Sui diritti umani, nessun cedimento a “interpretazioni relativistiche”

Mons. Francesco Follo sui 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

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PARIGI, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).-“Non dobbiamo cedere alla tentazione di interpretazioni relativistiche dei diritti umani o ad una applicazione parziale e ineguale secondo il ben volere di coloro che devono applicarli”, afferma mons. Francesco Follo.

E’ quanto ha ribadito l’Osservatore permanente della Santa Sede all’UNESCO, intervenendo il 14 ottobre scorso, a Parigi, alla 180° Sessione del Consiglio esecutivo di questa Organizzazione delle Nazioni Unite per commemorare il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Per il presule un atteggiamento di questo tipo “significherebbe soddisfare esigenze particolari, trascurando le esigenze legittime della persona umana per la quale questi diritti sono stati riconosciuti”.

Tracciando un breve bilancio di questi ultimi 60 anni, il presule ha ricordato che mentre allora, nel 1948, furono 51 gli Stati ad aderire alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, oggi sono 193, e che sempre “nuovi paesi” vogliono “esprimere altri diritti”; inoltre, ha evidenziato che al giorno d’oggi “le circa 6000 lingue e le 7500 etnie fanno sentire la loro presenza”, mentre “il ruolo sociale […] della religione è sempre più riconosciuto”.

Nel suo intervento mons. Follo ha lodato la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come “uno dei più bei frutti della convergenza tra le differenti tradizioni culturali e religiose, che si è rivelata uno strumento importante per proteggere la persona umana e preservarne la dignità”.

Oltre a questo, ha aggiunto, “i diritti umani si sono rivelati un mezzo efficace per preservare la pace nel mondo”, sottolineando poi che la loro promozione oggi può risultare “efficace nel colmare le disuguaglianze fra i Paesi e i gruppi sociali”.

Riferendosi allo stato di applicazione del Piano d’azione dell’UNESCO, l’Osservatore permanente della Santa Sede ha detto che questi diritti sono “espressione della legge naturale, che è iscritta nel cuore dell’uomo e che è presente nelle differenti culture e civiltà”.

Se da una parte “la percezione dei diritti dell’uomo si evolve nel tempo”, dall’altra – ha continuato – “l’essere radicati nella persona umana conferisce loro uno statuto universale”.

Nel suo intervento si è quindi soffermato in particolare sul diritto alla libertà religiosa da riconoscere “non solo in ciò che concerne la dimensione del culto o del rito in senso stretto, ma anche in ciò che concerne la vita dell’uomo in generale”.

Il diritto alla libertà religiosa, ha ricordato, si definisce “nell’atto di credere o di non credere, di avere una religione o di non averla, o di cambiarla; da un punto di vista soggettivo questa libertà non esclude altre dimensioni dell’essere umano, come quella della cittadinanza, ma al contrario è diretta verso l’Assoluto, unifica l’essere umano piuttosto che frammentarlo”.

“La libertà di una persona – ha continuato – si sviluppa in connessione con la libertà degli altri. Si tratta di una libertà con gli altri e attraverso gli altri, e quindi anche con l’Altro”.

Il diritto alla libertà religiosa è quindi “espressione di una dimensione costitutiva della persona umana, che non si può negare o eludere”.

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ZENIT Staff

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