La Chiesa patriarcale e la Santa Sede secondo il Vaticano II (II)

di padre Hani Bakhoum Kiroulos

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ROMA, sabato, 18 settembre 2010 (ZENIT.org).- Il Decreto conciliare Orientalium Ecclesiarum è stato elaborato per rispondere alle varie difficoltà e critiche sorte con la promulgazione della precedente codificazione canonica di Pio XII[1].

Esso contiene trenta paragrafi. In questi paragrafi come afferma Padre Brogi: “si enunciano dei principi e sono contenute delle norme”[2].

Tra i principi si nota la grande stima che la Chiesa Cattolica ha verso “i riti liturgici, le tradizioni ecclesiastiche e la disciplina della vita cristiana delle chiese orientali”[3].

Tale stima deriva dal fatto che nelle Chiese Orientali “risplende la Tradizione, che deriva dagli Apostoli attraverso i Padri, che costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa Universale”[4].

Chiese particolari o Riti

Il paragrafo 2 afferma che, la varietà delle tradizioni non nuoce al principio dell’unità della Chiesa. Le vari tradizioni sono vincolate dall’unità della fede, dei sacramenti, e del governo e manifestano la stessa unità della Chiesa.

Riguardo la dignità dei riti, il Decreto afferma che tutte le chiese particolari sia d’Oriente che d’Occidente godono della stessa dignità e che allo stesso modo sono affidate al governo del Romano Pontefice[5]. Cioè le Chiese d’oriente non sono le uniche chiese chiamate “particolari” ma allo stesso modo, anche la Chiesa Latina è una chiesa particolare[6]. E che tutte le chiese, nonostante siano diversi tra di loro per il rito sono ugualmente affidate alla cura del Romano Pontefice.

– Il patrimonio delle Chiese Orientali

Il concilio non solo “circonda di doverosa stima e di giusta lode”[7] il patrimonio ecclesiastico e spirituale delle Chiese d’oriente, “ma lo considera fermamente come patrimonio di tutta la Chiesa. Dichiara quindi solennemente che le chiese d’oriente, come anche d’occidente, hanno il diritto e il dovere di reggersi secondo le proprie discipline particolari”[8]. Tale diritto e dovere troveranno la loro applicazione nei Codici rispettivamente proposti alle Chiese Orientali e alla Chiesa Latina[9].

Il Concilio con questa dichiarazione evidenzia l’autonomia delle Chiese Orientali. E’ un’autonomia relativa ed è soggetta all’autorità Suprema della Chiesa[10].

– I Patriarchi Orientali

Per il Concilio, col termine “Patriarca orientale”, si intende un vescovo, cui compete la giurisdizione su tutti i vescovi, compresi i metropoliti, il clero e il popolo del proprio territorio o rito, a norma del diritto e salvo restando il primato del Romano Pontefice.

La definizione del termine “Patriarca orientale” nel Decreto è innovativa riguardo la definizione già data nel Cleri Sanctitate can. 216 § 2.1. Il cambiamento e le modifiche riguardo la figura del Patriarca, effettuata nel Decreto, segnano un sensibile progresso rispetto al Cleri Sanctitati.

Nel caso in cui “si costituisce un gerarca di qualche rito fuori dei confini del territorio patriarcale, a norma del diritto, esso rimane aggregato alla gerarchia del patriarcato dello stesso rito”[11].

Il Concilio concede al Patriarca di riottenere la sua piena responsabilità verso i suoi fedeli, i quali si trovano fuori dai confini del suo territorio e di estendere la sua autorità su suoi gerarchi, ovunque si trovino. E non più come affermava il can 240 del Cleri Sanctitate, che l’autorità del Patriarca è valida solamente dentro i confini del suo territorio.

La Congregazione per le Chiese Orientali ha pubblicato una dichiarazione[12] riguardo i vescovi costituiti fuori dei confini del territorio patriarcale, in cui si afferma: che possono partecipare con il voto deliberativo al sinodo patriarcale della propria chiesa. Inoltre, nel caso della sede patriarcale vacante o impedita, l’Amministratore Patriarcale ha il dovere di convocare al sinodo tutti i vescovi della propria chiesa, anche quelli che sono costituiti fuori del territorio.

Il paragrafo 9 è di maggiore importanza riguardo la figura del Patriarca Orientale. Nella prima parte del paragrafo, il Concilio esprime il desiderio e la volontà di restaurare i diritti e i privilegi ai Patriarchi Orientali[13]. Nella seconda parte del medesimo paragrafo si menziona che:

“I patriarchi coi loro sinodi costituiscono la superiore istanza per qualsiasi pratica del patriarcato, non escluso il diritto di costituire nuove eparchie e di nominare vescovi del loro rito entro i confini del territorio patriarcale, salvo restando l’inalienabile diritto del romano pontefice di intervenire nei singoli casi”[14].

Il Concilio ha fatto un immediato capovolgimento della normativa allora vigente, ha restaurato una grande indipendenza per i Patriarchi e per il loro sinodo riguardo la nomina dei vescovi della propria Chiesa.

Tale indipendenza non toglie nulla alla Potestà del Romano Pontefice verso le Chiese Patriarcali Orientali Cattoliche. Il Romano Pontefice con la Sua potestà può intervenire negli affari ecclesiastici, ogni volta che ne vede la necessità.

– I Sacramenti e i rapporti con i fratelli delle Chiese separate.

Nella terza parte del Decreto vengono regolate l’amministrazione dei Sacramenti. Il Concilio, al paragrafo 12, manifesta il suo grande rispetto e stima per l’antica disciplina dei sacramenti vigenti, verso le Chiese Orientali.

Al paragrafo 19 si riserva il diritto di trasferire o di sopprimere i giorni festivi comuni a tutte le Chiese alla Santa Sede o al Concilio Ecumenico.

Spetta al Patriarca col suo sinodo il diritto di regolare l’uso delle lingue nelle Sacre funzioni Liturgiche e di approvare le versioni dei testi, dopo averne data relazione alla Sede Apostolica.

Nella quinta parte vengono trattati i rapporti con i fratelli delle Chiese separate e la communicatio in sacris. Tali rapporti furono stabiliti dal Direttorio Ecumenico e dal Codice Latino.

Nella conclusione del Decreto, il Concilio invita tutti i cristiani a innalzare preghiere ferventi e assidue per l’unità della Chiesa.

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1) Cfr. J. CHIRAMEL, The Patriarchal Churches in The Oriental Canon Law, 150.

2) M. BROGI, Codificazione del Diritto Comune nelle Chiese Orientali Cattoliche, 16.

3) OE 1.

4) Idem.

5) Cfr. OE 3.

6) N. EDELBY – I. DICK, Les Eglises Orientales Catholiques (Décret Orientalium Ecclesiarum), 157.

7) OE 5

8) Idem.

9) Cfr. E. EID, Authority and Autonomy; in Atti del Congresso Internazionale: Incontro fra Canoni d’Oriente e d’Occidente (Bari 1991), 427.

10) Cfr. Nuntia, 28 (1989), 19.

11) OE 7.

12) Sacra Congregatio Pro Ecclesiis Orientalibus, Decleratio, in AAS, 62 (1970), 179.

13) Cfr. J. CHIRAMEL, The Patriarchal Churches in The Oriental Canon Law, 166- 172.

14) OE 9.

[La prima parte dell’articolo è stata pubblicata il 14 settembre 2010]

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ZENIT Staff

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