La differenza tra eutanasia e limitazione dello sforzo terapeutico

Spiegazioni di un medico membro della Pontificia Accademia per la Vita

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INDAIATUBA (Brasile), venerdì, 28 novembre 2008 (ZENIT.org).- Ciò che determina la differenza tra eutanasia e limitazione dello sforzo terapeutico è la presenza o meno dell’intenzione di uccidere, spiega un medico cileno.

Secondo la dottoressa Paulina Taboada, membro della Pontifícia Accademia per la Vita (PAV), la presenza dell’intenzione di provocare la morte è ciò che caratterizza l’eutanasia.

In un intervento in occasione del Congresso Internazionale “Persona, cultura della vita e cultura della morte”, che la PAV e la Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB) hanno organizzato fino a questo venerdì a Itaici (San Paolo), il medico ha citato i casi di Hannah, una bambina inglese, e di Eluana Englaro per spiegare la differenza tra eutanasia e limitazione terapeutica.

Hannah ha 13 anni ed è malata di leucemia. La chemioterapia le ha danneggiato gravemente il cuore. La bambina ha rifiutato di essere sottoposta a un trapianto cardiaco perché l’operazione ha poche possibilità di successo e, anche se riuscisse, richiederebbe cure mediche intensive. Hannah ha chiesto di morire con dignità.

Nel caso di Eluana Englaro, il padre ha ingaggiato una lunga battaglia con la giustizia per ottenere l’autorizzazione a sospendere l’alimentazione e l’idratazione che mantengono viva la figlia, che ha 37 anni ed è in stato di coma dal 1992 a causa di un incidente.

Nel caso di Eluana, “se la questione è se siamo di fronte a una limitazione dello sforzo terapeutico, la mia risposta è ‘no’ – ha spiegato la dottoressa Taboada –. C’è l’intenzione di provocare la morte sospendendo qualcosa che la manterrebbe in vita in una situazione cronica”.

In riferimento al caso di Hannah, invece, “che per i giornalisti è eutanasia, dico ‘no’. E’ un caso di legittima limitazione dello sforzo terapeutico, e si può rifiutare un trapianto di cuore che non offre la garanzia di preservare la vita, che sarebbe la situazione ideale”.

Valutazione

In un altro intervento al Congresso, monsignor Maurizio Calipari, anche lui membro della PAV, ha spiegato tre aspetti della “dinamica della valutazione” riguardo alle possibili cure di malati gravi.

Si tratta della valutazione dei fattori oggettivi, responsabilità dell’équipe medica; della valutazione dei fattori soggettivi, da parte del paziente e di chi ne è responsabile; del giudizio di sintesi, che è “una decisione moralmente adeguata e operativa, pratica”.

“La valutazione oggettiva considera gli elementi di carattere tecnico e medico. E’ misurata con gli strumenti tecnici disponibili ed effettuata dall’équipe medica, dato che è il suo compito specifico”.

Il secondo aspetto riguarda il paziente o il suo legittimo responsabile, che deve valutare se ci sono fattori che ritiene straordinari nel trattamento che gli viene proposto.

In primo luogo, l’équipe medica “valuta se l’impiego del mezzo sia proporzionato o sproporzionato”, ossia “se è adeguato all’obiettivo medico”. In seguito, il paziente deve analizzare le condizioni di “ordinarietà e straordinarietà”.

Il giudizio di sintesi, nell’adeguamento delle considerazioni del settore medico e del paziente, dirà se le cure sono “obbligatorie, opzionali o illecite”.

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ZENIT Staff

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