Excursus storico
La nostra Madre Fondatrice, Madre Speranza, nel corso della sua vita, esprimeva il desiderio di realizzare, proprio nella casa di Fratta Todina, un Centro per accogliere bambini cerebropatici e al tempo stesso sostenere le loro famiglie. Lei stessa incoraggiava le suore a portare avanti questo Progetto, che vedeva come espressione della volontà di Dio.
Questa idea della Madre si è andata rafforzando con gli anni grazie alla conoscenza di Vittorina Gementi, insegnante e pedagogista, e della sua imponente opera realizzata a Mantova.
I primi incontri tra le suore e Vittorina sono avvenuti a Collevalenza e da subito si è instaurata una stima reciproca e profonda. Nell’ottobre del 1976 furono inviate, due suore neo-professe, a prestare servizio presso la Casa del Sole, a Mantova, per fare esperienza e per conoscere i principi del Trattamento Pedagogico Globale.
Il desiderio della Madre inizia così la via della realizzazione e nel corso di questi anni, tutti noi, abbiamo assistito ad una evoluzione e ad un recipimento sul significato che lei stessa intendeva e voleva dare: “l’amore incondizionato” per chi si trova nel bisogno, per chi soffre.
Nei confronti di queste persone, la Madre si è posta sempre con un’ atteggiamento interiore di chi offre l’aiuto: la com-prensione: capacità di allargare la mente in un nuovo modo di intendere, quello evangelico; la com-passione:capacità di allargare il cuore, accogliendo l’amore divino e donandolo; la com-mozione:capacità di muoversi verso il fratello nel bisogno e quindi la messa in atto concreta delle opere di misericordia. In una accezione più ampia mi piace mettere in rilievo l’aspetto della Misericordia e dell’Amore per l’essere umano che la Madre conteneva in sé perché “lei aveva hambre (= fame) della felicità altrui”.
Infatti, da lì a pochi anni iniziarono ad arrivare a Fratta Todina i primi bambini con cerebropatie più o meno gravi, le cui famiglie, dopo essersi rivolte inutilmente ai servizi di assistenza dell’U.L.S.S., chiedevano alle suore un aiuto per accogliere i propri figli.
La Comunità religiosa concretizzando l’idea di Madre Speranza creò a Fratta Todina, presso il Palazzo Altieri, un Centro Diurno per bambini, ragazzi cerebropatici gravi e gravissimi, ispirandosi ed applicando i principi del Trattamento Pedagogico Globale.
Certamente si può dire che uno dei protagonisti di questa opera nascente è Dio, Padre Misericordioso, che sente l’urgenza di riversare tutta la sua infinita tenerezza sui “suoi figli prediletti”: i bambini cerebrolesi.
Il Centro Speranza dunque, trae il suo principio ispiratore nel dare “Dignità e diritti alla persona disabile”.
Così nel settembre del 1984, il Centro ha iniziato ufficialmente la sua attività: con la presenza di tre bambini, anche se il riconoscimento della Regione era ancora lontano.
Nel giugno del 1988 si è giunti al riconoscimento e all’autorizzazione da parte della Regione. Dopo poco più di un anno la Convenzione con l’U.L.S.S. Media Valle del Tevere di Marsciano.
Nel corso dei primi anni, proprio grazie all’interessamento economico della Congregazione, le attività del Centro si andavano potenziando con rapidità.
La ristrutturazione del Palazzo Altieri con l’ampliamento di numerosi spazi ha permesso l’implementazione e la diversificazione dei servizi e delle proposte (attività occupazionale con laboratori di ceramica, falegnameria, cucina, parrucchieria, ecc.. e la realizzazione della piscina: vasca terapeutica) da offrire ai bambini, ragazzi disabili e alle loro famiglie.
Così, nel corso dei suoi 21 anni di vita il Centro Speranza ha visto aumentare il numero dei suoi utenti…, e attualmente il Centro offre un servizio diurno e ambulatoriale con trattamenti riabilitativi a cento tra bambini e ragazzi con disabilità.
Giorno dopo giorno, noi suore e i laici che collaborano con noi, attualmente sono 37 ( un medico Direttore Sanitario, neurologo, educatori professionali, tecnici della riabilitazione, ecc), abbiamo iniziato a condividere, attraverso un cammino comune, una esperienza che è stata ed è certamente professionale ma anche esistenziale e spirituale.
Principi ispiratori del Centro Speranza
Ora vorrei esporre i principi – valori fondamentali che hanno sotteso da sempre l’operato di questo Centro e questi sono:
Il valore dell’uomo, della vita umana, il rispetto della dignità dell’altro come essere umano indipendentemente dalla sua condizione. La scientificità Il valore della famiglia
Il principio ispiratore che ha promosso questo servizio è il concetto di “VALORE PRIMARIO DELLA PERSONA UMANA” e quindi il dovere di contribuire all’arricchimento ed alla pienezza del suo sviluppo con “GIUSTIZIA E CARITA’ EVANGELICA, SCIENZA E TECNICA”.
Pertanto il primo punto da mettere in rilievo è il valore dell’ uomo, esso trova la sua connessione in una antropologia profondamente cristiana che vede la persona, anche quando risulta essere menomata sia nella psiche che nel corpo, come persona, soggetto con piena dignità portatore egli stesso di diritti sacri e inalienabili.
L’essere umano, infatti, indipendentemente dalle condizioni in cui si svolge la sua vita e dalle capacità che può esprimere, possiede una Dignità e un Valore Unico, soprattutto in una società come la nostra dove: l’apparire, l’estetismo, l’efficientismo, l’avere e il possedere rischiano di far crollare l’uomo nella più profonda disperazione ed emarginazione esistenziale.
Le persone cerebrolese, nel nostro mondo efficientistico, sono considerate povere, non in termine evangelico, ma perché non hanno gli strumenti umani per correre e competere con chi usa la vita per possedere, per apparire, per fare.
Ma la novità del Vangelo rivela il valore unico e inestimabile di queste creature: Gesù li proclama “beati” perché il Padre, riserva loro un amore preferenziale e gratuito, un’attenzione e una tenerezza speciale. Se questo è l’amore di Dio per loro, quanto deve cambiare il nostro modo di pensare e di guardare a loro, il nostro atteggiamento concreto verso le loro famiglie!
La loro presenza al Centro Speranza e nella nostra comunità, tiene viva una visione della vita umana che spesso ci sfugge: “la vita come dono gratuito, come gioia di amare e di essere amati”. Un’ amore che è espressione di tenerezza, accoglienza, pazienza, lealtà, condivisione, benevolenza e rispetto inteso come il volere che l’altro viva il suo essere in pienezza. Infine, la serenità interiore capace di contagiare chi li avvicina.
Vorrei a questo proposito citare ciò che Vittorina Gementi affermava: “…..Credo che molte opere di Dio non si manifestino nelle nostre comunità ecclesiali proprio perché non abbiamo la presenza preziosa di questi fratelli scelti e prediletti da Dio”.
Dunque, tutto questo ci conduce al concetto di Umanità, di pienezza, di dignità dell’individuo anche se disabile che impone a tutti di avvicinarsi all’uomo non per “dare” (atteggiamento assistenziale) ma per “amare” (atteggiamento dialogico).
La sofferenza più grande del bambino cerebropatico, come di ogni persona, è di sentirsi escluso, senza valore e non amato. E’ attraverso l’amore che egli comincia a scoprire a poco a poco di avere un valore, un ruolo, di essere amato e quindi amabile.
A questo punto vorrei fare una brevissima parentesi: nel cuore di ognuno si trova sempre un angolo riservato ai ricordi, alle esperienze che hanno lasciato in noi una traccia. Ciò che mi rimase impresso di Vittorina Gementi ed improntò in seguito la mia vita a livello professionale, fu quel suo modo di “guardare“, di considerare i bambini: l’accento era posto sulle risorse del bimbo e non sui suoi a
spetti carenziali; vorrei dire anzi che l’impostazione era: “considerare il bambino come risorsa ed occasione di crescita (umana, esperienziale, affettiva, educativa e spirituale ….) per se stesso e per noi.
Questa considerazione ci può condurre ad una ulteriore riflessione.
Il “guardare negli occhi” chi abbiamo di fronte, qualsiasi sia la condizione in cui egli si dovesse trovare, è un primo ed semplice gesto di prossimità che ci apre alla possibilità di riconoscerlo simile e al tempo stesso “altro” da noi. Il guardare come gesto implica una intenzionalità ed è diverso da un vedere che non sempre arriva a muovere la volontà, il cuore. Anche per la nostra Madre era chiaro che l’attenzione va rivolta a tutto l’uomo, per partecipare, con lui, a quella sua particolare situazione: “Se vi capita di trovarvi con una persona oppressa dal dolore fisico o morale, non cercate di soccorrerlo o fargli un’esortazione senza prima aver rivolto uno sguardo di compassione“. In termini pedagogici e perché no, spirituali, possiamo parlare di esperienza empatica che fa “allargare la propria esperienza così che sia in grado di accogliere l’esperienza dell’altro”.
Edith Stein riconosce nell’empatia la capacità “nell’interessarmi veramente dell’altro, del suo valore, della sua persona“, è “atto d’amore“.
Mi sembra necessario sottolineare il secondo principio che ho citato inizialmente e che appare fondamentale e guida il nostro agire all’interno del Centro: la scientificità.
Essa si pone come strumento del sapere e del progresso in funzione del bene dell’uomo e ciò implica professionalità. Non vuoto e asettico tecnicismo o prestazione, ma come strumento privilegiato del servizio per essere più vicini all’uomo nella sua condizione di bisogno e di sofferenza.
Vorrei ora evidenziare un altro aspetto: il valore della famiglia che per noi riveste notevole importanza. Il Centro intende farsi carico, non solo della disabilità in quanto tale, ma anche della sofferenza personale e familiare che l’accompagna.
Non possiamo pensare di aiutare il bambino cerebroleso a crescere se non teniamo conto che esso esiste non come individuo isolato, ma come realtà inscindibile dai suoi genitori.
In questa ottica la famiglia gioca un ruolo importante, infatti, se educare significa valorizzare e rendere significativa l’esistenza di ogni bambino, l’educazione non può prescindere dalla famiglia che rappresenta il nucleo primario dei valori dell’esistenza.
Pertanto, non basta nei confronti della famiglia un atteggiamento di disponibilità, ma è necessario un coinvolgimento profondo che deve partire dalla conoscenza di quali sono stati e sono i problemi che la famiglia vive, le sue angosce, le sue difficoltà, ma soprattutto capire i tentativi che la famiglia attua per affrontare questo grave problema.
E’ evidente: il cammino che i genitori devono compiere è un cammino molto difficile e difficilmente riusciranno a compierlo da soli.
E’ prima di tutto il cammino della presa di coscienza della realtà del figlio; è il cammino dell’accettazione vera del figlio; è il cammino della comprensione di quali sono i suoi reali bisogni; è il cammino della fiducia verso una struttura che si affianca a loro, con competenza, rispetto, pazienza, attesa, nel processo di crescita del proprio figlio.
Il Centro per sostenere e aiutare la famiglia in questo cammino si avvale di diversi strumenti ad esempio colloqui con il medico, colloqui con l’assistente sociale, colloqui con altre figure professionali presenti all’interno del servizio. Inoltre sono previste riunioni di equipe periodiche, di gruppi di auto-aiuto e iniziative aggregative (Festa della Famiglia, Festa del Natale, Camminata della Speranza).
Sono tutti questi momenti che consentono da una parte di far incontrare i genitori fra di loro, favorendo così un passaggio di esperienze, ma anche momenti di condivisione, affinché essi possano trovare fra di loro un aiuto. Dall’altra parte, queste esperienze, si collocano nella prospettiva di rendere il bambino con disabilità e la sua famiglia presenti nel territorio.
Negli anni si è constatato, come queste opportunità favoriscano conoscenza e riflessione conducendo a forme di rinnovata “sensibilità” affettivo-relazionale, promuovendo un nuovo senso esistenziale e una qualità della vita della persona disabile e dei suoi genitori.
La “missione” specifica del “Centro Speranza” è, oggi, tutelare la dignità e migliorare la qualità della vita – prevalentemente attraverso interventi di riabilitazione, sanitaria e sociale – delle persone con disabilità (specie in età evolutiva) e delle loro famiglie.
Per questo, due atteggiamenti risultano portanti: quello dell’accoglienza e quello della valorizzazione della vita in tutte le sue espressioni.
L’accoglienza intesa come desiderio e impegno di far sentire a proprio agio chi frequenta il Centro o chi, per qualsiasi ragione ad esso accede; e come autentico impegno che si esprime come disponibilità interiore verso l’altro e come gesto concreto di benevolenza e di ascolto.
La valorizzazione della vita in tutte le sue espressioni impegna, invece, ciascuno a scoprire ciò che veramente conta in tutti coloro che avvicina. Questo favorisce a far crescere in ogni persona la consapevolezza di quanto vale, in quanto oggetto di amore personale e particolare di Dio.
Pertanto le caratteristiche corrispondenti a tali principi sono:
— Essere espressione dell’amore e della tenerezza di Dio che non abbandona mai le sue creature, privilegiando i più poveri (“Gesù ama svisceratamente l’uomo, altrettanto dobbiamo fare noi […] L’uomo, il più miserabile e perfino il più abbandonato è amato con immensa tenerezza da Gesù, che gli è Padre e tenera Madre” – Madre Speranza).
— Promuovere un servizio di qualità, inteso soprattutto come attenzione ai bisogni più profondi e veri della persona (“Le nostre opere coniugando evangelizzazione e promozione umana, devono testimoniare la nostra stima e rispetto per la dignità di ciascuna persona e la nostra costante sollecitudine per la sua crescita integrale” – Cost. Congregazione E.A.M.).
— Infondere tra operatori e volontari la collaborazione e la condivisione, nello stile di servizio alla persona dello spirito cristiano, anche qualora non ne condividessero le motivazioni di fede.
— Essere portatori di speranza cristiana verso le persone particolarmente provate, come i genitori e i loro figli disabili (“Tutto il nostro agire deve essere improntato ad una grande speranza e dobbiamo proporla a tutti…” – Cost. Congregazione E.A.M.).