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Santità,
Padri Sinodali,
È allo stesso tempo nell’umiltà e ispirazione che sono stato amabilmente invitato da Vostra Santità a rivolgermi alla XII Assemblea Generale di questo promettente Sinodo dei Vescovi, uno storico incontro di Vescovi della Chiesa Cattolica Romana provenienti da ogni parte del mondo, radunati in un unico luogo per meditare sulla “Parola di Dio” e discutere dell’esperienza e dell’espressione di questa Parola “nella vita e nella missione della Chiesa”.
Questo amabile invito di Vostra Santità alla nostra modesta persona è un gesto pieno di significato e di importanza, osiamo dire, un evento storico in sé. Infatti, è la prima volta nella storia che ad un Patriarca Ecumenico è offerta l’opportunità di rivolgersi ad un Sinodo dei Vescovi della Chiesa Cattolica Romana e quindi di partecipare alla vita di questa Chiesa sorella ad un così alto livello. Consideriamo questo come una manifestazione dell’opera dello Spirito Santo che guida le nostre Chiese a più strette e profonde relazioni reciproche, un passo importante verso il ripristino della nostra piena comunione.
È ben noto che la Chiesa Ortodossa attribuisce al sistema sinodale un’importanza ecclesiologica fondamentale. Assieme al primato, la sinodalità costituisce la struttura portante del governo e dell’organizzazione della Chiesa. Come ha affermato la nostra Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico fra le nostre Chiese nel documento di Ravenna, questa interdipendenza fra sinodalità e primato attraversa tutti i livelli della vita della Chiesa: locale, regionale e universale. Pertanto, avendo oggi il privilegio di rivolgermi al Vostro Sinodo, aumentano le nostre speranze che giunga il giorno in cui le nostre due Chiese convergeranno pienamente sul ruolo del primato e della sinodalità nella vita della Chiesa, ai quali la nostra comune Commissione Teologica sta dedicando attualmente i suoi studi.
Il tema al quale questo Sinodo dei Vescovi sta dedicando i suoi lavori ha un’importanza fondamentale non solo per la Chiesa Cattolica Romana ma anche per tutti coloro che sono chiamati a testimoniare Cristo nel nostro tempo. Missione ed evangelizzazione rimangono un dovere permanente della Chiesa in ogni tempo e luogo; essi infatti fanno parte della natura della Chiesa, poiché essa è definita “apostolica” sia nel senso della sua fedeltà all’insegnamento originale degli Apostoli sia in quello della proclamazione della Parola di Dio in ogni contesto culturale, in ogni tempo. La Chiesa, dunque, ha bisogno di riscoprire la Parola di Dio in ogni generazione e farla emergere con rinnovato vigore e persuasione anche nel nostro mondo contemporaneo, che nel profondo del suo cuore ha sete del messaggio di Dio di pace, speranza e carità.
Questo dovere di evangelizzare, naturalmente, sarebbe molto intensificato e rafforzato se tutti i cristiani potessero portarlo avanti con una sola voce e come Chiesa pienamente unita. Nella sua preghiera al Padre poco prima della Sua passione, nostro Signore ha evidenziato chiaramente che l’unità della Chiesa è indissolubilmente legata alla sua missione: “perché il mondo creda” (Gv 17, 21). È pertanto molto appropriato che questo Sinodo abbia aperto le sue porte ai delegati fraterni ecumenici di modo che possiamo diventare tutti consapevoli del nostro comune compito di evangelizzazione come pure delle difficoltà e dei problemi legati alla sua realizzazione nel mondo attuale.
Questo Sinodo ha indubbiamente esaminato il tema della Parola di Dio in profondità e in tutti i suoi aspetti, sia teologici, sia pratici e pastorali. In questo nostro umile indirizzo d’omaggio, ci limiteremo a condividere con voi alcune riflessioni sul tema del vostro incontro, attingendo al modo in cui la tradizione ortodossa lo ha affrontato attraverso i secoli e, in particolare, all’insegnamento patristico greco. Più concretamente, vorremmo concentrarci su tre aspetti del tema, ossia: ascoltare e proclamare la Parola di Dio attraverso le Sacre Scritture, vedere la Parola di Dio nella natura e soprattutto nella bellezza delle icone; e infine toccare e condividere la Parola di Dio nella comunione dei santi e nella vita sacramentale della Chiesa. Riteniamo che siano tutti fondamentali nella vita e nella missione della Chiesa.
Nel fare questo, cerchiamo di attingere ad una ricca tradizione patristica, che risale all’inizio del terzo secolo e presenta una dottrina dei cinque sensi spirituali. Per cui ascoltare la Parola di Dio, contemplare la Parola di Dio e toccare la Parola di Dio sono tutti modi spirituali di percepire l’unico mistero divino. Basandosi su Proverbi 2, 5, a proposito della “facoltà divina di percezione” (αἴσθησις), Origene di Alessandria esclama: “Questo senso si rivela come vista per la contemplazione di forme immateriali, ascolto per il discernimento delle voci, gusto per assaporare il pane vivo, odorato per la dolce fragranza spirituale, e tatto per toccare la Parola di Dio, che viene compresa da ogni facoltà dell’anima”.
I sensi spirituali sono variamente descritti come “cinque sensi dell’anima”, come facoltà “divine” o “facoltà interiori”, e persino come “facoltà del cuore” o della “mente”. Questa dottrina ha ispirato la teologia dei Cappadoci (soprattutto Basilio Magno e Gregorio di Nissa) come ha fatto con la teologia dei Padri del Deserto (soprattutto Evagrio Pontico e Macario il Grande).
1. Ascoltare e proclamare la Parola attraverso la Scrittura
Ad ogni celebrazione della Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, il celebrante che presiede l’Eucaristia prega: “perché siamo fatti degni di ascoltare il Santo Vangelo”. Perciò “ascoltare, contemplare e toccare la Parola di vita” (cf 1 Gv 1, 1) non è anzitutto e prima di tutto una nostra facoltà o un nostro diritto di nascita come esseri umani; è il nostro privilegio e dono come figli del Dio vivente. La Chiesa cristiana è, soprattutto, una Chiesa scritturale. Sebbene i metodi di interpretazione possano variare da un Padre della Chiesa all’altro, da una “scuola” all’altra e tra Oriente e Occidente, tuttavia, la Scrittura è stata sempre recepita come una realtà viva e non come un libro morto.
Nel contesto di una fede viva, poi, la Scrittura è la testimonianza vivente di una storia vissuta sul rapporto fra un Dio vivente con il suo popolo vivente. La Parola, “che ha parlato per mezzo dei profeti” (Credo Niceno-Costantinopolitano), ha parlato per essere ascoltata e avere effetto. Essa è prima di tutto una comunicazione orale e diretta, pensata per destinatari umani. Il testo scritturale è, pertanto, derivato e secondario; il testo scritturale è al servizio della parola pronunciata. Non è stata trasmessa meccanicamente, ma comunicata di generazione in generazione come una parola viva. Attraverso il Profeta Isaia, il Signore promette: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo irrigando la terra… così la mia parola andrà di bocca in bocca compiendo ciò per cui l’ho mandata” (cf Is 55, 10-11).
Inoltre, come spiega San Giovanni Crisostomo, la Parola divina dimostra profonda considerazione (συγκατάβασις) per la diversità delle persone e i contesti culturali di coloro che ascoltano e recepiscono. L’adattamento della Parola divina alla specifica disposizione personale e al particolare contesto culturale definisce la dimensione missionaria della Chiesa che è chiamata a trasformare il mondo attraverso la Parola. Nel silenzio come nelle affermazioni, nella preghiera come nell’azione, la Parola divina si rivolge al mondo intero “ammaestrando tutte le nazioni” (Mt 28, 19) senza nessun privilegio o pregiudizio di razza, cultura, sesso e classe. Quando portiamo avanti il mandato divino, ci viene assicurato: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Siamo chiamati a proclamare la Parola divina in tutte le lingue, “mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno”
(1 Cor 9, 22).
Inoltre, come discepoli della Parola di Dio, è oggi più che mai necessario che forniamo una prospettiva unica – al di là di quella sociale, politica ed economica – sulla necessità di sradicare la povertà, di offrire un equilibrio in un mondo globale, di combattere fondamentalismo e razzismo e di sviluppare una tolleranza religiosa in un mondo di conflitti. Nel rispondere alle necessità dei poveri, degli indifesi e degli emarginati del mondo, la Chiesa può dimostrare di essere un segno distintivo dello spazio e della natura della comunità globale. Mentre il linguaggio teologico della religione e della spiritualità è diverso dal vocabolario tecnico dell’economia e della politica, le barriere che apparentemente sembrano dividere le sollecitudini religiose (come peccato, salvezza e spiritualità) dagli interessi pragmatici (come affari, commercio e politica) non sono impenetrabili e si sgretolano davanti alle molteplici sfide della giustizia sociale e della globalizzazione.
Sia che abbiamo a che fare con l’ambiente o con la pace, con la povertà o con la fame, con l’educazione o con l’assistenza sanitaria, vi è oggi un accresciuto senso di comune sollecitudine e comune responsabilità, che è sentito con particolare intensità dalle persone di fede come anche da coloro la cui mentalità è prettamente secolare. Il nostro impegno riguardo a questi aspetti, naturalmente non mina in alcun modo né abolisce le differenze fra le diverse discipline o i disaccordi con quanti hanno una visione del mondo diversa. I crescenti segnali di un comune impegno per il benessere dell’umanità e la vita del mondo sono incoraggianti. È un incontro di individui e istituzioni che promette bene per il nostro mondo. Ed è un coinvolgimento che sottolinea la vocazione suprema e la missione dei discepoli e di quanti aderiscono alla Parola di Dio di superare le differenze politiche o religiose al fine di trasformare tutto il mondo visibile per la gloria del Dio invisibile.
2. Vedere la Parola di Dio – La bellezza delle icone e della natura
In nessun altro luogo l’invisibile è reso più visibile che nella bellezza dell’iconografia e nel miracolo della creazione. Per usare le parole del difensore delle immagini sacre san Giovanni Damasceno: “Come creatore del cielo e della terra, è stato Dio stesso, la Parola, il primo a disegnare e a dipingere icone”. Ogni colpo di pennello di un iconografo – come ogni parola di una definizione teologica, ogni nota musicale cantata nella salmodia e ogni pietra intagliata di una piccola cappella o di una splendida cattedrale – articola la Parola divina nella creazione, che loda Dio in ogni essere vivente e in ogni cosa vivente (cf Sal 150, 6).
Nel confermare le immagini sacre, il Settimo Concilio Ecumenico di Nicea non si è preoccupato solo dell’arte sacra; si è trattato della continuazione e della conferma di definizioni precedenti sulla pienezza dell’umanità della Parola di Dio. Le icone sono un richiamo visibile alla nostra vocazione celeste; sono inviti ad andare oltre le nostre preoccupazioni futili e alle misere riduzioni del mondo. Ci incoraggiano a cercare lo straordinario nell’ordinario, a essere pieni della stessa meraviglia che ha caratterizzato la meraviglia divina nella Genesi: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1, 30). La parola greca (nei settanta) per “bontà” è κάλλος, che implica – sia etimologicamente sia simbolicamente – un senso di “chiamata”. Le icone sottolineano la missione fondamentale della Chiesa di riconoscere che tutte le persone e tutte le cose sono create e chiamate a essere “buone” e “belle”.
In effetti, le icone ci ricordano un altro modo di vedere le cose, un altro modo di sperimentare le realtà, un altro modo di risolvere i conflitti. Ci viene chiesto di assumere quello che l’innologia della Domenica di Pasqua definisce “un altro modo di vivere”. Infatti, ci siamo comportati con arroganza e indifferenza verso il creato. Abbiamo rifiutato di contemplare la Parola di Dio negli oceani del nostro pianeta, negli alberi dei nostri continenti e negli animali della nostra terra. Abbiamo negato la nostra stessa natura, che ci chiama ad essere umili per ascoltare la Parola di Dio se vogliamo diventare “partecipi della natura divina” (2 Pt 1, 4). Come potremmo ignorare le implicazioni più ampie della Parola divina che si fa carne? Perché non riusciamo a percepire la natura creata come il Corpo esteso di Cristo?
I teologi cristiani orientali hanno sempre sottolineato le proporzioni cosmiche dell’Incarnazione divina. La Parola incarnata è intrinseca alla creazione, che è venuta in essere attraverso un pronunciamento divino. San Massimo il Confessore insiste sulla presenza della Parola di Dio in tutte le cose (cf Col 3, 11); il Logos divino è al centro del mondo, rivelando misteriosamente il suo principio originale e il suo fine ultimo (cf 1 Pt 1, 20). Questo mistero viene descritto da sant’Attanasio di Alessandria: “Come Logos – così scrive – non è compreso da nulla e tuttavia comprende ogni cosa; Egli è in tutte le cose e tuttavia al di fuori di tutte le cose… il primogenito del mondo intero sotto ogni aspetto”.
Il mondo intero è un prologo al Vangelo di Giovanni. E quando la Chiesa non riesce a riconoscere le dimensioni più ampie, cosmiche, della Parola di Dio, limitando le sue preoccupazioni alle questioni meramente spirituali, allora trascura la sua missione di implorare Dio per la trasformazione – sempre e ovunque, “in ogni posto del Suo dominio” – di tutto l’universo inquinato. Non c’è da stupirsi, quindi, che nella Domenica di Pasqua, quando la celebrazione pasquale raggiunge il culmine, i cristiani ortodossi cantino: “Ora ogni cosa è piena della luce divina: cielo e terra, e tutte le cose sotto la terra. Gioisca quindi tutto il creato”.
Ogni autentica “ecologia profonda”, pertanto, è indissolubilmente legata alla teologia profonda:
“Perfino una pietra – scrive san Basilio Magno – porta il segno della Parola di Dio. Questo vale per una formica, un’ape e una zanzara, le più piccole tra le creature. Poiché lui ha disteso i vasti cieli e ha disposto i mari immensi; e Lui ha creato la minuscola cavità all’interno del pungiglione dell’ape”.
Ricordare la nostra piccolezza nel vasto e meraviglioso creato di Dio non fa altro che sottolineare il nostro ruolo centrale nel disegno di Dio per la salvezza di tutto il mondo.
3. Toccare e condividere la Parola di Dio – La comunione dei santi e i sacramenti della vita
La Parola di Dio “sgorga da Lui in estasi” (Dionigi l’Aeropagita), cercando con forza di “abitare in noi” (Gv 1, 14), affinché il mondo possa avere la vita in abbondanza (Gv 10, 10). La misericordia compassionevole di Dio viene effusa e condivisa “così da moltiplicare gli oggetti della Sua benevolenza” (Gregorio il Teologo). Dio assume in sé tutto ciò che ci appartiene, “essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (Eb 4, 15), al fine di offrirci tutto ciò che è di Dio e renderci divini per grazia. “Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi”, scrive il grande apostolo Paolo (2 Cor 8, 9), al quale è così opportunamente dedicato quest’anno. È questa la Parola di Dio; gratitudine e gloria gli sono dovuti.
La Parola di Dio trova la sua piena incarnazione nel creato, soprattutto nel Sacramento della Santa Eucaristia. È lì che la Parola si fa carne e ci permette non solo di vederlo, ma anche di toccarlo con le nostre mani, come dichiara san Giovanni (1 Gv 1, 1) e di renderlo parte del nostro corpo e sangue (σύσσωμοι καί σύναιμοι), secondo le parole di san Giovanni Crisostomo.
Nella Santa Eucaristia la Parola ascoltata viene allo stesso tempo vista e condivisa (κοινωνία). Non è un caso che nei primi documenti eucaristici, come il Libro della Rivelazione e la Didaché, l’Eucaristia veniva associata alla profezia e i ves
covi che presiedevano venivano considerati successori dei profeti (p.es. Martyrion Polycarpi). L’Eucaristia già da san Paolo (1 Cor 11) veniva descritta come “proclamazione” della morte e della seconda venuta di Cristo. Poiché il fine della Scrittura fondamentalmente è la proclamazione del Regno e l’annuncio delle realtà escatologiche, l’Eucaristia è un’anticipazione del Regno, e in tal senso è la proclamazione della Parola per eccellenza. Nell’Eucaristia, la Parola e il Sacramento diventano un’unica realtà. La parola cessa di essere “parole” e diventa una “Persona“, incarnando in Sé tutti gli esseri umani e tutto il creato.
Nella vita della Chiesa, l’insondabile svuotarsi di sé (κένωσις) e la generosa condivisione (κοινωνία) del Logos divino sono rispecchiati nella vita dei santi come esperienza tangibile ed espressione umana della Parola di Dio nella nostra comunità. In questo modo, la Parola di Dio diventa il Corpo di Cristo, crocifisso e glorificato allo stesso tempo. Di conseguenza, il santo ha un rapporto organico con il cielo e la terra, con Dio e tutto il creato. Nella lotta ascetica, il santo riconcilia la Parola e il mondo. Attraverso il pentimento e la purificazione, il santo è pieno – come insiste Abba Isacco il Siro – di compassione per tutte le creature, che è l’umiltà e la perfezione ultima.
È per questo che il santo ama con un’intensità e una grandezza che sono incondizionati e irresistibili. Nei santi conosciamo la Parola stessa di Dio poiché – come afferma san Gregorio Palama – “Dio e i Suoi santi condividono la stessa gloria e lo stesso splendore”. Nella presenza discreta di un santo scopriamo come la teologia e l’azione coincidono. Nell’amore compassionevole del santo sperimentiamo Dio come “nostro padre” e la misericordia di Dio come “saldamente persistente” (Ps. 135, LXX). Il santo è consumato dal fuoco dell’amore di Dio. È per questo che il santo impartisce grazia e non può tollerare la minima manipolazione né lo sfruttamento nella società o nella natura. Il santo semplicemente fa ciò che è “buono e giusto” (Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo), nobilitando sempre l’umanità e onorando il creato. “Le sue parole hanno la forza delle azioni e il suo silenzio la potenza del discorso” (sant’Ignazio di Antiochia).
E nella comunione dei santi, ognuno di noi è chiamato a “diventare come fuoco” (Massime dei Padri del deserto), per toccare il mondo con la forza mistica della Parola di Dio, di modo che – come Corpo esteso di Cristo – anche il mondo possa dire: “qualcuno mi ha toccato!” (cf Mt 9, 20). Il male viene sradicato solo dalla santità, non dalla severità. E la santità introduce nella società un seme che guarisce e trasforma. Permeati della vita dei sacramenti e della purezza della preghiera, possiamo penetrare il mistero più intimo della Parola di Dio. È come per le placche tettoniche della crosta terrestre: è sufficiente che gli strati più profondi si spostino di qualche millimetro per frantumare la superficie del mondo. Tuttavia, affinché questa rivoluzione spirituale avvenga, dobbiamo sperimentare una metanoia radicale – una conversione degli atteggiamenti, delle abitudini e delle pratiche – del modo in cui abbiamo usato male o abbiamo abusato della Parola di Dio, dei doni di Dio e del creato di Dio.
Questa conversione naturalmente non è possibile senza la grazia divina; non si compie semplicemente attraverso un maggiore sforzo o attraverso la forza di volontà umana. “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile” (Mt 19, 26). Il cambiamento spirituale avviene quando il corpo e l’anima vengono innestati nella Parola viva di Dio, quando le nostre cellule contengono il flusso sanguigno donatore di vita dei sacramenti, quando siamo aperti alla condivisione di tutte le cose con tutte le persone. Come ci ricorda san Giovanni Crisostomo, il sacramento del “nostro prossimo” non può essere isolato dal sacramento “dell’altare”. Purtroppo abbiamo ignorato la vocazione e l’obbligo di condividere. L’ingiustizia sociale e la disuguaglianza, la povertà globale e la guerra, l’inquinamento e il degrado ambientale sono il risultato della nostra incapacità o indisponibilità a condividere. Se pretendiamo di conservare il sacramento dell’altare, non possiamo evitare o dimenticare il sacramento del prossimo. È questa una condizione fondamentale per compiere la Parola di Dio nel mondo, nella vita e nella missione della Chiesa.
Cari fratelli in Cristo,
Abbiamo esaminato l’insegnamento patristico dei sensi spirituali, discernendo la forza dell’ascoltare e proclamare la Parola di Dio nella Scrittura, del vedere la Parola nelle icone e nella natura, nonché di toccare e condividere la Parola di Dio nei santi e nei sacramenti. Tuttavia, al fine di rimanere fedeli alla vita e alla missione della Chiesa, noi stessi dobbiamo essere cambiati da questa Parola. La Chiesa deve assomigliare alla madre, che viene sostenuta dal cibo che assume e che con esso nutre. Qualsiasi cosa che non alimenti e nutra tutti non può sostenere nemmeno noi. Quando il mondo non condivide la gioia della Risurrezione di Cristo, ciò è un’atto d’accusa nei confronti della nostra onestà e del nostro impegno verso la Parola viva di Dio. Prima della celebrazione di ogni Divina Liturgia, i cristiani ortodossi pregano affinché la Parola venga “spezzata e consumata, distribuita e condivisa” nella comunione. E “sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli” e le sorelle (1 Gv 3, 14).
La sfida che ci si presenta è il discernimento della Parola di Dio di fronte al male, la trasfigurazione di ogni minimo dettaglio e granello di questo mondo alla luce della Risurrezione. La vittoria è già presente nel profondo della Chiesa ogni volta che sperimentiamo la grazia della riconciliazione e della comunione. Mentre lottiamo – dentro noi stessi e nel nostro mondo – per riconoscere la potenza della Croce, incominciamo ad apprezzare come ogni atto di giustizia, ogni scintilla di bellezza, ogni parola di verità può gradualmente erodere la crosta del male. Tuttavia, al di là dei nostri deboli sforzi, possiamo avere la certezza dello Spirito che “viene in aiuto alla nostra debolezza” (Rm 8, 26) ed è al nostro fianco come avvocato e “Consolatore” (Gv 14, 16), che pervade tutte le cose e “ci trasforma – come dice san Simeone il Nuovo Teologo – in ogni cosa che la Parola di Dio dice del regno celeste: perla, granello di senape, lievito, acqua, fuoco, pane, vita e stanza nuziale mistica”. È questa la potenza e la grazia dello Spirito Santo, che invochiamo mentre concludiamo il nostro discorso, esprimendo a Vostra Santità la nostra gratitudine e a ciascuno di voi le nostre benedizioni:
Re del cielo, Consolatore, Spirito di Verità
che sei presente ovunque e riempi ogni cosa;
scrigno di bontà e donatore di vita:
Vieni e dimora in noi.
Purificaci da ogni impurità
e salva le nostre anime.
Perché sei buono e ami gli uomini.
Amen!
[Traduzione della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi]