di padre John Flynn, LC
ROMA, sabato, 23 maggio 2009 (ZENIT.org).- La Commissione USA sulla libertà religiosa internazionale conferma che questo diritto umano fondamentale continua ad essere minacciato in molte parti del mondo, anche se qualche miglioramento è stato registrato.
La situazione in Paesi come Myanmar e Venezuela è peggiorata dal punto di vista della libertà di religione, mentre l’India sta mostrando qualche segnale positivo.
Il 1° maggio scorso, la Commissione USA sulla libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha pubblicato il suo rapporto annuale, unitamente alle raccomandazioni concernenti i Paesi cosiddetti “di particolare preoccupazione” (Paesi CPC, dall’inglese “countries of particular concern”).
Si tratta del X rapporto della Commissione, dalla sua istituzione in forza della legge sulla libertà religiosa internazionale del 1998.
I Paesi che l’USCIRF indica potenzialmente tra i CPC sono: Myanmar, Cina, Corea del Nord, Eritrea, Iran, Iraq, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam.
Le raccomandazioni dell’USCIRF sono indirizzate al Dipartimento di Stato, il quale poi decide in via definitiva quali dichiarare “di particolare preoccupazione”.
L’elenco dei CPC attualmente in vigore presso il Dipartimento di Stato contiene otto dei Paesi raccomandati dall’USCIRF: Myanmar, Cina, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Sudan e Uzbekistan.
La Commissione ha anche stilato una “Watch List” (“lista di attenzione”) di quei Paesi il cui comportamento raccomanda un attento monitoraggio sull’entità delle violazioni alla libertà religiosa. Questo elenco, per il 2009, è composto da: Afghanistan, Bielorussia, Cuba, Egitto, Indonesia, Laos, Russia, Somalia, Tajikistan, Turchia e Venezuela.
Il rapporto contiene informazioni dettagliate su tutti i Paesi CPC e della Watch List. Il Myanmar – secondo il rapporto – presenta, per il 2008, una situazione tra le peggiori al mondo quanto al rispetto dei diritti umani ed in particolare della libertà di religione. Il regime militare ha imposto pesanti restrizioni alla pratica religiosa e tiene sotto controllo ogni attività delle organizzazioni religiose, osserva la Commissione.
Si stima che 136 monaci buddisti si trovino ancora in reclusione, in attesa di giudizio, e che molti monasteri siano ancora chiusi o in funzionalità ridotte. Inoltre, le minoranze etniche cristiane e musulmane continuano ad incontrare difficoltà.
In Cina, secondo la Commissione, “non vi è stato alcun miglioramento in materia di libertà religiosa e, anzi, si è registrato un deciso deterioramento, nello scorso anno, soprattutto nella zona buddista del Tibet e in quella musulmana dell’Uighur”.
Gravi violazioni
“Il Governo cinese continua a compiere gravi e sistematiche violazioni della libertà di religione o di culto, tendo le attività religiose sotto stretto controllo e imponendo ad alcuni esponenti religiosi periodi di detenzione e di reclusione, multe, percosse e vessazioni”, afferma il rapporto.
La Commissione osserva anche che la repressione su molti gruppi religiosi si era intensificata nel periodo precedente alle Olimpiadi di Pechino del 2008.
Riguardo al Medio Oriente, il rapporto afferma che in Iran “la retorica ufficiale e la politica del Governo hanno determinato un peggioramento delle condizioni di quasi tutti i gruppi religiosi non shiiti”.
La politica del Governo ha avallato le violazioni della libertà religiosa, tra cui detenzioni, torture ed esecuzioni, basate sulla religione di appartenenza, afferma la Commissione.
Secondo il rapporto, in Iraq “il Governo continua a commettere e tollerare gravi abusi della libertà di religione o di culto”.
Per quanto concerne l’Arabia Saudita, il rapporto riconosce che il re Abdullah ha consentito qualche limitata riforma ed ha promosso il dialogo interreligioso. Ciò nonostante, il Governo vieta ancora ogni forma di espressione religiosa pubblica che non sia della scuola islamica sunnita e secondo la particolare interpretazione ufficiale.
Inoltre, la Commissione accusa le autorità saudite di sostenere, a livello internazionale, gruppi che promuovono “un’ideologia estremista che contempla, in qualche caso, violenze contro i non islamici e contro i musulmani di scuola diversa”.
In Egitto – prosegue il rapporto – vi sono stati gravi problemi di discriminazione, intolleranza e di altre violazioni di diritti umani, a danno di aderenti a minoranze religiose. Gravi violazioni della libertà religiosa continuano ad interessare i cristiani copti ortodossi, gli ebrei e i baha’i, oltre ai musulmani di comunità minoritarie, secondo la Commissione.
Il rapporto sostiene inoltre che il governo non abbia preso le misure sufficienti per arrestare il fenomeno repressorio e discriminatorio contro i credenti religiosi, né per punire i responsabili delle violenze o delle altre gravi violazioni della libertà religiosa.
Estremisti
Forti preoccupazioni per la libertà religiosa permangono anche in Pakistan, osserva la Commissione. Nel corso dello scorso anno la forza dei gruppi estremisti è aumentata. Inoltre, sono state sfruttate le leggi antiblasfemia per mettere a tacere dissenzienti e membri di minoranze religiose, aggiunge il rapporto.
Nel vicino Afghanistan, secondo il rapporto, la situazione della liberà religiosa o di culto è diventata sempre più preoccupante.
La Commissione sostiene che la costituzione dell’Afghanistan, Paese a maggioranza musulmana, non assicura un’adeguata tutela agli individui che dissentono dall’ortodossia prevalente. Di conseguenza si verificano gravi violazioni della libertà religiosa, dovute anche al potere e all’influenza dei leader religiosi fortemente tradizionalisti.
Per il Vietnam, la Commissione raccomanda il reinserimento tra i Paesi CPC, per via delle continue violazioni della libertà religiosa da parte del Governo. Nonostante qualche progresso, il Governo vietnamita continua ad imporre pesanti restrizioni alla libertà religiosa, sostiene il rapporto.
Per esempio, continuano a verificarsi arresti e detenzioni anche per attività religiose del tutto pacifiche, poiché le attività religiose indipendenti sono ancora vietate dalla legge. In aggiunta, le tutele giuridiche per le organizzazioni religiose approvate dal Governo sono alquanto vaghe e soggette ad interpretazioni arbitrarie e discriminatorie, sulla base di fattori politici, dichiara il rapporto.
Le reazioni
La Cina, così come ha fatto in passato per i precedenti rapporti della Commissione, ha rigettato aspramente le critiche contenute nell’ultimo rapporto.
“È un dato di fatto che il Governo cinese tutela la libertà di fede religiosa dei propri cittadini secondo la legge, e tutti i gruppi etnici di qualsiasi parte della Cina godono della piena libertà religiosa”, ha dichiarato Ma Zhaoxu, portavoce del Ministro degli esteri, secondo quanto riferito da Associated Press il 5 maggio.
“Il tentativo della Commissione USA sulla libertà religiosa internazionale di screditare la Cina con questo rapporto non riuscirà”, ha aggiunto Ma.
L’India, invece, in un’inversione di tendenza, si sta aprendo ad una visita di studio di rappresentanti dell’USCIRF. Secondo il quotidiano Telegraph di Calcutta, del 2 maggio, il Governo federale indiano ha mutato la sua politica tradizionale di non consentire visite ispettive da parte del Governo USA.
I rappresentanti dell’USCIRF si recheranno in India a giugno, per la prima volta, per poi pubblicare un rapporto specifico sul Paese.
Intanto, il Wall Street Journal ha commentato la decisione di inserire il Venezuela nella Watch List, in un articolo del 1° maggio di Melanie Kirkpatrick, vice redattrice della pagina editoriale del Journal.
L’articolo si è incentrato sulla condizione deg
li ebrei in Venezuela. Quando Hugo Chávez è stato eletto Presidente nel 1998, nel Paese vivevano circa 22.000 ebrei. Oggi si stima che siano scesi ad una cifra tra i 10.000 e 15.000.
“Gli ebrei del Venezuela fuggono verso Miami, Madrid e altrove, a causa dell’antisemitismo che subiscono a casa”, ha affermato Kirkpatrick.
Tra le frasi di Chávez citate nell’articolo vi sono quelle in cui descrive gli ebrei venezuelani come “discendenti di quelli che hanno crocifisso Cristo”, o come “una minoranza [che] ha preso possesso di tutto l’oro del pianeta”.
Povertà morale
Nel messaggio di quest’anno, ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI ha espresso la sua preoccupazione per le persone perseguitate a causa della propria fede. Nel suo discorso dell’8 gennaio ha rinnovato il suo affetto “ai nostri fratelli e alle nostre sorelle vittime della violenza, specialmente in Iraq e in India”.
Ma la preoccupazione del Papa riguarda anche i Paesi sviluppati. “Auspico altresì che, nel mondo occidentale, non si coltivino pregiudizi o ostilità contro i cristiani, semplicemente perché, su certe questioni, la loro voce dissente”, ha affermato.
Un punto interessante è che Benedetto XVI non ha incentrato il tema della libertà religiosa sul punto di vista della libertà, ma ha adottato un approccio più teologico. “Le discriminazioni e i gravissimi attacchi di cui sono state vittime, l’anno scorso, migliaia di cristiani, mostrano come non sia soltanto la povertà materiale, ma anche la povertà morale a nuocere alla pace”, ha affermato. Una povertà che affligge molti Paesi, quale che sia il loro livello economico.