Prolusione del Cardinale Bertone sull'emergenza educativa

Per l’inaugurazione del nuovo anno accademico della Salesiana

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ROMA, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la prolusione svolta dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in occasione dell’inaugurazione, il 15 ottobre scorso, del nuovo anno accademico della Pontificia Università Salesiana di Roma.

* * *

Eccellenze Reverendissime,
Eccellentissimi Ambasciatori presso la Santa Sede,
Signor Vicario del Rettor Maggiore, D. Adriano Bregolin,
Caro Rettore, cari docenti e cari studenti!

1. L’emergenza educativa oggi

E’ sempre per me un grande piacere tornare in questa Università nella quale ho trascorso non pochi anni della mia vita, prima come docente e poi come Rettore. Permettete pertanto che in primo luogo esprima viva gratitudine al Rettor Magnifico, prof. Don Mario Toso, per l’invito che gentilmente mi ha rivolto a tenere la prolusione, all’inizio di questo nuovo anno accademico. Il mio saluto si estende ai docenti e all’intero corpo accademico, agli Eccellentissimi e ai Reverendissimi Prelati, alle illustri Personalità presenti e a quanti non hanno voluto mancare a quest’importante appuntamento. Un saluto speciale agli studenti, e in primo luogo a quelli che intraprendono il ciclo di studi universitari. A tutti gli intervenuti mi preme trasmettere anzitutto il cordiale saluto e la benedizione di Sua Santità, il quale, per mio tramite, assicura la sua vicinanza spirituale, augura un anno di lavoro fruttuoso, ed incoraggia l’Università Salesiana a proseguire nel delicato e importante servizio che rende alla Chiesa e alla società. Un servizio che il tema scelto per questa prolusione pone ancor più in rilievo: l’educazione che oggi coinvolge la famiglia, la scuola, la Chiesa e molte altre istituzioni nazionali ed internazionali. Quello dell’educazione delle nuove generazioni è una sfida e un servizio a cui la nostra famiglia religiosa, fondata da un grande santo e pedagogo quale fu san Giovanni Bosco, si dedica con evangelica passione; è anche un tema costantemente presente al cuore del Santo Padre Benedetto XVI, il quale non manca occasione, come ha fatto anche di recente nel corso della sua visita al Quirinale, il 4 ottobre scorso, per evidenziare quella che ormai tutti ritengono una priorità, anzi una vera e propria emergenza: l’educazione e specialmente la formazione delle nuove generazioni. Sì! L’educazione costituisce una reale questione emergente, non riconducibile alla semplice riforma del sistema scolastico ed universitario; è piuttosto un vasto tema. La cosiddetta educazione globale, alla quale giustamente anche la vostra Università dedica adeguata riflessione, investe tutti gli ambiti della vita sociale, e la visione cattolica dell’educazione globale rappresenta un’importante area di studio e di approfondimento a cui la vostra Università è chiamata ad offrire un proprio peculiare contributo.

2. Un campo d’azione a 360 gradi

E’ sotto gli occhi di tutti quel che oggi si registra specialmente nelle società occidentali: serpeggia ovunque un diffuso e pervasivo senso di crisi della vita e dei valori; talora Dio, che in Cristo ha rivelato il suo volto d’amore, appare relegato ai margini dell’esistere umano e la sua presenza viene valutata come questione “individuale” e “privata”, di conseguenza marginale rispetto alle scelte di ogni giorno; si assiste inoltre a un pericoloso sfaldamento dell’ethos civile, a un progressivo affievolimento della tensione alla solidarietà e alla fraternità e  diventa più difficile nelle nostre comunità l’integrazione con persone di fedi e culture diverse. Quanto è lontana quella convivialità  delle culture che dovrebbe animare la «civiltà dell’amore» a cui pensava già Paolo VI e ancor più Giovanni Paolo II! Tuttavia, proprio mentre crescono i segni di sfiducia nelle capacità umane di vero, di bene e di Dio, la Chiesa è chiamata ad un più chiaro e coraggioso annuncio di verità e di speranza. Suo compito è far comprendere che il Vangelo non è in contrasto, né potrebbe esserlo, con la razionalità umana, ma che, a partire dal messaggio cristiano, è anzi possibile operare una rinnovata sintesi culturale e sapienziale in grado di far fronte alle sfide e alle attese della modernità; è possibile offrire risposte globali che intercettino le inedite “domande di senso” emergenti nei vari comparti della società del terzo millennio. Penso, ad esempio, alle molteplici questioni della bioingegneria, al tema del progresso sostenibile e della salvaguardia dell’ambiente; penso all’allarmante “tsunami” che proprio in questi giorni sta investendo i mercati finanziari del mondo intero con risvolti  socio-politici difficilmente ipotizzabili; penso alla persistente e troppo spesso dimenticata crisi alimentare che pagano le popolazioni più povere del pianeta. Ho negli occhi gli esodi biblici di milioni di persone che migrano in cerca disperata di mezzi di sussistenza. E che dire dell’universo virtuale dove navigano nuovi mass media e dove i giovani sono sempre più “protagonisti assenti”? C’è infine il fenomeno diffuso della globalizzazione che va trasformando i cinque continenti in un unico villaggio globale con indubbi vantaggi, ma anche non pochi rischi e problemi tuttora irrisolti. Tutto questo ci fa percepire che la questione dell’educazione è veramente “globale”, che bisogna intervenire a trecentosessanta gradi in tutti i campi dell’esistenza, con un riferimento prioritario all’ambito socio-culturale. Ed è proprio in questo ampio panorama che una Università, una Università  pontificia come questa, è chiamata  a dialogare con il sapere contemporaneo, lasciandosi illuminare dalla Verità rivelata.

3. Investire sul piano formativo ed educativo

Le Università ecclesiastiche inserite nell’attuale società, segnata da vasti mutamenti sociali e culturali, devono in primo luogo investire sul piano formativo ed educativo. Lo psico-pedagogista nord-americano J. S. Bruner, nello studio che lo ha fatto conoscere al mondo pedagogico, intitolato Verso una teoria dell’istruzione, afferma: «Ogni generazione deve definire da capo la natura, la direzione e gli scopi dell’educazione, per assicurare alla generazione futura il più alto grado di libertà e di razionalità che sarà capace di raggiungere. Vi sono infatti cambiamenti, sia nelle condizioni oggettive, sia nel sapere, che pongono limiti o offrono nuove possibilità all’educatore in ogni successiva generazione. In questo senso l’educazione è un costante processo di creazione».[1] Questa sua affermazione fa pensare a quanto è avvenuto nel corso degli ultimi decenni: è andata infatti gradualmente maturando, a livello di politica nazionale e internazionale (europea, in particolare), la consapevolezza che le diffuse trasformazioni in campo economico e socio-culturale e le forti innovazioni nel settore tecnologico e comunicativo incidono profondamente sul presente e condizionano il futuro della società; proprio per questo è indispensabile un intenso investimento sul piano formativo.

Anche le Università ecclesiastiche vengono così a trovarsi inserite in un processo e in una rete di istituzioni in cui possono contribuire a creare una nuova cultura, rendendo anzitutto conto del loro impegno scientifico. Esse possono offrire, sulla base della loro identità peculiare, contributi che coltivino gli aspetti veritativi e sapienziali del sapere, caratterizzanti la cultura cristiana e il suo umanesimo sostanziato dalla trascendenza. E’ innegabile che l’apporto delle Università ecclesiastiche risulta provvidenziale nel sopravvenire impetuoso del mercato globalizzato e nell’accelerazione dell’innovazione tecnologica, condizioni queste che non raramente sospingono i saperi universitari a diventare selettivi e
funzionali alle esigenze della produzione e del profitto. L’eccessiva specializzazione dei saperi e l’esaltazione di quelli empirici può a volte rendere quasi impossibile una sintesi umanistica, che abbisogna sempre del passaggio dal fenomeno al fondamento. Come ha ribadito Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, della quale ricorre il decennale di pubblicazione, occorre rielaborare una vera sintesi umanistica, senza la quale la funzione formativa si incrina, perché diventa strumentale a visioni dell’uomo e della società troppo riduttive. Da questo rischio, ahimè quanto mai attuale e ricorrente, non si stanca di mettere in guardia Benedetto XVI, denunciando la deriva del nichilismo e del relativismo, come pure la confusione dei linguaggi, e in definitiva il pericolo di scontri di civiltà.

4.  Il contesto di una nuova evangelizzazione

Proprio in questo contesto, anche rimanendo solo a livello di situazione e di prassi universitaria, appare l’esigenza di impegnarsi nell’educare, andando oltre l’istruzione e la semplice acquisizione delle competenze. A Verona, il 19 ottobre 2006, in occasione del convegno della Chiesa italiana, il Papa metteva in evidenza che l’educazione della persona è un processo complesso. «Occorre preoccuparsi della formazione della sua intelligenza, – egli diceva – senza trascurare quella della sua libertà e capacità di amare. E per questo è necessario il ricorso anche all’aiuto della Grazia. Solo in questo modo si potrà contrastare efficacemente quel rischio per le sorti della famiglia umana che è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre risorse morali».[2]

L’educazione – scriveva ancora Giovanni Paolo II nella Fides et ratio– ha tra i suoi compiti più cruciali quello di «portare gli uomini alla scoperta della loro capacità di conoscere il vero e del loro anelito verso un senso ultimo e definitivo dell’esistenza».[3] Si impone pertanto una nuova evangelizzazione che preluda a una nuova educazione ancorata a un’antropologia globale, in un processo che aiuti la crescita delle persone nel rispetto della loro dignità umana e divina. Vale a dire, occorre che la nuova evangelizzazione umanizzi l’educazione, sollecitandola a far leva sulle capacità cognitive ed etiche proprie di persone redente e, pertanto, messe in grado di vivere secondo principi e valori trascendenti. I progetti educativi hanno così a disposizione il quadro culturale di un umanesimo relazionale, aperto alla Trascendenza. Grazie alla salvezza donata dall’Alto, questi progetti possono contare su un fondamentale ottimismo antropologico ed etico, ed essere guidati da orizzonti di speranza, rispondenti alle attese più intime dell’animo umano. Progetti in grado di aiutare l’uomo d’oggi, disperso negli affanni e negli impegni, a percorrere le strade della riflessione, del silenzio, della preghiera, così da vivere la vita come un viaggio spirituale verso Dio.

In questo contesto si delinea ancor più chiaro per le istituzioni educative, specie quelle universitarie come la vostra, il compito di mostrare, sul fondamento delle scienze teologiche ed umane ed attraverso la ricerca e la sperimentazione, il profilo di una nuova educazione che mai può prescindere da una conoscenza più aggiornata della condizione giovanile odierna.

5. «Dilatare la razionalità»

E proprio ai fini di promuovere un’educazione globale della persona, occorre affrontare con chiarezza la questione antropologica su cui ci soffermeremo nelle pagine seguenti. Va riaffermata la persona nella sua vocazione trascendente, ossia come essere dotato di una “relazionalità” in orizzontale e in verticale, di una razionalità mai ridotta a “unidimensionale”, bensì articolata secondo la molteplicità dei gradi del sapere. Solo una ragione integrale permette di realizzare l’alleanza tra scienze della natura e scienze umane e sociali; solo una ragione integrale è in grado di coniugare specializzazione e unificazione del conoscere, analisi e sintesi, definizione e interpretazione; solo con l’ausilio di una tale ragione, sul terreno del soggetto conoscente è possibile sostenere formativamente un qualificato saper apprendere ad apprendere, dilatando interessi personali di conoscenza, di azione e di vita, stimolando ad usare molteplici approcci cognitivi per giungere ad apprendimenti di conoscenze sempre più flessibilmente organizzati e umanamente significativi.[4]

A questo riguardo, la ricerca e la didattica universitaria non possono ignorare l’intrinseca referenzialità della ricerca scientifico-tecnologica all’umano, della sua finalizzazione ultima all’agire buono di tutti e di ognuno, insomma al bene comune sociale. Il che esige che si contemperi opportunamente scientificità disciplinare, sinergia delle discipline scientifiche, acquisizione di competenze tecnologiche con una solida formazione umanistica. Senza tale sinergia diventa estremamente difficile una armonica e qualificata crescita della persona, e sicuramente si aiutano poco anche una pacifica e corresponsabile convivenza civile, come pure lo sviluppo sostenibile dei popoli.[5]

Tutto questo invece diviene più facile e sicuro quando la ragione è coniugata nell’orizzonte della rivelazione cristiana, ovvero nel contesto di una razionalità superiore. La ragione infatti non è impoverita né diminuita dai contenuti della fede, anzi viene sfidata a superare se stessa, ad esprimere il meglio della sua essenza speculativa, logica, morale e sapienziale. E così, risulta più atta ad articolare il processo educativo secondo la pluralità e l’unità delle dimensioni delle persone, bisognose d’integrazione tra intelletto speculativo e ragione pratica, tra verità e agape, tra mente e cuore, come ci ha meravigliosamente insegnato san Giovanni Bosco.

6. Rispondere alla questione antropologica

Eccoci quindi nel cuore della questione antropologica. L’età moderna ha accentuato la centralità dell’uomo nel mondo, parlandone come di un «microcosmo», ed evidenziandone le capacità di trasformazione sul mondo e sulla storia. L’uomo era visto come faber, cioè costruttore del suo destino, e non semplice esecutore di una volontà superiore o fuori di sé. Oggi però queste prospettive sono entrate in crisi, nel senso che ad esse sono subentrate visioni antropologiche pessimistiche, chiuse alla speranza di un futuro migliore. Per questo spesso si parla di «fine della modernità» e di «post-modernità», sino ad ipotizzare una «mutazione antropologica» destrutturante le persone. Sono entrate in crisi le categorie basilari della vita umana: quelle di comunità/comunitarietà, di popolo e, più radicalmente, quelle di bene, di verità e di valore, di felicità e benessere, di intenzionalità e progettualità umana, di eticità, di politica e di Welfare State, di bene comune.

Riemerge allora, e in maniera sempre più urgente, l’antica e radicale domanda: chi è l’uomo? Che cosa è e significa «umanamente degno»? Anzi: a fronte di una universalizzazione della vita e della cultura, che può azzerare le differenze culturali e le prospettive di verità e
di bene (provocando frammentazione personale, relativismo culturale, assolutizzazione fondamentalistico-culturale); a fronte di ciò che le biotecnologie prospettano non solo in termini di interventi tecnico-genetici migliorativi, ma anche in termini in qualche modo «post-umani» o «oltreumani», quasi a «produrre» l’uomo con la tecnica (come Mary Shelley già paventava nel suo famoso romanzo del 1818, Frankenstein or The Modern Prometheus); a fronte degli orizzonti «simulativi» di mondi virtuali creati dalle tecnologie digitali, si viene a precisare una chiara «questione antropologica» che rende cogente rispondere alle domande di sempre: Che cos’è la vita, il mondo, l’uomo? Qual è il suo destino e il suo futuro? Che futuro avrà l’umanità?

E non si può certo accettare che tutta la verità sull’uomo si esaurisca nella figura dell’homo videns o dell’uomo telematico, tipico della civiltà attuale della comunicazione. In effetti, con i media e la telematica, in certo modo sono venuti a svuotarsi il tempo e lo spazio, è scomparsa la relazione corporea, è mutata persino la percezione di sé: insomma si è come sradicati dalla propria «carne». Ciò che balza in primo piano è allora un “io” fenomenico privo ormai di un centro unificante dei suoi molti sé. Inoltre, a causa dell’ipermediatizzazione e della telematizzazione delle relazioni, le persone rischiano di perdere il contatto reale con gli altri e con se stesse. Indeboliscono la propria capacità di far proiezione di sé, quindi la propria identità che – come hanno insegnato i filosofi personalisti –, si perfeziona nel confronto con l’alterità dell’altro. «Il soggetto è sempre più frammentato e nomadico- scrive Fiorani nel suo saggio intitolato “La comunicazione a rete globale” -: smarrito tra i suoi oggetti e le sue macchine, è immerso nel puro presente […] Il dissolvimento insieme del passato e del futuro porta a una presenzialità assente e vuota».[6] In altri termini, non si è più enti sussistenti in sé e per sé, ossia soggetti autonomi, liberi e responsabili, essenzialmente sociali e relazionali. Prevale la rappresentazione di sé come macchina comunicante, ricca di scambi sociali ma non solidale. La persona perde il contatto con la propria natura di essere umano, “sinolo” di anima e corpo, dotato della capacità di conoscere il vero e il bene e di una libertà intrinsecamente legata a tale capacità e alla relazionalità. Le conseguenze di tale visione della persona, sradicata dalla sua essenza, sono facilmente immaginabili, quando si pensa alla concezione dei diritti e della convivenza sociale. I media e la telematica, contribuendo a rendere dominante una visione della realtà e dell’uomo disancorata dalla loro dimensione metafisica ed etica, ne favoriscono un’interpretazione storicistica ed individualistica. Con ciò, operano una sorta di scippo nei confronti dell’uomo e della società: tolgono loro la prospettiva del compimento e la rappresentazione dell’ideale. E tornano con tremenda attualità le famose tre domande kantiane: «Che cosa possiamo conoscere? Che cosa possiamo fare? Che cosa ci è dato sperare?».

7. L’esigenza di una nuovo umanesimo planetario

Dinanzi a una tale situazione si sente urgente una nuova sintesi di umanesimo. Sull’impianto classico greco-romano della soggettività e dei ruoli sociali giocati dall’uomo, il pensiero filosofico-teologico di ispirazione cristiana ha elaborato in passato il concetto di persona umana (individuo, gruppi, comunità) come soggetto capace di interiorità, di autonomia, di libertà, di responsabilità e di auto-trascendenza. Per noi cristiani, l’uomo è – come si dice – un «essere in-sé», soggetto, che nessuno può ridurre ad oggetto, almeno in forma assoluta e definitiva; è essere aperto agli altri (esse-ad); un «essere di comunione», che, nella sua esistenza spazio-temporale e storica, si può porre in rapporto attivo e ricreativo con Dio (nella religione e nella fede, e nel sacrario della sua coscienza interiore), con il mondo (nel lavoro) e con gli altri (con la sua corporeità, linguaggio, impegno, nei rapporti interpersonali e nella vita comunitaria). L’uomo è fine (non solo mezzo, direbbe Kant), è un «essere per sè» (cioè degno di essere «chiamato», apprezzato, rispettato e amato: anzitutto da Dio che lo ha creato). L’uomo è parte/membro (della specie umana, della società, della Chiesa, dell’umanità), ma anche «tutto» (interiorità, spiritualità, trascendenza). Per questo, Maritain scrive che l’uomo è individualità (parte, materia, corporeità) e personalità (tutto, anima, spiritualità), nell’integrazione tra microcosmi e macrocosmi, tra empiricità, ontologia, metafisica, assiologia, etica religiosità.[7]

Nel complesso clima culturale di oggi ritorna quindi prepotente l’affermazione della persona, della persona vivente, «con nome e cognome», fonte di diritti e di dignità, responsabile della vita, propria, altrui e del bene comune. Tuttavia, come per i diritti umani che ne costituiscono per così dire l’irradiazione a livello ideale e valoriale, così anche per l’affermazione della persona, si richiede un rinnovato impegno di «pensarla bene» nella sua complessità interna e relazionale, di tradurla in termini culturali condivisibili, di ricercarne la fondazione ontologica, per quanto pluralistica essa possa e debba essere. E questo, oltre ogni aspetto empirico, storico e fattuale, e oltre ogni stesso impegno «politico» di difesa, tutela e promozione. L’Università salesiana, che coltiva il proposito di servire la Chiesa e la società soprattutto sul piano educativo in termini personalisti e relazionali, non può non dare qualità e profondità teorica alla proposta, che viene avanzata da molte parti, di un «nuovo umanesimo» adeguato all’attuale condizione dell’ «uomo planetario». Potrà così contribuire a integrare e rendere visibili le molteplici interdipendenze che si manifestano nell’esistenza umana attuale, tra locale e globale, tra reale e virtuale, tra identità e differenza, tra empiricità e interiorità, tra novità e perennità; potrà anche contribuire a generare l’idea di un essere umano integrale, di «persona umana» capace di concentrare nella singolarità del microcosmo personale i molteplici aspetti del macrocosmo umano.

8. Una paideia della persona umana

Essendo compito di ogni Università farsi attenta non solo alle idee ma anche ai processi sociali, lavorare cioè per passare dal livello globalmente antropologico a quello propriamente culturale e pedagogico, più vivo oggi si avverte di conseguenza il bisogno improcrastinabile di arrivare a una nuova paideia, cioè a una nuova cultura educativa, umanamente degna (e non solo funzionalmente e utilitaristicamente significativa). Una nuova paideia che – pur nelle differenziazioni della sua coniugazione culturale e disciplinare – cerchi le vie adeguate per essere all’altezza dei tempi, capace in definitiva di affrontare le sfide per costruire un futuro più «umano» rispetto a quanto viene prospettato in quest’inizio di secolo. La humanitas del nuovo umanesimo deve, cioè, essere riletta a livello pedagogico, affinché possa evidenziare il fine, l’orizzonte e il telos della personale e comunitaria responsabilità/solidarietà educativa, a tutti i livelli e, in particolare, a livello universitario.

In questa linea, a fronte dei moderni modi di apprendere delle nuove generazioni – più affidati ai «non luoghi» mediatici e telematici che ai «luoghi» tradizionali della famiglia, scuola, parrocchia, associazioni, più realizzati nell’informale che nel formale, più vissuti secondo logiche informatiche che razionali, più in immagini che in con
cetti – l’educazione a tutti i livelli dovrà «insegnare ad apprendere» e «insegnare ad essere»; dovrà promuovere un’acquisizione critica, sistematica e integrata del meglio della cultura sociale e, al contempo, formare le capacità di «fare cultura»; dovrà collaborare allo sviluppo interiore, spirituale e morale delle persone, a cominciare dalla costruzione delle coordinate del personale e comune essere nel mondo e dalla ritessitura dei «fili invisibili della vita», che permettono di assicurare ad essa e alla storia un senso aperto al di più, al futuro e all’oltre. L’educazione stimolerà così all’acquisizione di competenze specifiche/professionali che permettano un buono ed effettivo inserimento nel mondo del lavoro e della produzione sociale, con competenze generali/personali che rendano possibile una vita umanamente degna per ciascuno e per tutti, individualmente e comunitariamente. Sosterrà ancora l’educazione la formazione di cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite, siano esse quella nazionale, quella europea, quella mondiale. L’educazione potrà conseguire tali obbiettivi proprio attraverso la valorizzazione delle differenze personali e delle radicazioni culturali di ogni persona, nelle varie età della vita, operando sinergicamente (o, come oggi spesso si dice, «a rete») tra sistema sociale di formazione (informale, non formale, formale), tra istituzioni formative e territorio, le sue diverse configurazioni sociali, non ultime quelle religiose ed ecclesiali.

9. Il senso della profezia cristiana sull’uomo

Ci chiediamo ora, in questo contesto, come e in che modo possa un’Università pontificia contribuire a rispondere alle domande di significato che gli uomini del nostro tempo si pongono, preoccupati del proprio e del comune futuro. Compito di una Università pontificia non può che essere l’annuncio di Cristo, riproporre la «profezia» del Vangelo dell’incarnazione del Dio che si è fatto uomo perché l’uomo sia redento, salvato, divinizzato; annunciare la rivelazione dell’amore misericordioso di Dio, che ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito per farci tutti «figli nel Figlio»; proclamare il rinnovamento umano nello Spirito, che permette non solo la riconciliazione tra umano e divino, tra tempo ed eternità, ma anche tra persone, gruppi, popoli e linguaggi (permettendo, quindi, la possibilità di dialogare, comunicare, far comunità e comunione, al di là di ogni alterità, differenza, separatezza, solitudine, emarginazione, esclusione).

La “profezia” del Vangelo permette di intravedere, per un verso il senso del limite e della fragilità umana (la «canna pensante» di Blaise Pascal), e, per altro verso evidenzia una profonda aspirazione ad «essere di più» (Emmanuel Mounier), e, in chiave cristiana, l’aspirazione ad una vita vissuta sotto l’azione vivificante e trasformante dello Spirito di Dio. Lo Spirito Santo è principio ed energia vitale che spinge gli uomini a vivere «secondo Dio», come esseri cioè in relazione personalissima con Dio, come comunità di credenti e come popolo sacerdotale e profetico, chiamato a rendere visibile nel mondo l’amore creante e redentore di Dio; a ricreare il proprio io secondo lo Spirito di Dio (Tommaso d’Aquino, De virtutibus, q. 1, a. 10); a ricercare «prima di tutto» il Regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,25-33), nell’«attesa di cieli nuovi e terra nuova in cui abiterà definitivamente la giustizia» (2 Pt 3,13).

In tale prospettiva, la vita morale, che si articola nella libera adesione a norme e principi divini iscritti nel cuore di ogni uomo, si nutre di una personale relazione con Dio in Gesù Cristo e, nella luce di essa, è ricerca del giusto rapporto con gli altri e con le realtà temporali. Come conseguenza, l’esistenza storica risulta segnata dalla «sacramentalità», vale a dire dalla costante coniugazione di visibilità e di mistero, di concretezza e di idealità, di impegno e di invocazione, di inserzione nel tempo e di apertura all’eterno. Ed in questa linea potrà continuare ad avere valore «maieutico e liberante» – anche a livello pedagogico-educativo – la testimonianza di «una vita che profuma di Vangelo» e che, «vivendo di fede», mostra la dignità e la valenza umana della stessa profezia cristiana sull’uomo e sulla storia umana.

10. L’esigenza di una Università come comunità educativa

L’immagine «comunitaria» è connaturata alla esperienza storica dell’Università, concepita come organico convergere e vivere, tipico di una universitas magistrorum et scholarium. Ancor più importante è oggi questa visione comunitaria se si vuole che il movimento intenzionale dell’istituzione e della prassi universitaria sia decisamente focalizzato e indirizzato sulla e verso la formazione «specialistica» di uomini e donne «per l’uomo e per la comunità», «ultimamente per Dio».

In quanto luogo di formazione mediante l’acquisizione delle conoscenze scientifiche, lo studio rigoroso e lo sviluppo della coscienza critica, l’Università non potrà non essere comunità di dialogo, di ricerca e di esperienza sociale. Certo, oggi dovrà essere informata ai valori democratici e dell’etica pubblica, in interazione con la più vasta comunità civile e sociale di cui l’Università è parte integrante e culturalmente stimolativa. Si dovrà pensare a procedure corrispondenti, ma certamente anche curare la qualità delle relazioni dirigenti-amministratori-docenti studenti, coniugando complessità e autonomia, personale e istituzionale, rispetto delle procedure e dei ruoli e pratica della corresponsabilità partecipata e differenziata, in vista del raggiungimento di obiettivi culturali e professionali adeguati alle grandi finalità dell’istituzione universitaria, che sono: la ricerca, la formazione, la diffusione culturale, la gestione istituzionale-universitaria. E tutto questo, sulla base della libertà dell’insegnamento, del diritto di opinione e di espressione, della libertà religiosa, del rispetto reciproco delle persone e delle «differenze» individuali e di status sociale, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale, ma anche nell’impegno della ricerca e della tensione etica per la verità e il bene comune. La ricerca della «positività» dell’azione educativa e la coscienza che l’educazione è «opera comune» spingono a chiedere – a livello di esercizio pubblico del «servizio educativo» – un preciso quadro istituzionale, giuridico e deontologico per il suo corretto espletamento.

11. Conclusione

Nel contesto della visione cattolica dell’educazione globale acquistano  infine – e mi avvio alla conclusione – una rilevante importanza la figura e la missione dei docenti universitari. Occorre che essi siano personalità di profondo spessore umano, prima ancora che provvisti delle pur necessarie e valide competenze accademiche: persone spiritualmente ricche, annunciatori credibili del Vangelo, testimoni chiari della qualità umana della cultura che insegnano o propongono. Soprattutto, non possono non essere al contempo «maestri» e «politici», nel senso alto e umano di «costruttore di polis», e di cittadinanza aperta e attivamente impegnata per uno sviluppo storicamente sostenibile, umanamente degno per tutti. Educare per un docente è partecipare agli studenti il sapere comunicando valori e senso; è aiutare a costruire insieme un futuro migliore per ciascuno e per tutti mantenendo viva la fiamma della speranza; è testimoniare quella «verità che salva», a cui si può pervenire grazie al dinamismo conoscitivo di «una fede amica dell’intelligenza e animata dall’agape». Mi pare che sia proprio questo il messaggio che Papa Benedetto XVI va ripetendo in ogni circostanza opportuna indicando l’educazione come una modalità cristiana di dialogare e di riflettere culturalmente. La sua carriera di docente e la sua lunga esperienza di Pastore lo rendono guida saggia e illuminata per tutti coloro che so
no chiamati a svolgere questo servizio nella Chiesa e nella società, un servizio indispensabile all’evangelizzazione specialmente dei giovani e della cultura. Maria, Sedes sapientiae vegli sull’anno accademico appena avviato; un nuovo anno che auguro, grazie anche all’intercessione di san Giovanni Bosco, sereno, fruttuoso e proficuo per tutti. Grazie!

****************

[1] J. S. Bruner, Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma 1967, p. 51.

[2] Benedetto XVI, Discorso al Convegno di Verona (19 ottobre 2006), in «L’Osservatore Romano» (venerdì 20 ottobre 2006) 7.

[3] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Fides et ratio, n. 102, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 148.

[4] Cf E. morin, Quelle université pour demain? Vers une évolution transdisciplinaire de l’université, in «Motivations» 24 (1997) 1-4.

[5] Cf G. Tanzella-Nitti, Passione per la verità e responsabilità del sapere, Casale Monferrato, Piemme, 1999, p. 188.

[6] E. Fiorani, La comunicazione a rete globale, Lupetti-Editori di Comunicazione, Milano 1998, p. 106.

[7] Cf J. maritain, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 199510.

  

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ZENIT Staff

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