Il valore dell’elevazione eucaristica

ROMA, martedì, 21 settembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito una riflessione di don Enrico Finotti, parroco di S. Maria del Carmine in Rovereto (prov. Trento), apparsa sulla rivista Liturgia ‘culmen et fons’ (www.liturgiaculmenetfons.it).

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Il rito dell’elevazione eucaristica è certamente il più evidente fra i riti della Consacrazione e quello che imprime al complesso rituale il maggior impatto in ordine alla centralità e alla solennità della Consacrazione stessa. Senza l’elevazione, la Consacrazione perderebbe evidenza e rischierebbe di scomparire nel flusso del racconto, senza alcuna pausa contemplativa e indugio adorante. Ma è appunto l’elevazione quella che oggi tende ad essere ridotta, dimezzata, affrettata o anche di fatto eliminata. Il rito della duplice elevazione seguita dalla duplice genuflessione oggi sembra far problema. Le difficoltà si possono individuare in alcune posizioni, oggi diffuse e dibattute.

1. Il ritorno alla forma romana classica, quando il rito ancora non prevedeva l’elevazione, subentrata nel secondo millennio.

2. L’unità strutturale del Canone, come complesso unitario che non deve subire alcuna soluzione di continuità.

3. L’unicità della più antica elevazione nella dossologia conclusiva del Canone, che non dovrebbe avere rivali o inutili duplicazioni.

4. L’insorgenza dell’ espressione devozionale medioevale, che, secondo alcuni, non dovrebbe entrare nel tessuto interno del Canone e che per di più è relativa al solo aspetto della presenza reale.

Queste motivazioni, nate nel contesto degli studi preparatori alla riforma liturgica, persistono ancora influenzando la prassi celebrativa. Certamente queste considerazioni hanno il loro valore e devono ispirare dei correttivi nell’impostazione dei nuovi Canoni, ma al contempo non si possono eliminare altre forme rituali, pure legittime, sorte con lo sviluppo teologico e liturgico dei secoli successivi.

Non è possibile un puro ritorno archeologico alla forma antica del Canone primitivo, perché la liturgia della Chiesa è espressione viva di una crescita organica relativa allo sviluppo del dogma e alle mutevoli situazioni spirituali e liturgiche della vita della Chiesa nei secoli.

Inoltre il carattere unitario del Canone fu già intaccato con l’introduzione antichissima del Sanctus – sia in oriente come in occidente – che per primo interruppe la continuità della Prece eucaristica, creando, nella liturgia latina, la distinzione tra il prefazio e il canone.

La duplice elevazione conclusiva con la patena e il calice al termine della preghiera eucaristica, non fa che riprendere in sintesi il moto ascensionale dell’intero canone che già la duplice elevazione delle sacre specie esprime con connotati più analitici, specifici e in forma più solenne. Essa è un complemento non un’alternativa.

Infine, occorre distinguere tra devozione e devozioni. Non è assolutamente possibile voler elimi-nare dalla consacrazione e dalla liturgia in genere il senso vivo dell’adorazione e gli atteggiamenti di venerabile rispetto con cui si trattano i santi Misteri. Tale procedimento minerebbe alla radice un elemento essenziale del dogma: la presenza del Signore nel sacramento. Ora l’elevazione afferma con stupore proprio questa presenza. Occorre invece evitare nel modo assoluto di introdurre nei riti stabiliti dalla Chiesa espressioni di devozioni private, che alterano l’equilibrio del rito e che possono invece aver luogo nel culto eucaristico fuori della Messa.

Alla luce di queste distinzioni si ritiene quanto mai urgente un rito dell’elevazione fatto bene e con convinzione. Giustamente esso deve essere integrato con tutti i tre aspetti del Mistero eucaristico: si elevano solennemente le sacre specie per adorare la presenza ‘vera reale e sostanziale’ del Signore, vero Dio e vero uomo; ma si elevano anche molto in alto con le due mani per dare visibile espressione all’offerta sacrificale che in quell’istante il Signore compie, offrendosi al Padre in sacrificio perfetto: con Lui anche la Chiesa si offre a anche i presenti offrono se stessi; infine, già contemplando la forma conviviale del Corpo e del Sangue del Signore si anticipa l’unione con Lui che sarà sacramentale nella Comunione.

In tal modo i tre aspetti indissolubili e costitutivi del Mistero eucaristico – Presenza, Sacrificio e Cibo – trovano perfetta espressione rituale nell’elevazione fatta con calma, con fede, con proprietà e solennità. Difficilmente si potrà sostituire un rito tanto venerando e capace di ‘mostrare’ il Mistero eucaristico nei suoi tre aspetti indissociabili, proprio nel momento in cui si compie. La sua eliminazione o il suo impoverimento porterebbe all’abbassamento della dimensione adorante e sacrificale dell’eucaristia e la stessa comunione sarebbe esposta ad una recezione superficiale del Corpo e del Sangue di Cristo, perché sarebbe tolta ai fedeli una modalità geniale ed efficace per adorarlo e riconoscerlo nella fede e unirsi al suo sacrificio.

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ZENIT Staff

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