ROMA, domenica, 26 settembre 2010 (ZENIT.org).- “Essi furono pagine del Vangelo vissute con intensità”. Così il Cardinale Josè Saraiva Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi, ha ricordato il 24 settembre san Vincenzo de’ Paoli e la sua principale collaboratrice santa Luisa de Marillac nella Messa tenutasi nella Sala dell’Augustinianum, a Roma, a inaugurazione del convegno sul tema “Carità e Missione”.
La tre giorni di convegno, a cui hanno partecipato circa 500 persone, è servito a suggellare l’Anno giubilare indetto per i 350 anni dalla morte dei fondatori della Famiglia Vincenziana.
“Furono due grandi maestri di carità perché furono anzitutto due grandi maestri di vita spirituale” ha detto il porporato il quale ha poi sottolineato che “i carismi sono un dono dello Spirito Santo concessi alla comunità cristiana affinché abbia il coraggio di evangelizzare, insegnare e guarire, ma soprattutto testimoniando, amando”.
“Nel XVII secolo – ha continuato – per rispondere alla fame di Dio lo Spirito Santo fece nascere san Vincenzo e santa Luisa che si impegnarono nella costruzione di una nuova società basata sulla solidarietà e la carità. Essi seppero coinvolgere tutti, altolocati e poveri, re e regina, dai grandi ai piccoli”.
San Vincenzo de Paoli, nato il 25 aprile 1581 a Pouy, nel sud-ovest della Francia, diede vita alle Dame della Carità (poi Volontariato Vincenziano), alla Congregazione della Missione, alle Figlie della Carità, impegnate negli ospedali e nelle scuole.
Fondamentale alla realizzazione della sua opera, il contributo di Santa Luisa de Marillac, nata a Parigi nel 1591 e appartenente a una delle più celebri famiglie alla corte del re di Francia. Moglie e madre, Luisa iniziò a dedicarsi intensamente alle opere di solidarietà dopo la scomparsa del marito e, in particolare, fu attiva nella Compagnia delle Dame della Carità sotto la guida di san Vincenzo.
“I poveri – ha aggiunto il Cardinale Saraiva Martins – non furono vissuti da loro come qualcosa di ingombrante ma da amare in Cristo come si ama se stessi. Un amore questo che non nasce da un sentimento paternalistico, lavorarono con coraggio avendo intuizioni profetiche, vivendo il loro impegno come una vera e propria esigenza della fede”.
“La Chiesa ed il mondo ha bisogno della vostra opera” ha aggiunto rivolgendosi alle centinaia di vincenziani presenti nella sala dell’Augustinianum. “La carità vincenziana – ha concluso – non è di resa ma di resistenza!”.
Sabato 25 settembre, invece, nel presidere una Messa nella Basilica di San Pietro alla presenza dei partecipanti al convegno “Carità e missione” il Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, il Cardinale Franc Rodé, nel richiamare l’esempio dei santi fondatori ha sottolineato come “la richiesta di amore è altrettanto insistente oggi come lo era nel XVII secolo, anzi forse maggiore”.
“Essere vincenziano oggi – ha detto il porporato – significa seguire ancora una volta Cristo, l’evangelizzatore dei poveri, e la sua missione; significa essere missionari, ‘infiammare’ il cuore degli uomini con uno stile di vita semplice, umile, mite, mortificato, zelante”.
In questo senso, ha concluso, “un vincenziano deve avere un surplus di amore e di conoscenza dei poveri: il vero vincenziano conosce Cristo, lo mette al centro, conosce san Vincenzo, santa Luisa e i santi vincenziani e conosce i poveri. Si lascia evangelizzare e cambiare da loro e agisce e opera per loro. Un vincenziano è prima di ogni altra cosa tutto di Dio e al servizio di tutti”.