Bambini malati: “il mistero del dolore che non ha età”

Una Conferenza analizzerà la pastorale nei loro confronti

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 11 novembre 2008 (ZENT.org).- Trovarsi di fronte a dei bambini malati è scontrarsi con “il mistero del dolore che non ha età”, ha affermato questo martedì monsignor José L. Redrado, O.H., Segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute).

Il presule ha partecipato alla conferenza stampa di presentazione della XXIII Conferenza Internazionale sul tema “La Pastorale nella cura dei Bambini malati”, promossa dal suo dicastero, che si svolgerà dal 13 al 15 novembre nell’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano.

Constatando che “non è facile stare di fronte a una persona malata”, monsignor Redrado ha sottolineato che “quando il malato è un bambino il problema si aggrava”.

“È il mistero del dolore che non ha età. Soffrire all’inizio della vita, perché? Perché soffrono e muoiono i bambini, gli innocenti?”.

In questo contesto, l’attenzione pastorale dovrà ricadere più sui genitori che sui figli e dovrà essere supportata da altri professionisti, soprattutto psicologi e assistenti sociali.

Secondo il presule, il servizio pastorale deve “svolgere un ruolo importante nel binomio bambino-genitori e soprattutto bambino-madre, per captare esperienze, necessità, problemi; per captare la vita e esservi presente”.

Per questo, “le attenzioni pastorali si orienteranno maggiormente verso una relazione di aiuto in cui nasca la fiducia e a partire dalla quale si potranno ricostruire tanti problemi vitali che affiorano nei momenti di dolore”.

La pastorale migliore sarà dunque “una presenza continua, discreta, non invadente, una presenza organizzata e coordinata, che accentui i punti forti di necessità delle persone nell’ospedale: al centro il bambino ammalato e attorno a lui i suoi genitori e il personale sanitario”, con una grande attenzione al “sapersi ‘situare’, cioè sapere dove stare, conoscere quali sono le necessità basilari, avere la garanzia di possedere un minimo di qualità per il ministero in quel luogo, e organizzare il servizio”.

Questi criteri, ha osservato, “aiuteranno a costruire giorno dopo giorno la presenza, il dialogo, l’aiuto, la celebrazione sacramentale e liturgica; daranno luce alle nostre parole, senso ai nostri gesti; sentiremo il piacere di condividere speranze e disperazioni, dolori, angustie e gioie per il successo, la guarigione…; vedremo nascere vite nuove, resuscitate in mezzo al dolore e alla morte. Basta non lasciarsi cogliere dalla routine, dall’improvvisazione, dal non sapere cosa fare”.

“I rischi e la fatica saranno tanti, però vale la pena gridare con la forza dello Spirito: ‘sono qui’. Evangelizzati per evangelizzare”.

P. Felice Ruffini, sottosegretario del dicastero, ha affermato dal canto suo che il sacerdote inviato nei Centri di Cura Pediatrici deve rivestire i “panni del ‘fratello maggiore’, un ‘amico’ che non ti può tradire, che ti sta lì accanto per darti sicurezza e può tirarti fuori almeno dal buio che improvvisamente ti è piombato addosso”.

“L’accentuata fragilità a 360° del piccolo ‘malato’, esige che il rapporto si stabilisca su un livello che gli è congeniale, per fargli sentire che non è solo in quella dura personale lotta con la vita”, ha spiegato, sottolineando che l’atteggiamento di “fratello maggiore” è “il primo passo per stabilire un rapporto molto umano e sensibile”.

Il rapporto tra pastore e bimbo malato, ribadisce, richiede “autenticità e credibilità cristalline, senza alcuna ombra”, così come è necessaria “la partecipazione al dramma dei genitori e di parenti prossimi del piccolo malato”.

“Il Cappellano non avrà la prerogativa taumaturgica di operare un miracolo, ma quella di ‘Consolatore’ sostenuta da San Paolo, che comunica che l’unica sorgente della consolazione è Dio per mezzo del Cristo e del suo Spirito”.

Questa missione, ha concluso, è “splendida”: pur se non priva di “ostacoli e di momenti difficili e drammatici”, comporta anche “momenti di grande gioia spirituale nel constatare che anche dai ‘piccoli malati’ si hanno testimonianze eroiche del ‘completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa’”.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione