ROMA, giovedì, 2 settembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito una riflessione di don Enrico Finotti, parroco di S. Maria del Carmine a Rovereto, apparsa sulla rivista “Liturgia ‘culmen et fons'” del mese di giugno.
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“La musica sacra come parte integrante della liturgia solenne, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione ed edificazione dei fedeli” (Pio X, Motu proprio sulla musica sacra, 1). La musica che oggi si esegue nelle chiese è veramente conforme a questo principio? Esprime la gloria di Dio, oppure, si dice, per Dio tutto va bene, egli è indifferente alla qualità della nostra musica? Questo buonismo nei confronti di Dio è tollerabile? Tutto deve riferirsi a noi? Non è questo una forma di antropocentrismo? Che significato ebbero allora opere d’arte, nei recessi nascosti delle cattedrali gotiche, sottratte allo sguardo umano e fatte unicamente come atto di culto a Dio? Che ne è di una vita contemplativa tutta dedita a Dio e relegata dagli uomini? Se per Dio tutto va bene purché funzioni, per noi cessa ogni attenzione a Lui e tutto si concentra su di noi.
La vita spirituale perde ogni valore e ogni atto intimo ed interiore tra l’anima e Dio diventa insignificante. Al contempo ci domandiamo: la musica eseguita nelle nostre chiese eleva lo spirito alle cose soprannaturali, introduce nei misteri, scuote le menti, converte i cuori, qualifica il linguaggio, nobilita il pensiero, purifica le facoltà interiori, oppure si accontenta di piacere ai gusti momentanei, di soddisfare un’allegria superficiale e di offrire un intrattenimento effimero, di cantare i nostri sentimenti, le nostre angosce e di chiuderci nel cerchio della piccola cronaca quotidiana? In questo orizzonte, fondamentalmente antropocentrico, si delinea la vasta crisi attuale della musica sacra.
E’ importante valutare il problema ed individuare delle soluzioni. Possiamo mettere in luce più aspetti:
1. Non è infrequente l’affermazione: ‘La musica diventa sacra per il testo sacro che riveste’. – Qui per testo si intende un brano letterario tolto dalla Sacra Scrittura o dalla liturgia o da altra fonte letteraria sacra. – E’ questa una errata concezione, che compromette fin dalle radici la natura, la
potenzialità propria e la dignità della musica stessa. Essa sarebbe neutra, ma diverrebbe sacra non appena riveste un testo sacro. In altri termini, la musica da se stessa sarebbe incapace di esprimere e creare il ‘sacro’, ma lo dovrebbe ricevere dall’esterno, mutuandolo appunto dal testo sacro. In realtà la musica è autonoma, ha capacità proprie, interne, iscritte geneticamente nel suo essere, che composte in un certo modo, generano, descrivono in modo geniale e potenziano mirabilmente l’esperienza del sacro. Le strutture costitutive della musica, melodia, ritmo e armonia, impiegate da uomini veramente spirituali, sono da se stesse in grado di creare un fraseggio musicale, che esprima il sacro in un ventaglio immenso di composizioni mirabili, che la storia ci offre e che sommi geni hanno creato. L’indipendenza della musica dal testo è facilmente dimostrabile sia dal fatto che molta musica sacra è senza testo da cantare, sia da testi sacri musicati in modo banale, non conforme al loro carattere sacro. Si pensi a certi testi, anche latini, (Pater, Kyrie, Sanctus) uniti a musiche inadeguate e mancanti. E’ per questo che l’autonomia tra musica e testo consente di affermare: il testo è eccellente, ma la musica è scadente e viceversa.
2. Il ‘testo sacro’, inteso però nel suo senso più largo di adesione intellettuale ed esistenziale ad una fede, è tuttavia importante, anzi indispensabile, per dare il contenuto e definire i connotati propri di un certo tipo di sacro. Infatti il sacro, che la musica è chiamata ad esprimere, è attinto dalla diversa tipologia propria dell’esperienza religiosa che vi sta dietro. Il dogma della fede islamica, non è quello della religiosità induista o buddista, quello della fede protestante non è quello della fede cattolica, ecc. La musica sacra quindi esprimerà fisionomie di sacro diverse a seconda del dogma della fede a cui si aderisce. Il concetto di un dio padrone e giustiziere è diverso da quello di Dio Padre e amore; quello di un dio lontano e insensibile diverso dal Dio vicino e incarnato, ecc. La musica avrà accenti e movenze diverse a secondo della teologia accolta dal compositore. In tal senso il ‘testo’ in questa sua accezione più larga è fondamentale per permettere alla musica di creare quella specifica esperienza del sacro alla quale si aderisce.
3. Si tratta ora di vedere le qualità che la musica deve avere per essere veramente sacra. S. Pio X afferma: “La musica sacra deve possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia, e precisamente la santità, la bontà delle forme e l’universalità”. (Motu proprio sulla musica sacra, 2) Ma come è possibile stabilire la presenza di queste qualità nella musica sacra, dal momento che viviamo in una cultura relativistica nella quale imperversa il soggettivismo, che nega ogni criterio oggettivo di giudizio? Se per me questo è bello, per te è brutto, se per me questo è bene per te è male, ecc. Indubbiamente la vera musica sacra inizialmente potrà apparire tale solo soggettivamente per una determinata cultura, popolo o epoca, ma nel suo sviluppo di maturazione tende ad essere ritenuta sacra universalmente, toccando fibre così profonde dell’essere umano e della sue esperienza religiosa da diventare espressione della religiosità universale. E’ questo l’esempio del canto gregoriano, che rappresenta un frutto ancora insuperato di musica sacra permeata dal mistero di Cristo al servizio della liturgia della Chiesa. Le tre ancelle ‘verità, bellezza e bontà’ non sono larve evanescenti, prive di radici ed esposte al mutevole giudizio soggettivo delle opinioni del momento, ma hanno una profonda base oggettiva, non sempre e subito individuata, che le rende eterne e sulla quale possono ritrovarsi gli uomini di tutti i tempi e di tutti luoghi. Esse sono poi indissolubili: l’una non può sussistere senza le altre. Così è della musica sacra come un aspetto della bellezza e insieme della verità e della bontà proprie del sacro più autentico.
4. Per non giacere nella nebbia del soggettivismo e continuare a litigare in una babele musicale senza principi, senza regole e senza mete è necessario avere una guida, ascoltare i grandi interpreti e rifarsi umilmente ai modelli, che ci hanno preceduto. Non voler aver ‘padri’, tipico atteggiamento del relativismo contemporaneo, è letale per la musica e per ogni altro settore della cultura. Ecco allora la necessità di ascoltare e di seguire il Magistero della Chiesa, che attingendo alla testimonianza dei Santi, al genio dei suoi musicisti, all’esperienza cultuale secolare dell’intero popolo di Dio e soprattutto sotto la continua guida dello Spirito Santo, indica a noi oggi i sicuri riferimenti in ordine ad una musica sacra perenne, sempre fresca e sempre aperta a nuove creazioni degne della verità e della bellezza della nostra fede. Ciò però si verificherà solo nella misura in cui non verrà abbandonato mai il solco della Tradizione vivente della Chiesa.
5. La musica sacra diventa specificatamente liturgica quando, senza mai deporre il suo carattere sacro, si pone al servizio dei testi e dei riti previsti dalla liturgia. Questo servizio tuttavia non si risolve semplicemente nel rivestirli di musica, ma di interpretarli col genio musicale in modo da elevarli potentemente nella loro identità sacra e in tal modo ‘dar gloria a Dio’ e ‘santificare ed edificare’ i fedeli. Non si tratta solo di cantare dei testi liturgici, ma di estrarre da loro tutta quella carica spirituale, che il solo recitato non esprime. In tal senso la musica al servizio della liturgia
non è una semplice veste esteriore, ma apporta un supplemento di contenuto ch
e la materialità dei testi e dei riti non potrebbe esplicare senza l’intervento dell’arte musicale. In tal senso la musica liturgica non può essere semplicemente decorativa, ma ‘é parte necessaria o integrante della liturgia
solenne’ (SC 112). Questa dichiarazione deve sollecitare – soprattutto in coloro che curano le traduzioni nelle lingue parlate – uno stile ritmico, nobile e breve, così da poter cantare quei testi che sono di loro natura musicali, come i prefazi, le orazioni, la salmodia, gli inni, ecc. Un’eucologia
prolissa e discorsiva rinuncia ad una sua qualità genetica, la ‘musicalità contemplativa’, e non corrisponde al genere tipico dell’atto di culto, che non è propriamente, né un trattato di teologia, né una lezione di catechesi. In tal senso è opportuno rivolgere l’attenzione alle ancora insuperate composizioni della liturgia classica romana.