Le riforme dopo la crisi degli abusi sessuali (parte I)

Intervista agli autori Gregory Erlandson e Matthew Bunson

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di Karna Swanson

HUNGTINGTON (Indiana), lunedì 6 settembre 2010 (ZENIT.org).- Come nel 2002, la Chiesa sta nuovamente attraversando il doloroso processo di gestione di un’ondata di scandali sessuali. La differenza è che questa volta la Chiesa ha maggiore consapevolezza della gravità della pedofilia e può contare su 10 anni di esperienza maturata dai vescovi americani.

Queste sono le conclusioni a cui giungono Matthew Bunson e Gregory Erlandson nel loro libro “Pope Benedict XVI and the Sexual Abuse Crisis: Working for Reform and Renewal” (Our Sunday Visitor, 2010), di recente pubblicazione. Erlandson è presidente ed editore di Our Sunday Visitor Publishing, mentre Bunson è l’editore di The Catholic Almanac e di The Catholic Answer magazine (entrambi pubblicati da Our Sunday Visitor), oltre ad essere un punto di riferimento per la stampa sui temi cattolici.

In questa prima parte dell’intervista rilasciata a ZENIT, gli autori discutono sull’ultima serie di scandali legati ad abusi sessuali e spiegano perché è importante essere precisi nell’uso di termini tecnici come peodofilia, efebofilia o ebofilia, e perché la risposta dei vescovi statunitensi alla crisi del 2002 sia un importante modello per le altre conferenze episcopali.

Nei servizi giornalistici si sente molto usare il termine pedofilia. Nel vostro libro spiegate che solo il 6% circa di tutti i casi riportati sono effettivamente casi di pedofilia, che è tecnicamente definita come abuso sessuale su bambini in prepubertà. Perché questa confusione terminologica? E quanto è importante usare correttamente le parole? La Chiesa sta minimizzando gli scandali degli abusi sottolineando che i bambini abusati erano già ragazzi e adolescenti?

Bunson e Erlandson: Anzitutto è bene chiarire definitivamente che un abuso è un abuso ed è una cosa orrenda, quale che sia l’età del minore. È sia un crimine che un peccato. Che un adulto, con potere e autorità – e nel caso dei preti, con la veste dell’autorità divina – abusi sessualmente di un minore è intollerabile. Punto.

Quando la discussione assume contorni più scientifici, occorre tuttavia riconoscere che uno degli aspetti più problematici nell’affrontare il problema degli abusi sessuali è stata la necessità di approfondire la nostra conoscenza sulla pedofilia. Mentre la pedofilia è conosciuta dalla psichiatria da più di un secolo, solo negli anni Cinquanta è stata formalmente identificata e solo nel 1980 è stata corredata di parametri diagnostici da parte dei medici della salute mentale. Le distinzioni sono utilizzate dai medici per identificare se la vittima sia in prepubertà, in pubertà o classificato come giovane adulto.

È fondamentale che chi ha autorità nella Chiesa comprenda ogni aspetto di questo problema, al fine di poterlo affrontare in modo efficace ed esaustivo, e di mettere in atto meccanismi adeguati di prevenzione. Questo implica precisione clinica nell’affrontare la materia.

Per esempio, occorre tener conto dei diversi gruppi di età delle vittime e dei rispettivi termini che sono utilizzati per le diverse forme del fenomeno: pedofilia se le vittime sono minori di 10 anni, efebofilia se l’età è tra i 10 e i 14 anni, o ebofilia se tra i 14 e i 17 anni.

Queste distinzioni non sono state escogitate per qualche tentativo di minimizzare o sminuire la questione; tutt’altro. Se siamo in grado di determinare che una certa fascia d’età è più esposta agli abusi sessuali, possiamo mettere a fuoco con ancora maggiore precisione le cause del fenomeno e stabilire regole e barriere per la protezione dei minori e del loro benessere. Gli studi compiuti negli Stati Uniti hanno mostrato che la maggioranza degli abusi comprende ragazzi tra i 10 e i 14 anni, che è – per esempio – l’età tipica del coinvolgimento nel servizio all’altare.

Chiunque tenti di utilizzare le statistiche per dare l’idea che non si tratti di un problema grave o che vi siano circostanze attenuanti compie non solo un errore di valutazione sulla gravità di questo crimine peccaminoso, ma rende anche un disservizio alle vittime, alle loro famiglie e alla Chiesa.

Gli Stati Uniti hanno attraversato il periodo più grave della crisi degli abusi sessuali nel 2002 (quasi 10 anni fa!). Alla fine dello scorso anno, la pubblicazione dei rapporti di Ryan e Murphy, in Irlanda, ha innescato un altro periodo di crisi, che questa volta ha avuto ripercussioni maggiori in Europa e meno negli Stati Uniti. Quale era il contenuto dei rapporti tanto da far balzare nuovamente questo problema sulle prime pagine?

Bunson e Erlandson: Il nostro libro è stato pensato sin dall’inizio per aiutare la gente ad essere informata sulla vera storia della crisi, sia negli Stati Uniti, sia nel resto del mondo. Una delle cose che abbiamo rilevato subito, nell’ambito di questa nuova ondata globale di casi di abusi, è ciò che ha sottolineato nella domanda. Quando la Chiesa negli Stati Uniti è stata costretta ad affrontare gli scandali mediatici del 2002, i vescovi hanno risposto con un pacchetto complessivo di riforme: la Dallas Charter, le Essential Norms per la gestione dei casi, i colloqui annuali e l’adozione di una linea di tolleranza zero e di un sano ambiente nelle parrocchie, nelle scuole e negli istituti cattolici.

In seguito alle ultime rivelazioni mediatiche che hanno fatto il giro del mondo, i cattolici negli Stati Uniti potrebbero avere l’impressione che non sia stato compiuto alcun passo in avanti negli ultimi otto anni. Il nostro libro cerca di ricordare alle persone ciò che potrebbero aver dimenticato: che abbiamo compiuto enormi progressi in questo ambito negli Stati Uniti. Sebbene resti ancora molto da fare e occorra non abbassare la guardia, gli Stati Uniti sono oggi un modello per il resto del mondo nella gestione di queste crisi.

Questa è una base importane per poter guardare alla tragedia della Chiesa in Irlanda e altrove. I rapporti di Ryan e Murphy, nel proporre i dettagli shoccanti e orribili degli abusi e del fallimento istituzionale in Irlanda, e in particolare nell’Arcidiocesi di Dublino, hanno scosso la Chiesa in Irlanda e hanno notevolmente indebolito la credibilità e l’autorità morale della Chiesa in quel Paese; hanno anche incrinato la credibilità del Governo che è stato complice negli ultimi decenni del terribile fenomeno degli abusi sessuali e fisici sui bambini a causa della sua inattività e della sua scarsa volontà di affrontare il problema.

I vescovi irlandesi e gli esponenti della Chiesa irlandese sapevano che i rapporti avrebbero rivelato fatti terribili di abusi sui minori, ma la cifra e l’orrore dei fatti stessi ha sorpreso tutti. L’Arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin, ha parlato a lungo di questo ed è stato una vera guida nell’indicare la lunga e difficile strada delle riforme e del rinnovamento per la Chiesa in Irlanda.

Ancora più importante è stato il Papa che, lo scorso marzo, dopo aver ricevuto i rapporti, ha scritto una lettera, senza precedenti, ai cattolici d’Irlanda. Si tratta di un documento straordinario nella sua franchezza e nella sua espressione di tristezza, di richiesta di perdono e di impegno nei confronti dell’Irlanda intera, per portare sollievo alle vittime, giustizia agli abusati e affidabilità ai vescovi che hanno mancato ai loro doveri e per assicurare un rinnovamento spirituale per gli anni a venire.

Purtroppo assistiamo a problemi simili in tutto il mondo. Vi sono casi in Germania, in Belgio, in Olanda e in Svizzera. L’Australia sta vendendo fuori solo ora da una terribile crisi. Vi sono casi in Brasile e nelle Filippine.

Ma qui vediamo l’importanza dell’esperienza statunitense. Le norme e i programmi definiti dai vescovi degli Stati Uniti vengono ora utilizzati come modello di riferimento dai Paesi che affron
tano lo stesso tipo di scandali.

La maggior parte dei casi di abuso riguarda eventi avvenuti 20 o 30 anni fa. Perché la Chiesa se ne occupa solo ora? Perché ci ha messo così tanto tempo?

Bunson e Erlandson: Questo è un elemento importante per comprendere bene questa crisi. La maggioranza dei casi risale a 30, 40 o persino 50 anni fa. Negli Stati Uniti vi sono stati alcuni casi importanti negli anni Ottanta e Novanta, ma la tempesta si è abbattuta verso il 2001-2002 a causa anche delle esplosive rivelazione del quotidiano The Boston Globe sui documenti ottenuti dall’Arcidiocesi di Boston. Le notizie stampa, a loro volta hanno incoraggiato molte altre vittime a farsi avanti.

Una situazione simile la vediamo in Europa, dove le recenti notizie hanno indotto altre vittime a parlare, anche in Paesi come l’Olanda, dove già si era fatto ogni sforzo per incoraggiare le vittime a venire allo scoperto. La Chiesa in questi Paesi ha dimostrato di voler veramente affrontare il problema, ora che è stato ampiamente portato alla luce.

Come abbiamo detto, la Chiesa negli Stati Uniti ha ormai un’esperienza decennale sull’argomento. Anche l’Australia lo sta affrontando da molti anni. L’Austria, invece, ha a che fare con esso da alcuni anni: vi sono state anche le dimissioni del cardinale Hermann Gröer, Arcivescovo di Vienna, nel 1995, e uno scandalo relativo al seminario di Sankt Pölten nel 2004.

Vi è una comprensibile impressione che la crisi si stia aggravando, che nuovi casi si stiano accumulando e che non abbiamo fatto nulla per migliorare la situazione. La verità è che si è dovuto avviare un doloroso processo per portare i vertici cattolici ad una migliore comprensione della portata e della gravità del problema. Errori terribili sono stati compiuti nel passato e molti casi e situazioni sono stati ignorati. Alla fine sono venuti alla luce, a distanza di decenni, e ci è voluto del tempo per elaborare e attuare le giuste misure. Ora, in Europa e in altre parti del mondo, si devono affrontare le stesse situazioni che sono state affrontate dai vescovi americani nel 2002.

[Martedì 7 settembre, la seconda parte: Il ruolo di Benedetto XVI nel portare avanti la Chiesa]


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ZENIT Staff

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