ROMA, mercoledì, 1° settembre 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa va amata anche quando è ferita dai peccati di alcuni suoi membri. E’ quanto ha detto questo mercoledì Benedetto XVI nel dedicare l’Udienza generale a santa Ildegarda di Bingen, monaca benedettina e mistica tedesca del XII sec.
Nel tradizionale appuntamento settimanale con i fedeli e i pellegrini da tutto il mondo, tenuto per la prima sulla piazza antistante il Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo a causa degli oltre cinquemila partecipanti, il Papa ha parlato del genio femminile nella storia del popolo di Dio.
All’inizio il Santo Padre ha tracciato una breve biografia della religiosa vissuta in Germania tra il 1098 e il 1179, e appartenuta a una famiglia nobile e numerosa, che a otto anni l’affidò alle cure della maestra Giuditta di Spanheim, che si era ritirata in clausura presso il monastero benedettino di san Disibodo.
“Donna colta” e “spiritualmente elevata”, ha continuato Benedetto, la santa che succedette alla superiora del monastero di San Disibodo, fondò in seguito un’altra comunità a Bingen, intitolata a san Ruperto, dove trascorse il resto della vita.
“Lo stile con cui esercitava il ministero dell’autorità – ha ricordato il Papa – è esemplare per ogni comunità religiosa: esso suscitava una santa emulazione nella pratica del bene, tanto che, come risulta da testimonianze del tempo, la madre e le figlie gareggiavano nello stimarsi e nel servirsi a vicenda”.
Durante i suoi anni a capo del monastero, Ildegarda ebbe delle visioni mistiche che confidò al suo consigliere spirituale e a una consorella.
“Come sempre accade nella vita dei veri mistici – ha sottolineato Benedetto XVI – anche Ildegarda volle sottomettersi all’autorità di persone sapienti per discernere l’origine delle sue visioni, temendo che esse fossero frutto di illusioni e che non venissero da Dio”.
Per questo si rivolse a una delle massime personalità della Chiesa del suo tempo, San Bernardo di Chiaravalle, che la incoraggiò. In seguito ricevette anche l’approvazione da parte Papa Eugenio III, il quale lesse durante il sinodo a Treviri, nel 1147, un testo dettato da Ildegarda per poi autorizzare la mistica a scrivere le sue visioni e a parlare in pubblico.
“È questo, cari amici – ha commentato il Papa –, il sigillo di un’esperienza autentica dello Spirito Santo, sorgente di ogni carisma: la persona depositaria di doni soprannaturali non se ne vanta mai, non li ostenta e, soprattutto, mostra totale obbedienza all’autorità ecclesiastica”.
“Ogni dono distribuito dallo Spirito Santo, infatti, è destinato all’edificazione della Chiesa, e la Chiesa, attraverso i suoi Pastori, ne riconosce l’autenticità”, ha aggiunto.
Questa “grande donna ‘profetessa’”, ha poi concluso, ci parla ancora oggi attraverso “il suo amore per Cristo e per la Sua Chiesa, sofferente anche in quel tempo, ferita anche in quel tempo dai peccati dei preti e dei laici, e tanto più amata come corpo di Cristo”.
Al termine della catechesi il Papa ha benedetto le corone per la statua della Madonna venerata, in particolar modo dagli emigranti, da centoventicinque anni nella parrocchia di San Pietro a Carolei, nel cosentino, e per l’immagine mariana del santuario polacco di Jordanów nell’arcidiocesi di Cracovia.