La Santa Sede esorta a instaurare "una cultura della solidarietà"

Di fronte alla piaga degli sfollati e dei rifugiati

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di Roberta Sciamplicotti

LIVERPOOL, venerdì, 21 novembre 2008 (ZENIT.org).- Di fronte agli oltre 200 milioni di migranti, sfollati e rifugiati, la Santa Sede esorta a instaurare “una cultura della solidarietà” che rispetti i bisogni materiali e spirituali e soprattutto la dignità umana di queste persone.

L’Arcivescovo Agostino Marchetto,segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha presentato questa proposta durante l’incontro promosso a Liverpool (Inghilterra) dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e dal Congresso delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM).

Il meeting, sul tema “La cura pastorale di migranti, rifugiati e studenti stranieri”, è in svolgimento dal 19 fino al 23 novembre.

Nella Chiesa, ha osservato il presule nel suo intervento, nessuno è un estraneo, perché essa abbraccia ogni Nazione, razza, popolo e lingua. Cristo, inoltre, è presente nella Chiesa, facendo sì che questa “cammini con e verso” di Lui.

L’unità della Chiesa, ha constatato l’Arcivescovo, “non deriva dal fatto che i suoi membri abbiano la stessa origine etnica o nazionale, ma dallo Spirito di Pentecoste, che rende tutte le Nazioni un popolo nuovo che ha come obiettivo il Regno, la cui condizione è la libertà dei figli e delle figlie, e il cui statuto è la legge dell’amore”.

Per questo motivo, la Chiesa sente di essere profondamente coinvolta “nell’evoluzione della civiltà di cui la mobilità è un aspetto di rilievo” ed è quindi “chiamata a proclamare la pace anche in situazioni di migrazioni forzate”.

L’Antico Testamento e l’esempio di Gesù

“Per camminare con e verso Gesù Cristo, presente nei rifugiati, deve sostenerci una visione biblica fondamentale”, ha spiegato l’Arcivescovo Marchetto, ricordando che nella storia della salvezza si possono trovare diversi spunti relativi al trattamento da riservare agli stranieri.

“Da un lato – ha ricordato il presule – c’era la paura che le relazioni con gli stranieri potessero portare a una perdita della purezza religiosa e quindi dell’identità nazionale”; dall’altro, “lo straniero doveva essere trattato nello stesso modo degli Israeliti”, in base alla preoccupazione “fondata sulla giustizia anche per quanti erano vulnerabili: i poveri, le vedove e gli orfani”, “spesso soggetti a oppressione, sfruttamento e discriminazione, che erano contrari alla Legge di Dio”.

Agli Israeliti, ha proseguito il presule, veniva quindi ricordata spesso “la speciale preoccupazione di Dio per i deboli e veniva ordinato loro di non molestarli. Non si doveva abusare di loro e dovevano ricevere un trattamento uguale di fronte alla legge”.

Gesù Cristo ha assunto lo stesso atteggiamento esprimendo una preferenza nei confronti degli esclusi, considerati ritualmente impuri e ai quali la comunità negava i pieni diritti.

Cristo, ha spiegato l’Arcivescovo, “non esita ad associarsi agli stranieri”.

Questo atteggiamento è stato promosso e trasmesso anche dalle comunità cristiane delle origini, trasformandosi in “uno sforzo verso la fraternità, l’uguaglianza e l’unità tra popoli diversi che testimoniavano Cristo e annunciavano il Vangelo”.

A poco a poco, l’ospitalità è diventata “una componente integrale del cristianesimo”, con strutture apposite, ad esempio nei monasteri, con alloggi per ospitare i pellegrini e ospedali per i malati, “non dimenticando allo stesso tempo le necessità dei poveri locali”.

La Chiesa e i rifugiati

I rifugiati “sono sempre nel cuore della Chiesa”, ha sottolineato l’Arcivescovo. L’assistenza nei loro confronti, quindi, deve prendere in considerazione sia i bisogni spirituali che quelli materiali, prestando particolare attenzione alla famiglia e all’importanza della sua unità.

Nella sua cura nei confronti dei rifugiati e degli sfollati, la Chiesa è guidata dai principi della sua Dottrina Sociale, tra cui gioca un ruolo fondamentale la dignità della persona, motivo per il quale se qualcuno non può condurre una vita decente nel suo Paese di origine “ha il diritto, in certe circostanze, di spostarsi altrove”.

Essendo “consapevole della gravità della situazione dei rifugiati e delle condizioni disumane in cui vivono”, la Chiesa ritiene che questo “serio problema” possa essere affrontato solo “con un sincero sforzo internazionale per collaborare in vista di una sua soluzione”.

A questo proposito, il presule ha esortato a instaurare “una cultura della solidarietà e dell’interdipendenza” per “sensibilizzare le autorità pubbliche, le organizzazioni internazionali e i privati cittadini verso il dovere di accettare e condividere con i più poveri”.

La pianificazione a lungo termine delle politiche che promuovono la solidarietà, tuttavia, deve essere accompagnata “dall’attenzione agli immediati problemi dei migranti e dei rifugiati che continuano a esercitare pressioni lungo i confini delle Nazioni che godono di un elevato livello di sviluppo”, così come degli sfollati che non hanno oltrepassato i confini dei loro Paesi.

La solidarietà, ha continuato l’Arcivescovo, “è la risposta cristiana, sia personale che collettiva, anche alla globalizzazione” e “inizia nel cuore di ciascuno, quando si considera l’altro – e non solo il povero – un fratello, una sorella, o ancor di più, perché è un membro del Corpo di Cristo stesso”.

“Nell’esercitare la responsabilità, nessuno può prendere il mio posto nel fare ciò che io posso fare – ha concluso -. Sentiamoci quindi chiamati a rispondere personalmente”.

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ZENIT Staff

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