ROMA, giovedì, 16 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Organizzato dai Circoli Culturali Giovanni Paolo II, si è svolto a Milano il 13 ottobre un incontro sul tema “Pio XII e il silenzio sulla Shoah”.
In una grande sala dell’Istituto S. Cuore, presentati da padre Luca Maria Gallizia, LC, Andrea Tornielli e Antonio Gaspari hanno raccontato le tante storie di carità portate avanti direttamente dal Pontefice e dalla Chiesa cattolica tutta per salvare i perseguitati dal Nazismo e alleviare i dolori e le sofferenze delle vittime del secondo conflitto mondiale.
Andrea Tornielli, giornalista e scrittore, vaticanista de “Il Giornale”, autore di diversi libri su Papa Pacelli l’ultimo dei quali dal titolo “Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro” (Mondatori) citato da Benedetto XVI durante l’omelia per il cinquantesimo anniversario della morte di Pio XII, ha illustrato la figura di colui che venne definito “Defensor Civitatis” e “Pastor Angelicus”.
Parlando del periodo storico in cui è vissuto Pio XII, Tornielli ha affermato: “Ha conosciuto da vicino i grandi mali del ventesimo secolo, è stato ostaggio dei rivoluzionari bolscevichi, ha visto nascere il nazismo”.
“È stato il fedele collaboratore di Pio XI, condividendone l’avversione per le ideologie totalitarie ma anche il tentativo di trovare un modus vivendi con gli Stati più ostili che garantisse un minimo di libertà per i cristiani”, ha continuato.
“È diventato Papa alla vigilia di una guerra che avrebbe contato oltre cinquanta milioni di morti, culminata nell’abisso della Shoah, il genocidio degli ebrei perpetrato dai nazisti – ha spiegato –. È stato esaltato e amato mentre era in vita, è stato proclamato defensor civitatis, protagonista di una grande opera di carità in favore di tutti i perseguitati”.
“Ha regnato negli anni difficili del dopoguerra indicando la via per ricostruire attraverso la democrazia tutto ciò che era stato spazzato via dal conflitto – ha sottolineato – . È stato protagonista nelle cruciali vicende politiche italiane. Durante la Guerra Fredda ha attualizzato proprio nei confronti del comunismo la tradizionale distinzione tra errore ed errante”.
“Ha proclamato un nuovo dogma mariano, ha scritto documenti dottrinali importantissimi, ha contribuito agli sviluppi consacrati dal Concilio Vaticano II, ha aperto al metodo storico-critico per lo studio della Bibbia, ha sostenuto il movimento liturgico, ha preso in considerazione l’ipotesi evoluzionista, ha internazionalizzato il collegio cardinalizio e ha canonizzato, in percentuale, il maggior numero di donne, più di tutti i suoi predecessori e successori”.
“Eppure, nonostante un pontificato così straordinario – ha sottolineato Tornielli – Eugenio Pacelli, oggi è conosciuto soltanto come ‘il Papa dei silenzi’. Lo accusano ingiustamente di non aver urlato abbastanza contro lo sterminio degli ebrei perpetrato dai nazisti”.
Secondo il vaticanista de “Il Giornale” ciò che impedisce a molti di riconoscere la verità dei fatti è “un atteggiamento pregiudiziale, ideologico, ingiusto e in contrasto con la realtà storica”.
Antonio Gaspari, autore di più volumi come “Los Judios, Pio XII y la legenda Negra” (Planeta 1998), “Nascosti in convento” (Ancora 1999), “Gli ebrei salvati da Pio XII” (Logos Press 2001) e di un filmato “L’Albero dei Giusti” per il programma storico di Rai 3, ha raccontato le tante storie di ebrei salvati dalla Chiesa cattolica.
Gaspari ha spiegato come Pio XII e la Chiesa cattolica organizzarono una vera armata della carità “Inter Arma Caritas”.
Già durante la guerra del 1914-18 i Pontefici Benedetto XV e Pio XI organizzarono in Segreteria di Stato una rete di assistenza per tutte le vittime dirette e indirette della guerra. E il giovane monsignor Pacelli fu coinvolto direttamente in questa rete di assistenza.
Nel 1939, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, da Pontefice, Pio XII organizzò subito nella Segreteria di Stato, sezione affari ordinari, un Ufficio informazioni per tutte le vittime di guerra.
L’ufficio era presieduto da monsignor Alexander Evreinoff, di origine russa coadiuvato da don Emilio Rossi, già Vicepresidente nazionale della Gioventù dell’Azione Cattolica, sotto la supervisione del Sostituto degli Affari Ordinari della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Battista Montini (il futuro Papa Paolo VI).
All’inizio della guerra nell’ufficio lavoravano due persone, ma già dopo pochi mesi erano 16 e le domande di informazione erano più di cento al giorno.
All’inizio la “Radio Vaticana”, che lavorava strettamente con l’Ufficio informazioni, dedicava all’assistenza delle vittime di guerra una o due trasmissioni a settimana. Nel 1944 erano 63 le trasmissioni settimanali con un traffico di messaggi che arrivava a circa 27.000 al mese.
Per facilitare i messaggi si cominciò a utilizzare i numeri: tre significava “sto bene”; undici, “aspetto vostre notizie”; tredici, “il mio indirizzo è il seguente”.
Nel 1941 gli addetti diventarono 100, le richieste erano 2000 al giorno. Insieme alle richieste pubbliche, all’Ufficio informazioni arrivavano le richieste del Pontefice, informato quotidianamente dai Nunzi apostolici e da alcuni emissari.
Erano così tane le richieste che il 6 dicembre del 1941 “L’Osservatore Romano” pubblicò le norme per la compilazione dei moduli di richiesta
Nella seconda metà del 1942 per divulgare la vasta opera di assistenza umanitaria e caritatevole promossa da Papa Pacelli in favore delle vittime di guerra l’Ufficio informazioni curò la stampa della rivista periodica “Ecclesia” il cui Direttore fu Montini
La rivista riportava gli appelli del Pontefice per la pace, le preghiere per i sofferenti, le testimonianze di coloro che venivano aiutati dalla Santa Sede a ritrovare i loro cari.
Nel 1943 il lavoro era così grande che i dipendenti fissi e volontari dell’Uffico diventarono 600. Alla fine della Guerra quello che fu chiamato “Archivio della carità” contava più di 4 milioni di schede.
Per dare un’idea di quanto questo lavoro fu di aiuto per le vittime della guerra, in particolare degli ebrei, il 26 gennaio del 1940, il “Canadian Jewish Chronicle” pubblicò la testimonianza di Jacob Freedman, un sarto di Boston.
Il signor Fredman era preoccupato del destino di sua sorella e del nipote che si trovavano nella Polonia occupata dai nazisti. Scrisse al Dipartimento di Stato e alla Croce Rossa, ma entrambi non furono capaci di fornire alcuna informazione al riguardo.
Scrisse quindi al Papa Pio XII. Diversi mesi dopo l’allora Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Luigi Maglione, informò il signor Freedman che i suoi familiari erano vivi e si trovavano a Varsavia.
Sul “Canadian Jewish Chronicle” Freedman ha scritto: “Non trovo parole per esprimere ciò che provo, sono colpito dal fatto che voi vi interessiate al mio caso, con tutte le altre cose importanti di cui dovete preoccuparvi. Questa è la più buona, fantastica e bella cosa che poteva accadermi”.
“La Seconda Guerra Mondiale è stata teatro di un’immane tragedia – ha concluso Gaspari – ma la testimonianza di carità offerta dal Pontefice Pio XII e dai tanti che hanno aperto le porte delle loro case, conventi, chiese, istituti, mostra che a fronte di tanto male ci fu tanto bene e che l’amore, il coraggio e la carità di molti hanno vinto il male con il bene”.