“La formazione religiosa si deve adattare alle esigenze dei laici”

Intervista al Segretario della Congregazione per l’educazione cattolica

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di Stéphane Lemessin

CITTÀ DEL VATICANO, martedì, 21 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Lo scorso 25 settembre il Prefetto della Sacra Congregazione per l’educazione cattolica della Santa Sede, il Cardinale Zenon Grocholewsky, ha presentato in conferenza stampa un’istruzione destinata a regolamentare gli Istituti superiori cattolici di scienze religiose nel mondo.

Si tratta di unificare i criteri a livello mondiale, per ciò che concerne i programmi e l’organizzazione di questi istituti, sorti con il Concilio Vaticano II per rispondere al crescente interesse dei cattolici, in particolare laici e religiosi, per lo studio della teologia e delle altre scienze sacre.

Monsignor Jean-Louis Bruguès, Arcivescovo Segretario della Congregazione per l’educazione cattolica ha concesso a ZENIT questa intervista in cui spiega il senso di questa riforma e illustra le modifiche che la Congregazione ha voluto per permettere ad un numero maggiore di laici di poter accedere ad una formazione di qualità.

Che rapporto c’è oggi tra gli Istituti di scienze religiose e le Facoltà di teologia?

Monsignor Bruguès: Dobbiamo comprendere bene la situazione attuale. Nella Chiesa esiste un movimento che tende a dare sempre maggiori responsabilità ai laici, cosa che dobbiamo vedere come espressione di un senso di fiducia. A volte si tratta di attività tradizionalmente esterne alla Chiesa, come quella degli investimenti nel mondo economico, nel mondo culturale… Ma, e in ciò consiste la novità, si chiede anche un maggiore servizio ai laici all’interno della Chiesa stessa.

Chi parla di servizio e di responsabilità, parla necessariamente di formazione. È necessario che questi laici abbiano le capacità per rispondere alle aspettative che ricadono su di loro in queste diverse attività.

Esistono diverse tipologie di formazione. Le diocesi hanno sempre svolto una qualche specifica formazione per i laici, ma questo non portava all’ottenimento di titoli di studio. Era una misura per metterli a livello.

I laici solitamente si iscrivevano nella facoltà di teologia, in quanto erano le uniche istituzioni che prevedevano il rilascio di un diploma riconosciuto dalla Chiesa e che poteva loro assicurare una mobilità geografica, poiché con il diploma potevano andare fuori.

Ci siamo resi conto, allora, che non si poteva chiedere ai laici di adattarsi a una formazione concepita per il clero.

I laici nelle facoltà ci sono sempre stati, ma il numero era semplicemente più limitato. Quando il numero dei laici ha iniziato ad essere più importante abbiamo creato, in seno alle facoltà, diversi cicli. Si trattava, in altri termini, di trovare una formazione che si adattasse meglio alla nuova realtà.

E quali sono state le modalità di questo adattamento della formazione?

Monsignor Bruguès: Per esempio, un laico non si può assentare dal lavoro professionale per tre o quattro anni. È stato necessario quindi concepire una formazione che fosse compatibile con le sue attività lavorative. È stato necessario anche adattare la formazione alla vita familiare, poiché la maggior parte dei laici, non tutti certamente, ma la maggior parte, sono sposati ed hanno figli.

In questo senso, non era possibile né chiedere ai seminaristi di frequentare gli studi serali, per via dei loro vincoli di seminario, né allo stesso tempo era possibile chiedere ai laici di impegnare il mattino per gli studi. Allora abbiamo visto che era necessario svolgere due tipi diversi di formazione, cosa che si è ulteriormente confermata considerando l’inopportunità di impartire ai laici corsi chiaramente orientati alla formazione clericale. Penso all’ambito sacramentale, alla celebrazione dei sacramenti.

D’altra parte avevamo bisogno di rafforzare la formazione dei laici in determinati campi. Mi riferisco per esempio al campo mio, la teologia morale economica, la morale economica e la politica… Era necessario sviluppare maggiormente questi ambiti. Esistono quindi considerazioni di carattere metodologico e anche di contenuto.

Quindi i laici non devono pensare di avere a disposizione una formazione ribassata. È una formazione che mira all’eccellenza universitaria, perché un istituto non può esistere se non sotto la responsabilità di una facoltà di teologia; non può essere a sé stante.

E perché, piuttosto che creare nuovi istituti, non si trasformano e conservano i cicli di studio che esistevano nelle facoltà?

Monsignor Bruguès: Quando si tratta di laici appartenenti alla diocesi o al luogo dove è ubicata la facoltà, non ci sono problemi. Ma non dimentichiamo che abbiamo laici che vengono dalle diocesi vicine e che per loro diventa più complicato.

Abbiamo quindi detto che una facoltà di teologia avrebbe potuto avere diversi istituti ad essa legati. Vi sono Paesi come l’Italia o la Spagna dove vi è stata una moltiplicazione di questi istituti: in Italia ne esistono 74 e in Spagna circa 30. D’altra parte, in Francia gli istituti non hanno avuto altrettanta diffusione, anche se di recente abbiamo ricevuto richieste per la loro creazione. La soluzione è condivisibile se si pensa che un decano di una facoltà di teologia, piuttosto che complicarsi la vita con diversi cicli all’interno della facoltà, può risolvere il problema con un istituto dipendente dalla facoltà ma specifico per i laici.

Di quanti studenti stiamo parlando?

Monsignor Bruguès: Questo dipende dal Paese e dal luogo. Parlando di cifre, il nostro documento precisa che normalmente un istituto non può avere meno di 75 iscritti. Evidentemente abbiamo visto istituti creati con meno persone, ma questo non è significativo. Un minimo di 75 iscritti, ma anche un minimo obbligatorio di quattro professori stabili, totalmente dedicati all’istituto se in esso si svolge solo il primo ciclo, o di cinque professori se c’è anche il secondo ciclo.

È una strutturazione seria, non è una formazione al ribasso. D’altra parte i diplomi sono consegnati a nome della facoltà, dagli stessi professori della facoltà, che hanno impartito un insegnamento di eguale qualità, semplicemente riadattato. Per rispondere alla sua domanda bisognerebbe considerare la situazione di ciascuna delle facoltà di teologia. In Francia immagino che l’Istituto cattolico di Parigi e forse anche la Facoltà di Notre Dame hanno la possibilità di creare istituti derivati, che potrebbero stare anche fuori Parigi.

In questi istituti, la finalità formativa è forse più pastorale?

Monsignor Bruguès: Non necessariamente. Si tratta di una formazione adattata allo stile di vita e alle attività dei laici. Le attività non sono necessariamente pastorali. I laici hanno sempre avuto la missione di dare testimonianza del Vangelo lì dove si trovano, nella famiglia, nella vita lavorativa, ma oggi questa missione deve essere rinnovata in una nuova evangelizzazione. Allora, come aiutarli in questa nuova missione? Esiste l’aspetto pastorale, ma non ci si limita a questo. Dobbiamo pensare alla nuova evangelizzazione che è affidata ai laici. Non solo ai laici, ma principalmente a loro. Allora, come formarli?

Questi istituti sarebbero specializzati in un campo specifico?

Monsignor Bruguès: È possibile. Vi sarebbe necessariamente una formazione teologica, al contempo organica e sintetica, con l’ambizione di assicurare un buon livello teologico, oltre al quale è possibile immaginare forme di specializzazione su specifici ambiti. Ho ricordato le attività che sarebbero affidate ai laici, come la vita economica, la vita professionale, il campo politico, ma anche le comunicazioni e un ambito che mi sembra molto importante, da cui ci si aspetta molto: la cultura.

Si potrebbe dire quindi che con questo documento inizi una riforma dei testi normativi relativi alla formazione universitaria, come Sapientia Christiana del 1979?

Monsignor Bruguès: Questa data indica che c
i troviamo in una generazione successiva. In 25 anni, tra una generazione e l’altra, avvengono molte cose. La nostra Congregazione è convinta che occorre rivedere i testi non partendo da zero, facendo un passo alla volta, sia per le facoltà, sia per gli istituti. Il documento che è stato presentato fa parte di questo aggiornamento perché si è percepito che questi istituti, che veramente si sono moltiplicati, risultano carenti di criteri comuni.

Creando questi istituti per farvi confluire i laici, non si rischia di svuotare le facoltà di teologia, lì dove potrebbero essere più deboli?

Monsignor Bruguès: È proprio per questo che occorre esaminare ogni situazione! Se in una facoltà di teologia non vi sono ecclesiastici in formazione, non saranno eretti istituti, proprio perché i laici stanno lì. D’altra parte, quando abbiamo una facoltà dove la presenza dei sacerdoti è dominante, diventa opportuno creare un istituto a parte dedicato ai laici. Questi istituti, del resto, esistono da più di 20 anni. Non vi è nulla di nuovo in questo.

Nel separare la formazione del clero da quella dei laici, non si corre forse il rischio di rendere la prima più teorica, occupando la settimana a tempo pieno, rispetto alla seconda più leggera?

Monsignor Bruguès: Non credo. Certo, tutto dipende dal modo in cui ciò verrà realizzato. Ma la facoltà di teologia si rende istituzionalmente garante della qualità dell’insegnamento che viene impartito. Il fatto che i professori siano comuni è anch’esso prova di questa serietà. E non penso che una facoltà di teologia si accontenti solo di una formazione teorica. Se vi sono ecclesiastici, bisogna formarli pastoralmente. Fa parte della loro missione.

Dunque la preoccupazione pastorale e la visione del ministero affidato ai laici o agli ecclesiastici rendono conformi la loro formazione?

Monsignor Bruguès: Sì, certamente.

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ZENIT Staff

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