Le gioie della Cina (parte III)

Monsignor “C” edifica la Chiesa dalla sua prigionia

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di Mark Miravalle

STUBENVILLE, Ohio (USA), domenica, 16 novembre 2008 (ZENIT.org).- Il secondo volto gioioso della Chiesa cinese è solitamente un volto nascosto. Celato dietro mura, dietro sbarre, dietro i divieti delle autorità. È un vescovo clandestino, che offre alla Chiesa in Cina il grande dono del suo martirio “bianco”, che talvolta sembra destinato a diventare un martirio “rosso”, un martirio di sangue.

Lo chiameremo monsignor “C”, che sta per “clandestino”, in contrasto con il citato vescovo “P”, ovvero appartenente alla Chiesa “patriottica” ufficiale.

Nel caso specifico di monsignor “C”, aderire all’Associazione patriottica risulta moralmente inaccettabile per lui e per la sua gente. Questo perché in questo modo sarebbe costretto ad attuare un programma, nella sua regione, contrario agli insegnamenti della Chiesa e indipendente rispetto al romano Pontefice.

Senza addentrarci imprudentemente in dettagli, basta dire che questo vescovo non può far altro che dare testimonianza della sua fede cattolica e della sua lealtà incondizionata al Santo Padre. Ed è questo che ha fatto immancabilmente nonostante le ripetute persecuzioni che gli hanno costato più di 20 anni di prigionia o di detenzione e separazione dal suo gregge, semplicemente perché non ha voluto dire “sì” a Pechino e “no” a Cristo.

Abbiamo viaggiato in treno per raggiungere la sua diocesi. Un viaggio di diverse ore da una grande città. Arrivando in stazione siamo stati avvicinati da un giovane che indossava una cravatta piuttosto stravagante e vestiti altrettanto dai colori vivaci e alquanto scoordinati. Un po’ come vestirebbe un contadino nella sua prima visita a una grande città. Ci siamo distribuiti in due macchine e siamo arrivati in una zona di campagna. Poi abbiamo appreso che il giovane che ci aveva avvicinati era padre “X”, un professore del seminario clandestino.

Dopo circa un’ora di macchina, siamo entrati in un sentiero sterrato e siamo arrivati presso un piccolo complesso di modeste strutture residenziali il cui ingresso era costituito da un piccolo edificio con due grandi porte che impedivano la vista di ciò che era all’interno. Siamo stati condotti in un piccolo chiostro e da lì in una sala modesta.

A questo punto, numerosi giovani sono entrati nella stanza. Padre “X” ci ha presentato altri due sacerdoti, padre “L” e padre “F”, e le altre persone che erano lì, cioè dei seminaristi. Alla domanda se questa fosse sede del seminario da molto tempo, padre “X” ha risposto che precedentemente il seminario risiedeva in un luogo diverso, ma che nell’ultimo periodo ha dovuto cambiare sede più volte l’anno. A quel punto ho ricordato che nel corso della nostra precedente visita alla regione, eravamo passati davanti ad un edificio abbandonato e diroccato, circondato da diversi edifici rurali abbandonati. Gli appartenenti alla Chiesa clandestina ci dissero: “questo è il nostro seminario per ora”.

Ordinazioni nel buio

Il racconto di una recente ordinazione contribuisce a dare il senso di cosa significhi una vocazione alla Chiesa clandestina. Un seminarista, che aveva potuto ricevere per qualche tempo un’istruzione teologica in un altro Paese, era ormai pronto per la sua ordinazione, ma doveva aspettare la scarcerazione del suo vescovo. Finalmente giunse il giorno e il seminarista fu avvertito di tenersi pronto per la chiamata ad andare in un determinato luogo per l’ordinazione. Passarono le settimane, ma nessuno si fece vivo. I suoi amici e compagni di seminari gli scrivevano ormai da mesi chiedendogli: “quando è il giorno della tua ordinazione?”. Il seminarista rispondeva semplicemente: “non lo so”.

Finalmente arrivò la chiamata. Al seminarista fu detto di recarsi in un certo edificio, di entrare nello scantinato e di rimanervi al buio fino all’arrivo del vescovo. Il seminarista arrivò presto al mattino e aspettò a lungo senza vedere nessuno. Finalmente alla fine della giornata il seminarista sentì aprire la porta al piano superiore e qualcuno scendere le scale. Era il vescovo, accompagnato da un altro sacerdote. E lì, al buio dello scantinato, senza parenti né amici, né confratelli salvo uno, il vescovo procedette al sacro rito che trasforma il seminarista in un altro Cristo.

Qualche settimana dopo, il novello prete ricevette corrispondenza dai suoi confratelli seminaristi. Sentendo che era finalmente stato ordinato gli chiesero con gioia di far loro pervenire delle foto della cerimonia e della sua celebrazione. Ma non c’era stata alcuna cerimonia pubblica, nessuna celebrazione comunitaria. La sua prima Messa la celebrò il giorno dopo, in un luogo designato, in offerta per il suo servizio a Cristo e alla sua gente. I suoi colleghi seminaristi, in un altra parte del mondo, semplicemente non capirono. E in effetti anche noi spesso non comprendiamo cosa significhi essere sacerdote della Chiesa clandestina in Cina.

Inizialmente cauti per la presenza di stranieri – cosa comprensibile – i sacerdoti e seminaristi si sono poi aperti nel corso delle nostre discussioni teologiche e spirituali. Alla fine della nostra permanenza percepivamo un’unione di pensiero, di cuore e di fiducia che in altre circostanza avrebbe magari richiesto anni per svilupparsi. Dopo reciproche considerazioni di ammirazione nei confronti di monsignor “C”, ci siamo salutati con l’impegno di tornare in futuro per collaborare con la Chiesa in questa diocesi.

Una delle figlie spirituali del vescovo ci ha rivelato che la sua capacità sovrumana di resistenza, rispetto alle incessanti persecuzioni, deriva dalla sua straordinaria vita di preghiera. Egli è solito svegliarsi presto la mattina e fare poi durante il giorno tre ore eucaristiche (quando, ovviamente, ha la possibilità di stare davanti al Santissimo Sacramento, cosa non concessa durante la sua prigionia), la celebrazione eucaristica, la liturgia delle ore, accompagnata da diversi rosari. Egli è molto amato dai suoi sacerdoti, religiosi e fedeli, i quali darebbero volentieri la vita per la sua protezione. E molti dei suoi sacerdoti hanno veramente rischiato la vita per farlo.

Di un altro mondo

La sua serenità non può che essere di un altro mondo. Una testimonianza ha riferito del fatto che persino durante una visita inaspettata della polizia e dei funzionari del dipartimento per gli affari religiosi, monsignor “C” non ha mai perso la calma e la pace. Durante un breve soggiorno in libertà insieme alla sua gente, secondo alcune testimonianze, nonostante la terrificante possibilità di essere in ogni momento riarrestato, egli irradiava una grande pace dal cuore con un sorriso sulle labbra che gli poteva venire solo da una fonte celeste.

Poi abbiamo incontrato una persona che ha redatto delle preziose pubblicazioni per la Chiesa clandestina. Una donna molto aggraziata ed elegante, piena dell’umiltà che sempre accompagna un’autentica cultura cattolica, che ha usato al meglio e nel modo più discreto le sue capacità per donare alla Chiesa clandestina materiali utili per la catechesi e la formazione spirituale.

Questa donna, signora “P”, ha rifiutato qualsiasi riconoscimento per i suoi sforzi così generosi e coraggiosi. Le sue risposte si limitavano semplicemente a dire: “grazie a Dio. Nostra Signora provvede a tutto. È un privilegio servire Dio e io non ne sono degna”.

Ad una domanda sui suoi continui riferimenti alla Vergine Madre e alla sua evidente grande devozione, la signora “P” ha risposto: “La nostra Madre Santa ci ama molto. Io chiedo sempre aiuto a Ma li ya, Shengmu (Maria, Madre Santa) e faccio novene perpetue per lei. Lei ci ama molto”.

Lasciando questa donna ispirata ho aggiunto alla sua sofferenza cristiana il mio saluto tremendamente doloroso alla Cina (che è stato cortesemente tradotto in mandarino da un ricercatore di orticultura che sedeva accanto a me in aereo): “Women ai
ni. Ni yong yaan zai wode xin Li, he zai Yesu he Ma li ya de xin Li. Xie xie nin!” (Noi vi amiamo. Resterete profondamente nei nostri cuori e nei cuori di Gesù e Maria, per sempre. Grazie!).

Tutti i frutti spirituali che crescono e si diramano da questa regione sono coltivati in mistica connessione con il pastore-vittima di questa diocesi. Mentre l’alto prelato, monsignor “C” imita l’Eterno e Sommo Sacerdote nell’offrire i due più grandi sacrifici per la sua gente – l’offerta della Messa e l’offerta della sua vita – i frutti di sangue e acqua si rendono visibili in mezzo alle più intense persecuzioni delle autorità.

Come partecipazione, con il nostro piccolo sacrificio, al sacrificio di questa Chiesa orientale, siamo stati privati dell’esperienza diretta del volto sorridente di monsignor “C”, a causa del suo esilio permanente dalla sua gente, imposto dal dipartimento per gli affari religiosi e dalle autorità locali. La sua testimonianza di sofferenza rimane una fonte di ispirazione inesprimibile.

Insensata persecuzione?

Alcune voci più ingenue della Chiesa “patriottica” potrebbero essere tentate di ritenere che la sofferenza di monsignor “C” sia semplicemente la conseguenza evitabile di una vecchia scuola, di un anziano vescovo dei tempi passati, che testardamente si rifiuta di sottoporsi a una formale registrazione presso l’Associazione patriottica e di acconsentire ad una piccola cooperazione con il Governo che porterebbe ad alleviare questa insensata persecuzione.

Ma questa visione sarebbe un grave travisamento della realtà della particolare situazione che si vive nella regione di monsignor “C”, in cui una collaborazione di questo tipo significherebbe avallare e incarnare un movimento politico-ecclesiale indipendente da Roma e vicino allo Stato. Un uomo, un vescovo, provato dal fuoco e con un quarto di secolo di prigionia e oppressione alle spalle non potrebbe mai accettare questo compromesso rispetto alla coscienza cristiana.

L’essenza della chiamata di Benedetto XVI, nella sua lettera alla Chiesa in Cina è unità. Unità.

È per questo che è imperativo che i cattolici cinesi, attraverso la grazia misericordiosa e risanatrice di Dio, abbandonino le passate confusioni, defezioni e tradimenti, per andare avanti in questa grande missione che li attende, uniti in un’unica Chiesa sotto un unico Santo Padre.

Che i fedeli nella Chiesa “patriottica” che collaborano con le autorità locali senza detrimento morale per Roma e il Magistero, possano continuare a farlo per l’autentico bene della Chiesa. Che possano evitare ogni giudizio nei confronti dei loro fratelli “clandestini” che, a causa di circostanze sostanzialmente diverse, non possono. Che possano essere uniti nel cuore con i loro fratelli “clandestini”.

Che gli appartenenti alla Chiesa “clandestina” che giustamente si rifiutano di collaborare con chi rigetta l’autorità del Papa e la vita cattolica, continuino a farlo per il bene della Chiesa. Che possano evitare ogni giudizio nei confronti dei loro fratelli della Chiesa “patriottica” che, a causa di circostanze sostanzialmente diverse, possono collaborare con le autorità locali per il bene della Chiesa. Che possano essere uniti nel cuore con i loro fratelli della Chiesa “patriottica”, fedeli a Roma.

Solo in questo modo, uniti nella fiducia reciproca e nella verità, saldi sulla roccia di Pietro e obbedienti alle sue direttive, la piccola ma salda Chiesa cattolica in Cina può riflettere la gioia cristiana che irradia dai volti sia del vescovo “P” che del vescovo “C”, eroi della storia che guidano la battaglia su due fronti critici, uno attivo, l’altro corredentivo, e allo stesso tempo adempiere alla missione evangelica datale dal suo stesso Fondatore, per “andare e ammaestrare tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” (Matteo 28,19).

 
[La prima parte è stata pubblicata martedì 11 novembre, mentre la seconda è stata pubblicata giovedì 13 novembre]

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* Mark Miravalle insegna Teologia all’Università Francescana di Steubenville. Autore di oltre una dozzina di libri di Mariologia ed editore di “Mariology: A Guide for Priests, Deacons, Seminarians, and Consecrated Persons”, ha scritto “The Seven Sorrows of China” nel 2007. E’ sposato e ha otto figli.

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ZENIT Staff

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