La Chiesa italiana e il Mezzogiorno

NAPOLI, sabato, 8 novembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del discorso pronunciato dal Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, intervenendo a un incontro sul tema “Chiesa e Mezzogiorno: aspetti etico-morali della questione meridionale”, organizzato il 20 giugno a Napoli dall’Istituto italiano per gli studi filosofici.

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Illustri Signore e Signori,

Porgo un cordiale saluto a tutti voi e ringrazio l’Avv. Gerardo Marotta, per avermi invitato a tenere questa relazione su “La Chiesa e il Mezzogiorno: aspetti etico – religiosi della questione meridionale”. Faccio una breve premessa citando il documento dell’episcopato Chiesa italiana e Mez­zogiorno. Sviluppo nella solidarietà, giacché esso assume oggi, a quasi un ventennio di distanza, un significato di straordinario valore storico. Di fronte ai preoccupanti segnali che ci riserva l’attuale con­siderazione in cui è tenuta la questione meridionale oggi ancora risulta forte il richiamo che i Pastori, vent’anni fa, rivolsero a credenti e non credenti: «La Chiesa, oggi, in Italia, specie quella operante nel Sud, di fronte alle situazioni di disagio e di attesa ……. deve esprimersi come “segno di contraddizione”, in ogni suo membro, in tutte e singole le sue comunità, in ogni sua scelta, rispetto al­la cultura secolarista e utilitaristica e di fronte a quelle dinamiche socio-politiche che sono devianti nei con­fronti dell’autentico bene comune» (n. 25).

Siamo purtroppo costretti ancor oggi a constatare la sostanziale indifferenza per la questione del Sud, in base alla convinzione che il suo sviluppo sia – di fronte ai macrofenomeni conseguenti al processo di globalizzazione economica – una questione marginale, destinata a scomparire, se dovesse mai scomparire, grazie al progresso generale del Paese, a cui invece occorre rivolgere tutte le energie e le attenzioni un una economia competitiva, lasciando ogni illusione di un intervento specifico rivolto al Sud.

La concentrazione di ogni interesse ed energia sui progetti utili al “sistema paese” diviene però paradossalmente una categoria non comprensiva, ma escludente il Sud ed i nodi che comportano, nel concreto, il grave ritardo registrato nelle regioni meridionali.

Già vent’anni fa i Vescovi italiani mettevano l’accento sulla modificazione dei modelli di comportamento e dei valori che aveva riguardato il Sud, trasformando e lacerando le reti di solidarietà familiari e sociali, che ne avevano tradizionalmente costituito il tessuto connettivo. Oggi l’assimilazione, nei comportamenti delle famiglie e dei giovani meridionali, di modelli edonistici fortemente segnati dall’individualismo, indifferenti ai legami sociali, ha inciso sulla comunità familiare, delegittimandola rispetto alle “agenzie” temporanee (gruppi giovanili, luoghi di ritrovo, intrattenimento organizzato…), fino a generare un ethos diffuso e aggressivo.

In un quadro economico, civile e sociale, che ben può essere riassunto dallo scenario di una modernizzazione senza sviluppo, desidero mettere in luce, molto brevemente, tre aspetti che mi sembrano particolarmente interessanti:

1) Innanzitutto, ritengo particolarmente rilevante il problema della legalità, divenuta apertamente rottura del patto sociale tra aree dello stesso Mezzogiorno (come ha evidenziato anche la “questione rifiuti”), rottura ancor più profonda di quella generata dall’esistenza di diverse vocazioni economico-territoriali che ha indotto a parlare di “tanti mezzogiorni”. Rispetto allo sfilacciamento di questo tessuto – che smembra sentimenti comunitari antichi e radicati – l’invasività della criminalità si presenta con una capacità politica inedita nelle forme e negli obiettivi, in grado di condizionare pesantemente larghi abusi sociali. La questione della legalità ha sommato ai profili antichi, nuove caratteristiche. Non permane soltanto l’antica, consolidata diffidenza per lo Stato, ma essa addirittura si salda con il nuovo individualismo insofferente ad ogni regola, legale o non legale.

La stessa questione dell’ossequio alla legge ha mutato aspetto: il problema della legalità non è costituito semplicemente dal mancato rispetto delle regole, ma dal disconoscimento di esse, anche negli atti della vita comune. Un tale disconoscimento si nutre della percezione che le regole non valgano più per nessuno. È questa una malattia mortale che tende a sgretolare la società e portarla alla decadenza . Prendere sempre più coscienza di queste realtà è un dovere imprescindibile.

Giuseppe Capograssi tranquillizzava sulla presenza del male nella storia: finché saremo capaci di riconoscerlo e contrapporre ad esso il bene, potremo salvarci, scriveva con speranza costruttiva. La vera, grave questione morale insorge quando il male viene chiamato bene e, in qualche modo, anche giustificato.

Anche in questo caso la seducente tentazione del relativismo – irrompendo nell’intimo dei valori del Sud – rischia di far divenire invincibile il male e puramente formale il richiamo alla legalità. In questa prospettiva il Sud vive la minaccia del suo più insidioso nemico nella negazione di ogni principio condiviso.

2) Un secondo aspetto riguarda le difficoltà oggettive create dal mancato sviluppo economico e delle difficoltà di accesso al lavoro per intere generazioni. Questa realtà costituisce la premessa di un tragico paradosso, esploso nella situazione sociale meridionale. La modernizzazione esteriore che ha riguardato, in una certa misura, la nostra società nei consumi e negli stili di vita, non corrisponde in realtà ad un effettivo sviluppo, finendo invece per accentuare il divario tra aspirazioni al benessere e al miglioramento della condizione sociale dei singoli e delle famiglie in tutti i ceti sociali, e la possibilità concreta,soprattutto, per la parte più indigente o più esposta culturalmente, di soddisfare quelle aspirazioni.

Ma è proprio l’individualismo che mina alle fondamenta le possibilità di riscatto e di sviluppo. È utile ricordare quanto raccomanda il Compendio della dottrina sociale della Chiesa. (Parte prima, Capitolo Terzo, III. La persona umana e i suoi profili, 125): «la persona non può mai essere pensata come assoluta individualità, edificata da se stessa e su se stessa, quasi che le sue caratteristiche proprie non dipendessero da altri che da sé. Né può essere pensata come pura cellula di un organismo, disposto a riconoscerle, tutt’al più, un ruolo funzionale all’interno di un sistema».

Se non si parte dalla piena verità dell’uomo non è possibile avere alcuna nozione del bene comune. Essa non sopporta né l’individualismo destoricizzante ed esaltatore di una verità astratta sull’uomo, privo di connotazioni sociali, né il comunitarismo relativizzante, che annulla la persona ed i suoi diritti in una dimensione di clan, che rifiuta l’universalismo della verità ed il valore non arbitrario del bene comune. Il bene comune, come ricorda il citato Compendio (Capitolo Quarto. I principi della dottrina sociale della Chiesa II. Il principio del bene comune § 165), in riferimento al Concilio Vaticano II (Gaudium et spes), é «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente».

Nelle regioni del Sud la crescita media – positiva a tutti gli effetti – delle condizioni di vita, ha creato una crescita dei consumi che ha però generato una temporanea illusione di sicurezza, in grado di provocare traumi tanto più grandi quanto più invece i destini personali dei singoli giovani rischiano di esse­re compromessi dalla perdita di senso, dalla carenza di realizzazione personale e di identità sociale, dal manca­to inserimento sociale. A
ccade così checapitale umano nel Sud vada sprecato: l’alta scolarizzazione e la stessa spesa per l’istruzione – come documentato anche dalla Banca d’Italia – non si traduce in offerta di lavoro qualificato per le difficoltà di trovare un’adeguata domanda, nonostante la presenza di una formazione universitaria diffusa, con il documentato allontanamento di un’alta percentuale dei laureati meridionali verso altre aree del paese, che finisce per impoverire proprio il capitale umano, indispensabile allo sviluppo meridionale.

La fuga soprattutto dei giovani dalle nostre città sta determinando nuove e, purtroppo, frequenti forme di emarginazione con il conseguente depauperamento non solo demografico, ma anche culturale del Meridione. Se i giovani migliori se ne vanno, non ci rimane altro che una mediocrità contraria ad ogni possibile sviluppo.

3) Un terzo aspetto si riferisce alla formazione. L’effetto scoraggiamento – già registrato e denunciato in relazione per la ricerca dell’occupazione, specie nel Sud e per il lavoro femminile, con gravi conseguenze sociali e morali – si estende negli ultimi tempi anche all’atteggiamento circa la formazione, in specie quella scolastica: recenti indagini mettono in luce come tra i giovani l’istruzione non sia considerata né necessaria né utile, venendo considerati altri e differenti percorsi, meno faticosi e più seducenti, i più adatti a conseguire i propri obiettivi, benché effimeri. Non più impegno e dedizione, ma adesione all’effimero e al gradito. Ciò segna una grande differenza con le generazioni che hanno considerato – anche in condizioni assai più difficili – la scuola come l’occasione di riscatto morale e sociale per il proprio futuro e per quello della propria famiglia. Proprio la perdita della prospettiva del futuro nei giovani sembra la minaccia più grave e incombente sul destino del Mezzogiorno.

Questo rilevante aspetto andrebbe affrontato: occorre saldare il progetto di istruzione, in grado di animare il mercato del lavoro qualificato, ad un progetto formativo che inserisca il lavoro in una rinnovata trama capace di ricostruire una rete di relazioni che includa la speranza, senza la quale non esiste alcuna prospettiva comunitaria. È necessario mettere in campo tutte le più sane e positive energie in modo da realizzare ipotesi concrete di sviluppo che aiutino a uscire dalle torri d’avorio pronte, come si è già dimostrato in tante occasioni, a concorrere e a lottare per il bene comune. Questa è forse l’unica strada per combattere ogni forma di morte sociale e abbattere quella cultura della disonestà, della sfiducia e del disfattismo.

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Conclusione : l’impegno della Chiesa.

Assume dunque un grande significato il ruolo che svolge e può sempre svolgere la Chiesa meridionale: la comunità ecclesiale vuol essere anche oggi, come già in passato, una particolare forma di aggregazione solidaristica presente ca­pillarmente nella storia del Mezzogiorno. È questo lo scopo per cui noi Vescovi dell’Italia Meridionale abbiamo deciso di organizzare a Napoli, possibilmente nel prossimo mese di Novembre, un convegno sul ruolo della Chiesa che è nel Mezzogiorno. Come già venti anni fa, la Chiesa vuole proporsi all’intera comunità nazionale come segno di speranza.

Vogliamo ri-organizzare la speranza per evitare che qualcuno ce la rubi e ci condanni a una morte sociale e religiosa. Questa nostra speranza non è il segno di illusorie ipotesi, ma è impegno concreto perché ognuno possa trovare uno spazio nel quale realizzare la sua personalità e le sue potenzialità.

Credo che iniziative, come quella di oggi, in cui abbiamo le possibilità di confrontarci, vadano nella direzione giusta. È una provocazione culturale, un parlare insieme nel segno della speranza, convinti che le idee che ci scambiamo saranno capaci di aprire la giusta strada a quanti si rendono disponibili a dare il proprio contributo per organizzare la speranza nel nostro Mezzogiorno.

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ZENIT Staff

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