servizio del progresso culturale e materiale della società nella sua interezza. Secondo l’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo «Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore». In definitiva, la protezione della proprietà intellettuale riconosce la dignità dell’uomo e la sua opera, che diviene espressione della crescita della personalità individuale e del bene comune e vi contribuisce.

Gli economisti riconoscono diversi meccanismi attraverso i quali i Diritti di Proprietà Intellettuale possono incentivare lo sviluppo economico: essi sono interdipendenti, quindi risulta appropriata una visione ampia degli incentivi associati a questi diritti. Essi dedicano molta attenzione a tale questione, ma finora gli esiti sono frammentari e per certi versi contraddittori, in parte perché molti dei concetti implicati non sono ancora stati analizzati. Un sistema più efficace di protezione potrebbe sia migliorare sia limitare la crescita economica. Infatti, sebbene il rafforzamento dei Diritti di Proprietà Intellettuale abbia il potenziale per migliorare la crescita e lo sviluppo in circostanze adeguate, potrebbe anche produrre costi economici e sociali difficili da sostenere. Le economie in via di sviluppo potrebbero subire perdite economiche nette nel breve periodo perché i numerosi costi della protezione potrebbero emergere prima dei benefici dinamici. Questa situazione spiega perché è spesso difficile pervenire a una convergenza di interessi a favore della riforma della proprietà intellettuale nei Paesi in via di sviluppo.

L’adozione di Diritti di Proprietà Intellettuale più forti nei Paesi in via di sviluppo viene spesso sostenuta da argomentazioni secondo le quali tale riforma produrrà significativi nuovi afflussi di tecnologia, la fioritura dell’innovazione locale e dell’industria culturale e una più rapida riduzione del divario tecnologico fra Paesi industrializzati e in via di sviluppo. Bisogna riconoscere, però, che è molto improbabile che il miglioramento dei Diritti di Proprietà Intellettuale apporti, da solo, questi benefici.

Nei vari Paesi, l’aumento dei benefici derivanti dai Diritti di Proprietà Intellettuale dipende dalla capacità dei Paesi stessi di assorbire e sviluppare tecnologie e nuovi prodotti. In questo contesto, tre elementi sono importanti ai fini dello sviluppo. In primo luogo, è evidente che la capacità di adattare le nuove tecnologie agli usi industriali locali migliora in presenza di alti livelli di educazione e di un adeguato capitale umano qualificato. Quindi, è importante offrire accesso alla formazione tecnica e all’istruzione secondaria o universitaria. In secondo luogo, l’assorbimento di tecnologie straniere per migliorare la produttività dipende molto dalla capacità di Ricerca e Sviluppo delle imprese locali. Questa osservazione evidenzia l’importanza di elaborare un’efficace politica tecnologica per promuovere un cambiamento tecnico nelle imprese nazionali. Questi programmi potrebbero includere progetti di dimostrazione tecnologica, condivisione di informazioni attraverso conferenze, promozione della ricerca, imprese di partecipazione, miglioramento dei collegamenti fra istituti pubblici di ricerca e imprese.

In terzo luogo, in molti Paesi, un problema importante è l’impossibilità degli istituti di ricerca di immettere sul mercato le loro invenzioni in maniera utile. Diritti di Proprietà Intellettuale più forti sarebbero d’ausilio in tale contesto, ma lo sarebbero anche accordi di sviluppo fra istituti e imprese con quote di proprietà definite e una maggiore flessibilità per i ricercatori affinché creino nuovi interessi commerciali. Non da ultimo, è anche importante che i Paesi incoraggino lo sviluppo dei mercati finanziari per poter riuscire a far fronte ai grandi pericoli impliciti nello sviluppo tecnologico.

Presidente,

queste poche osservazioni intendono sottolineare la convinzione che lo scopo principale della comunità internazionale nello sviluppare un regime corretto di diritti di proprietà intellettuale dovrebbe tendere al bene di tutti, alla ricerca di rapporti internazionali più equi, in particolare in relazione alle persone più povere e più vulnerabili. Nella sua più recente Lettera Enciclica, Papa Benedetto xvi ci ricorda questo obiettivo: «nell’ambito delle cause immateriali o culturali dello sviluppo e del sottosviluppo possiamo trovare la medesima articolazione di responsabilità. Ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario. Nello stesso tempo, in alcuni Paesi poveri persistono modelli culturali e norme sociali di comportamento che rallentano il processo di sviluppo» (Caritas in veritate, n. 22).

[L’OSSERVATORE ROMANO – Edizione quotidiana – del 30 settembre 2010]

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ZENIT Staff

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