di Chiara Santomiero
ESZTERGOM, giovedì, 2 settembre 2010 (ZENIT.org).- C’è necessità di impegnarsi per una conversione ecologica che parta dai comportamenti individuali. Ne è convinto Bernard Sorel, membro della Commissione per la salvaguardia del creato della Conferenza episcopale belga (sezione francofona) e del gruppo di lavoro sugli stessi temi del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee).
Nel suo intervento sul tema dell’energia durante il pellegrinaggio dei vescovi e responsabili nazionali per la custodia del creato in Europa che si sta svolgendo attraverso Ungheria, Slovacchia e Austria, per iniziativa del Ccee, Sorel ha sottolineato come “stiamo vivendo una nuova era energetica, caratterizzata dalla ricerca di nuove fonti energetiche, che richiede un impegno ulteriore verso l’ambiente per dare alle prossime generazioni una terra bella dove vivere”.
Quali le scelte da compiere? “Sia che viviamo in una capanna o in un palazzo – ha affermato Sorel – occorre un’analisi onesta dei consumi energetici e imparare alcuni gesti come spegnere computer e tv prima di andare a dormire, risparmiare lampadine, cambiare il vecchio congelatore che consuma di più”.
Un occhio attento deve essere riservato alla mobilità: “anche guidare deve essere fatto con stile ecologico, per esempio scalando le marce e occorre privilegiare il treno e compagnie aree che viaggiano con velivoli sempre pieni”. Attenzione alle affermazioni di principio non documentate: “un aereo che viaggia pieno – ha avvertito Sorel – può produrre meno inquinamento dell’insieme di tante auto che trasportano una sola persona”.
Secondo Sorel: “Ecologico è economico in ogni caso. Analisi oneste sono una forma di testimonianza cristiana da applicare anche ai costi energetici di produzione e manutenzione delle chiese, p.e. intervenendo sul riscaldamento”.
“Abbiamo ricevuto da Dio – ha concluso Sorel – il dono del creato che non dobbiamo sprecare. Prima siamo chiamati a contemplare, quindi a rispettare, agire e a celebrare”.
Nasce da comportamenti ecologici individuali e collettivi il modello di fabbrica per la produzione di biodiesel di Komárom, in Ungheria, che i pellegrini hanno visitato lungo il percorso di 130 chilometri in nave sul Danubio che li ha portati da Budapest a Bratislava.
L’olio di scarto delle cucine domestiche austriache e tedesche – in Italia solo dei ristoranti per adesso – attraverso la selezione imposta dalla legge confluisce in appositi centri di raccolta e da qui fino alla raffineria ungherese, inaugurata nel 2008.
“Un investimento di 40 milioni di euro – ha spiegato Rudi Roth, presidente della Rossi Biofuel – sta generando ogni anno la produzione di 150 mila tonnellate di bio-diesel”.
Il 50% di questo carburante è prodotto con oli alimentari di scarto; l’altra metà è olio di colza, necessario in ogni caso per garantire la fluidità anche a meno 20 gradi sottozero: insieme diventano bio-diesel ecologico attraverso un processo di trasformazione dal difficile nome di transesterificazione.
“Ogni anno in Europa – ha sottolineato Roth – vengono raccolte dalle 60 alle 70 mila tonnellate di oli di scarto, con un vantaggio evidente per l’ambiente”. L’olio di colza, a sua volta, viene prodotto e pressato in Ungheria, “dando un contributo ad occupazione ed agricoltura considerato che ci sono ancora un milione di metri quadrati di terreni che potrebbero essere utilizzati”.
Importante in quest’ottica è “l’approccio dell’Unione europea che ha imposto l’utilizzo in Europa del 5% di diesel su base ecologica così da risparmiare l’uso di diversi milioni di carburante tradizionale”. Le legislazioni nazionali, tuttavia, “dovrebbero contribuire con sgravi fiscali, pensando all’incidenza che può avere questo tipo di produzione sull’ambiente, essendo tutti ammaestrati dalle gravi catastrofi ecologiche prodotte da incidenti con carburanti di origine fossile soprattutto in tempi recenti”.
Quale cornice migliore per parlare dell’importanza dell’acqua per il nostro pianeta del Danubio, il fiume più rilevante d’Europa per paesi toccati nel suo corso.
“La vita sulla Terra – ha ricordato Beatrice van Saan-Klein, responsabile per le questioni ambientali della diocesi di Fulda (Germania) e membro della Commissione per la salvaguardia del creato del Ccee –
è iniziata dall’acqua ed essa ricopre il 98% della sua superficie”. Tuttavia “solo lo 0,02% dell’acqua è a disposizione dell’uomo per essere bevuta ed è da questo dato che nascono i problemi del nostro tempo”.
Ben 884 milioni di persone, infatti “vivono oggi senza risorse idriche mentre sono 2 miliardi quelle che non hanno sufficienti risorse per l’igiene personale. Ciò vuol dire che si muore spesso non solo per sete o fame, ma anche per le malattie generate dalla mancanza di igiene”.
Si impone una domanda di carattere etico: cosa possiamo fare perché tutti abbiano acqua? “Innanzitutto non bisogna sprecarla: è una questione di giustizia sociale”. Bisogna, inoltre “agire perché venga rispettato l’obiettivo Onu per il Millennio che esige che entro il 2015 venga dimezzato il numero delle persone senza accesso alle risorse idriche.
“Lo scorso 28 luglio – ha ricordato van Saan-Klein – l’assemblea dell’Onu ha dichiarato l’acqua come diritto fondamentale dell’uomo. Non c’è una disposizione normativa in merito ma è l’espressione di volontà unanime delle 192 nazioni del mondo, il segno della necessità di una strategia di lungo termine affinché l’acqua sia disponibile anche per generazioni future in tutto il mondo”.