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– S.Em.R. Card. Angelo BAGNASCO, Arcivescovo di Genova, Presidente della Conferenza Episcopale (ITALIA)
1. Desidero in primo luogo ringraziare il Signore per l’esperienza di grazia che è il Sinodo: in questa santa Assemblea si vede il volto sempre giovane del Risorto, vera speranza del mondo. La Chiesa è consapevole di avere una grande gioia che non può trattenere. Per questo al cuore del dialogo, in qualunque contesto culturale e sociale, comunitario e personale, vi è il nucleo irradiante della missione.
2. Non possiamo dimenticare che l’incontro dell’uomo con Cristo, Parola Incarnata, e con “la Parola di Dio scritta o trasmessa” ( D.V. 10), è sempre l’incontro di due libertà, quella di Dio e quella della singola persona. Anche Gesù, Messaggero e messaggio, non è stato sempre accolto!
Di fronte al secolarismo, dobbiamo interrogarci su come migliorare l’annuncio, conoscere meglio le culture e i contesti, ma senza mai dimenticare il dramma decisivo della libertà personale, e sapendo che le vie di Dio sono infinite. È sempre necessario che ognuno scommetta liberamente se stesso con la Parola che legge.
3. Senza escludere occasioni organiche, mi sembra opportuno utilizzare mezzi semplici e piccoli: questi sono più praticabili in un contesto, almeno quello occidentale, preso da ritmi convulsi che di solito non facilitano occasioni di lungo respiro e di impegnativo approfondimento. Sono emersi alcuni suggerimenti che condivido: la cura dell’omelia, la diffusione della Bibbia, sussidi semplici e agili, piccoli gruppi…
4. Per quanto riguarda la formazione ad una fede pensata e consapevole, in grado di dare ragione della propria speranza (cfr 1 Pietro), mi pare opportuno ricordare che se è necessario percorrere la via della conoscenza documentata, pregata e condivisa della Parola di Dio scritta, è altresì necessario percorrere la via della ragione. La Sacra Scrittura è attraversata non solo dalle verità soprannaturali, ma anche da quelle naturali che assume, conferma e porta a compimento. Ritorna la necessità e l’urgenza di tenere unita la Scrittura, la Tradizione e il Magistero (DV 10), perché il credente possa comprendere meglio le grandi questioni del nascere e del morire, della famiglia e della libertà, dell’amore e della legge naturale, dell’eutanasia, della fecondazione … e le sappia presentare anche ai non credenti, per i quali la Bibbia vale solo per la forza degli argomenti. Quando la Chiesa parla di questi temi non fa ingerenza, non va fuori della sua missione evangelizzatrice, ma è dentro alla sua missione. Nello stesso tempo serve le culture e le società perché possano diventare più umane. È esattamente questo lo spirito e lo scopo del “Progetto culturale” che la CEI porta avanti dal 1995 in Italia.
– S.Em.R. Card. Giovanni LAJOLO, Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano (CITTÀ DEL VATICANO)
Si pone il quesito su come si possa far giungere in maniera convincente la Parola di Dio a tre categorie di persone:
– Gli analfabeti e coloro che, pur sapendo leggere, non leggono, i quali sono facilmente inducibili a credenze e superstizioni assurde. Converrebbe studiare come poterli raggiungere di persona o con mezzi audio-visivi di facile comprensione e di vasta diffusione.
– Le persone di un certo livello culturale, talvolta anche assai alto, che si sentono urtate da pagine della Bibbia in cui apparirebbero violati, per ordine o con il consenso di Dio, diritti umani fondamentali. Per esse bisognerebbe cercare di evolvere ulteriormente il concetto di ispirazione della Sacra Scrittura.
– I credenti nell’Antico Testamento, ai quali non giova proporre la realizzazione delle profezie quale conoscibile post fidem. Ad essi bisognerebbe dunque poter mostrare il significato cristiano delle profezie realizzate nel Messia Gesù quale conoscibile ante fidem.
– S.E.R. Mons. Raymond Leo BURKE, Arcivescovo emerito di Saint Louis, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (CITTÀ DEL VATICANO)
1. In riferimento al n. 58 dell’Instrumentum Laboris, le Sacre Scritture insegnano che Dio ha scritto la Sua legge in ogni cuore umano. La legge naturale divina, inscritta nel cuore umano, può essere scoperta mediante la ragione, ma solo attraverso la Parola di Dio ispirata può essere annunciata a tutti con chiarezza (cf Rm 2, 15).
2. In un contesto di diffuso materialismo, relativismo e individualismo radicale è particolarmente urgente presentare l’insegnamento della Scrittura sulla legge morale naturale come patrimonio comune di ogni uomo.
3. Altrettanto urgente è la necessità di proclamare l’insegnamento di ispirazione divina sulla disciplina che predispone l’uomo a fare ciò che è bene e ad evitare ciò che è male. La Sacra Scrittura ci insegna che l’osservanza della legge non è il culmine dell’espressione di sé da parte dell’uomo, ma il fondamento insostituibile della più alta espressione del bene che è nell’uomo.
4. Promuovere l’insegnamento della Scrittura fra le discipline della vita degli individui e della società rappresenta una sfida in una società antinomica che ha fatto della legge uno strumento nelle mani dei potenti.
5. Quanto al rapporto fra la Parola di Dio e la legge, è importante sottolineare il servizio che il diritto canonico svolge nella Chiesa, mediante il quale la vita di Cristo può crescere e diffondersi nell’intera Chiesa. Nella sua Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, Papa Giovanni Paolo II, descrivendo il servizio del Diritto Canonico nella Chiesa, si è riferito a un “lontano patrimonio di diritto contenuto nei libri del Vecchio e Nuovo Testamento dal quale, come dalla sua prima sorgente, proviene tutta la tradizione giuridico-legislativa della Chiesa”.
6. Nella Chiesa, come nella società, la comprensione della legge è stata oscurata e, in alcuni casi, ha condotto a effetti gravemente dannosi come, per esempio, la diffusa inosservanza delle leggi liturgiche e l’insuccesso dei procedimenti attraverso i quali i fedeli rivendicano i propri diritti e i reati ecclesiastici vengono dovutamente puniti.
7. Una maggior conoscenza del servizio della legge nella Chiesa, mediante lo studio della Parola di Dio, non solo aiuta la Chiesa a comprendere e a far tesoro del dono della disciplina canonica per il compimento della missione divina, ma aiuta tutta la società in generale a comprendere e a far tesoro del servizio insostituibile della legge per il compimento del bene comune.
– S.Em.R. Card. Joseph ZEN ZE-KIUN, S.D.B., Vescovo di Hong Kong (CINA)
Vorrei soffermarmi, un momento, sulla Parola di Dio in quanto Creatrice della bellezza dell’Universo e dell’ essere umano, dotato di intelligenza e di cuore e, perciò, capace di dialogo con il suo Creatore.
Questo aspetto della Parola è presente nell’Instrumentum laboris, ma venendo da un Paese dove la Parola Rivelata in senso stretto non è ancora arrivata a molti e dove i semina Verbi, invece, abbondano nella cultura sapienziale del popolo, mi permetto di tornare sull’argomento esprimendo qualche mio desiderio.
Il primo desiderio sarebbe che questo aspetto della Parola ricevesse un adeguato sviluppo nel testo finale e che qualche raccomandazione al riguardo venisse formulata da questa Assemblea.
A Hong Kong con le 6 religioni principali conviviamo insieme per conservare la preziosa eredità di saggezza cinese.
La Chiesa cattolica in Cina ha sempre trovato una buona alleata nella dottrina confuciana.
Se noi, mossi dalla carità, riuscissimo ad instill
are nella generazione giovane le virtù cinesi tradizionali l’avremmo aiutata a fare un grande passo verso la santità.
Vediamo, purtroppo, cosa avviene quando mancano queste virtù: uno spaventoso declino dei valori sacri della vita, del matrimonio e della famiglia, una corruzione sfacciata, un tacitare la voce della coscienza, per cui, a scopo di facili guadagni, si arriva perfino a inquinare il latte a danno della salute e della vita di bambini indifesi.
Un secondo punto.
È vero che questa Parola Creatrice dell’Universo e della coscienza umana è pure sempre una Parola finalizzata alla salvezza che è soprannaturale. Ammesso questo, però, penso ancora di poter raccomandare che, sull’esempio della stessa pazienza divina, si lasci grande spazio a questa parola propedeutica di Dio e non si cada nella tentazione di bruciare le tappe. Esemplifico con du episodi.
a) Ho sentito il Professor Yang, premio Nobel, dire “Io non sono credente, ma non nascondo che in due casi mi sento toccato dal mistero. Il primo è quando mi trovo davanti ad una scoperta della scienza: è come se fossimo presi in flagrante a guardare qualcosa che non è nel nostro diritto di guardare. Il secondo è quando mi accorgo della enorme potenza distruttrice della tecnica: mi viene da pensare che stiamo usurpando forze che non appartengono a noi”.
Devo confessare che non mi veniva l’idea di chiedere al Professore quando farà il prossimo passo. Gli avrei piuttosto detto che era vicino al regno di Dio.
b) Il secondo episodio. Un giornalista coscienzioso e patriottico venne ingiustamente condannato per spionaggio. Da giovane, quando studiava in un Collegio dei protestanti, aveva rifiutato di leggere la Bibbia in pubblico perché era ateo, ma poi nel lungo silenzio della prigionia il Vangelo aveva trovato la via del suo cuore.
Alcuni giorni fa ci siamo trovati insieme ad un pranzo. Beh, spero che non vi scandalizziate se vi dico che in quell’occasione gli ho fatto i miei complimenti per… quella volta che aveva rifiutato di leggere la Bibbia.
– S.E.R. Mons. Joseph OSEI-BONSU, Vescovo di Konongo-Mampong (GHANA)
Questo intervento, a nome della Conferenza Episcopale del Ghana, esamina l’efficacia della nostra predicazione della Parola di Dio alla luce del paragrafo 23 del Documento di lavoro, che parla della Parabola del Seminatore (Mc 4, 1-20).
Si osserva che, nonostante la Chiesa in Ghana abbia fatto considerevoli progressi da quando il seme del cattolicesimo si è saldamente radicato nel 1880, esistono alcuni aspetti della vita di molti ghanesi e cattolici africani che chiamano in causa l’efficacia della nostra predicazione. Innanzitutto alcuni, di fronte alle avversità, vale a dire malattie, mancanza di figli, ecc., vacillano nella fede e passano da una chiesa all’altra alla ricerca di una soluzione ai loro problemi. Quanti si sono convertiti dalla Religione Tradizionale Africana, talvolta ritornano al loro credo originario. In secondo luogo alcuni cattolici aderiscono alle chiese pentecostali e carismatiche, affermando che tali chiese affrontano meglio i loro problemi e insegnano meglio la Bibbia. In terzo luogo, nel continente africano, gran parte della corruzione, ingiustizia e violazione dei diritti umani viene perpetrata da persone che si professano cristiane, perfino cattoliche.
Alla luce di tutto questo, si propone quanto segue. Innanzitutto l’omiletica va riesaminata e migliorata considerevolmente nell’interesse di una predicazione efficace. In secondo luogo, occorre prestare maggiore attenzione alla formazione dei laici, soprattutto dei catechisti, che sono i pilastri della Chiesa nelle zone più lontane. In terzo luogo la Parola che proclamiamo dovrebbe trasformare la vita non solo spirituale, ma anche socioeconomica e politica della nostra gente. Per questo motivo, ove possibile, occorrerebbe prevedere un apostolato speciale per i nostri politici. È mia convinzione che ciò contribuirebbe a creare dei “politici santi” che rispettano i diritti del nostro popolo. La nostra catechesi e la predicazione della Parola dovrebbero garantire che in futuro in Africa non vi siano più tiranni e dittatori.
– S.E.R. Mons. Paul CREMONA, O.P., Arcivescovo di Malta, Presidente della Conferenza Episcopale (MALTA)
Parlerò nel contesto di paesi tradizionalmente cattolici come Malta. Ogni volta che parliamo della nuova evangelizzazione troviamo una pietra d’inciampo. Molti dei nostri fedeli provano ancora nostalgia per il modello di Chiesa che esisteva 30-40 anni fa e fanno un confronto con essa. Poiché la Chiesa cattolica non ha mantenuto la posizione privilegiata che aveva allora, vivono come un trauma quando la Chiesa o i suoi Pastori vengono sfidati. Spesso hanno paura di parlare apertamente dinanzi a questa cultura molte volte ostile.
Dobbiamo uscire da questa esperienza traumatica ed iniziare una nuova evangelizzazione. Dobbiamo aiutare i fedeli a riconoscere che quel genere di Chiesa non esiste più e che non può essere riproposta in questo mondo cambiato. Non possiamo continuare a confrontare la nostra realtà con quella di allora.
Dobbiamo proporre un nuovo modello di essere Chiesa e quello che corrisponde maggiormente alla realtà attuale è la comunità cristiana primitiva, così come viene descritta nei capitoli 2 e 4 degli Atti degli Apostoli ed emerge negli altri scritti del Nuovo Testamento. Dobbiamo confrontare la Chiesa attuale con quella comunità e conformarla ad essa.
– S.E.R. Mons. Venant BACINONI, Vescovo di Bururi (BURUNDI)
La costituzione conciliare Dei Verbum ha suscitato una grande apertura alla Parola di Dio e il risultato più significativo, almeno nel mio paese (il Burundi), è stata una catechesi più biblica. Tuttavia, per un paese a maggioranza cattolica (65%), con una stessa lingua, dopo più di un secolo di evangelizzazione, è paradossale non avere ancora tutta la Bibbia in lingua nazionale. È diffuso soltanto il Nuovo Testamento, mentre per l’Antico Testamento possediamo unicamente il lezionario domenicale e feriale. Questo ritardo si spiega, forse, con la tradizionale diffidenza nei confronti dell’Antico Testamento, che presenta un Dio irascibile, un’umanità incostante, infedele e peccatrice, con frequenti scene di violenza, di vendetta o di falsità? Inoltre, uscendo da un lungo decennio di instabilità e di violenza fratricida (causato da una spietata lotta per il potere), le nostre popolazioni sono martoriate e attanagliate da una grande povertà economica, accentuata da una fame cronica dovuta ai rischi climatici, all’erosione incontrollata e a un’agricoltura dai metodi primitivi; devono affrontare difficoltà finanziarie per l’istruzione scolastica dei bambini e per l’accesso alle cure mediche, devono cioè affrontare una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Una tale situazione non permette di confrontarsi con la Parola di Dio in modo sereno e proficuo. Molti non credono più alla capacità, della Parola di Dio, di cambiare la loro vita; per questo, alcuni si rivolgono alle sette, con il rischio di essere presto delusi. Nella formazione dei futuri pastori, la Bibbia non dovrebbe essere considerata una delle tante lezioni, bensì Parola di Dio viva, rivolta a ogni persona per invitarla al dialogo e all’alleanza; la lectio divina, contatto personale con la Parola, dovrebbe essere praticata maggiormente. Come priorità, occorre compiere un grande sforzo per portare a termine la traduzione della Bibbia, per metterla alla portata di tutti. È diritto del popolo cristiano disporre di una Bibbia ed è dovere dei pastori rendere possibile l’accesso al nutrimento della Parola di Dio, per incontr
are in essa Gesù Salvatore. Allo stesso modo, è urgente formare i laici, senza dimenticare le persone consacrate, ad un incontro personale e comunitario con la Parola di Dio, fonte di conversione, di servizio, di riconciliazione e di costruzione di una pace duratura.
– S.E.R. Mons. Joviano DE LIMA JÚNIOR, S.S.S., Arcivescovo di Ribeirão Preto (BRASILE)
Dio parla nel cuore e nella vita di ogni persona, uomo o donna, bambino, adolescente o giovane, adulto o anziano…appartenente ad ogni cultura e tradizione religiosa o filosofica, a ogni classe sociale, in ogni circostanza, gioiosa o dolorosa della nostra vita personale e sociale. Dio parla nelle circostanze e nelle realtà particolari del popolo brasiliano, del continente latino americano e caraibico. Ci propone la vita o la morte, la benedizione o la maledizioni; a noi la scelta (cf Dt 30, 19).
Noi cristiani, uomini e donne, membri del Corpo di Cristo vivo, risorto, siamo in ascolto di questa Parola di Dio, siamo attenti ai gemiti dello Spirito, attenti ai “segni dei tempi”, attenti al mistero pasquale che si dipana attraverso gli avvenimenti. Per questo apriamo il libro delle Sacre Scritture, penetrando l’auto-rivelazione di Dio e la realizzazione del suo Piano di Salvezza, nella storia del cosmo, nella storia umana fino ai nostri giorni. Cerchiamo di cogliere la sfida della nostra missione nel momento presente, in ciascuna delle realtà che tessono la nostra vita personale e sociale.
La Bibbia è sempre presente nelle piccole comunità di base. Nei momenti di lettura comunitaria, si stabilisce uno scambio molto ricco tra le esperienze di vita del popolo di Dio di oggi e di ieri: la preoccupazione per la sopravvivenza (la fame, le malattie, l’alloggio, le necessità di ogni genere), i tentativi di organizzazione comunitaria, l’impegno nelle lotte sociali e la partecipazione politica… soprattutto la fede nel Dio vivente, che permette di resistere contro ogni speranza. Molte persone – bambini, giovani e adulti – aprono la Sacra Scrittura nei propri incontri di studio e di preghiera, nelle proprie riunioni sulle attività pastorali e per la celebrazione liturgica. Nascono così alcune comunità missionarie nelle famiglie, nelle università, nei quartieri e anche negli ambienti di studio e di lavoro allo scopo di vivere e annunciare il Vangelo.
Alla mensa della Parola, il popolo di Dio trova la sapienza e il nutrimento per le lotte quotidiane. Essendo la liturgia impregnata della Parola, le celebrazioni liturgiche sono momenti privilegiati per la proclamazione e per l’interpretazione delle Sacre Scritture, per l’ascolto della Parola viva che è il Cristo e che si manifesta all’assemblea nella celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti, nella liturgia delle ore e i suoi uffici divini, nei sacramentali, espressioni della pietà popolare…
– S.E.R. Mons. Rayappu JOSEPH, Vescovo di Mannar (SRI LANKA)
Lectio Divina: Desidero parlare del valore nutritivo e formativo della Lectio Divina spiegato al n. 38 del Documento di lavoro, nel contesto dell’esperienza del nostro paese, con particolare riferimento alla mia diocesi in Sri Lanka. La parola Lectio Divina è menzionata oltre 28 volte nel Documento di lavoro, e nella vita delle Chiese particolari è indicata seconda soltanto alla Celebrazione Eucaristica come luogo privilegiato per fare esperienza della Parola di Dio. Come nell’Eucaristia, preghiera suprema della Chiesa, anche nella Lectio Divina la Parola di Dio è intimamente connessa alla preghiera. La Parola di Dio e la preghiera sono due aspetti di un’unico atto. Il Documento di lavoro al n. 41 dice: “Per una genuina spiritualità della Parola va ricordato che ‘la lettura della Sacra Scrittura deve essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché ‘gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini’” I discepoli del Signore gli chiedevano di insegnar loro a pregare perché sapevano che la fonte della Sua vita e missione era la Sua vita di preghiera, grazie a cui parlava col Padre e il Padre con Lui:
La Lectio Divina nel mio Paese: La Conferenza Episcopale dello Sri Lanka, nel suo sforzo di tornare alle origini per rinnovare la Chiesa, si è impegnata, 14 anni fa, alla formazione di Piccole Comunità Cristiane (SCC) attraverso il Modello Pastorale Integrale Asiatico (AsIPA), come priorità pastorale. In tale approccio l’antica pratica della Lectio Divina si è tradotta in sette momenti di incontro con la Bibbia. La Lectio Divina nella mia diocesi: La mia diocesi di Mannar, nel nord dello Sri Lanka, è per il 35% cattolica, il resto del gregge è Indù o Musulmano. Appena il cristianesimo è arrivato in questa regione, 600 neofiti hanno reso testimonianza della loro fede con il proprio sangue nel 1544. Sono conosciuti come “i martiri di Mannar”. Loro seguaci nella fede, le persone oggi vivono una fede profonda e la diocesi è ricca di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, frutti della fede dei loro padri. Tuttavia una guerra etnica di oltre un quarto di secolo, con le sue distruzioni di vite e proprietà, deportazioni di massa ecc., ha portato la nostra gente a una perdita del senso di appartenenza poiché la crisi si è trasformata in una questione di sopravvivenza dei più forti. Le sette fondamentaliste si stanno facendo largo tra i pesci che navigano in acque agitate.
– S.E.R. Mons. Augustin TRAORÉ, Vescovo di Ségou (MALI)
I cristiani del Mali costituiscono una piccola minoranza dal punto di vista numerico, ma sono apprezzati e rispettati per la testimonianza che rendono al Vangelo di Gesù Cristo.
La qualità della testimonianza di vita dei cristiani cattolici e protestanti malesi s’impone all’ammirazione dei loro fratelli e sorelle musulmani che amano dire spesso che è necessario affidare sempre la gestione delle cose serie ai cristiane, perché il Vangelo che essi annunciano porta la giustizia e la pace.
La coerenza nella testimonianza deve essere promossa da una collaborazione sempre più fruttuosa tra le comunità cristiane cattoliche e protestanti.
La Segreteria dell’Apostolato Biblico della Conferenza Episcopale del Mali ha deciso, dopo la sua creazione, di favorire il dialogo ecumenico nel Mali. Quindi, lavora a stretto contatto con l’Alleanza Biblica Universale del Mali, in modo più diretto con l’Ufficio nazionale dell’Alleanza Biblica del Mali in uno spirito di ecumenismo.
I buoni rapporti intrattenuti fra i membri della Segreteria Biblica e l’Alleanza Biblica del Mali hanno permesso una fruttuosa collaborazione nei settori della formazioni dei traduttori della Bibbia, della diffusione della Bibbia, dell’alfabetizzazione…
La Parola di Dio, essendo per tutti i figli di Dio, è un potente mezzo di comunicazione tra gli uomini di religioni diverse. Il Sinodo sulla Parola di Dio favorirà certamente un dialogo interreligioso fruttuoso, a partire da una migliore conoscenza di questa Parola. Il dialogo interreligioso presuppone una buona conoscenza della Parola di Dio che è anche dialogo e che favorisce le condizioni di un dialogo fruttuoso fra le differenti confessioni.
– S.E.R. Mons. Lucjan AVGUSTINI, Vescovo di Sapë (ALBANIA)
La storia della Chiesa nel popolo albanese ci mostra che Dio fa che la sua parola porti molti frutti.
Cattolici albanesi hanno fatto 1’esperienza del popolo ebreo in Babilonia, dove la Parola di Dio ha conservato la sua identità. Durante il regime comunista, dove ogni pratica religiosa era proibita, il ricordo della Parola di Dio ha preservato la f
ede dei cattolici Albanesi.
Mentre il Secondo Concilio Vaticano con le sue encicliche e documenti, tra cui anche Dei Verbum, ha portato tanti cambiamenti nella Chiesa universale, quella in Albania è stata costretta a chiudere la bocca. Possiamo dire che l’esempio dei vescovi, sacerdoti e laici fucilati o incarcerati per aver professato la fede nella Parola Incarnata ha incoraggiato tutti i fedeli a concretizzare la Parola di Dio nella vita. Con il loro atteggiamento hanno insegnato al popolo la fedeltà, l’amore e il perdono dei nemici.
Nella preghiera liturgica c’è stato molto progresso nel valorizzare la Sacra Scrittura come il punto di partenza di ogni culto in Spirito ed in Verità e come la forza che unisce la comunità che prega.
La gente ascolta con sentimento di fede la Parola di Dio, però ha ancora fame e sete. Non abbiamo la possibilità per poter saziare questa fame e qusta sete. Abbiamo ancora tante difficoltà. È molto grande la necessità di ristampare la Sacra Scrittura.
– S.Em.R. Card. Antonio CAÑIZARES LLOVERA, Arcivescovo di Toledo (SPAGNA)
L’intervento si riferisce alla catechesi come uno aspetto del ministero della Parola. Si vuole sottolineare il ruolo insostituibile e fondamentale della catechesi per la trasmissione della Parola di Dio, la cui peculiarità consiste nell’essere un periodo di insegnamento e maturità, di riflessione vitale sul ministero di Cristo, di iniziazione integrale – vitale, ordinata e sistematica – alla Rivelazione che Dio stesso ha fatto all’uomo in Gesù Cristo, non isolata dalla vita né giustapposta artificialmente a essa, e custodita nella memoria profonda della Tradizione viva della Chiesa. La catechesi introduce, inizia all’ascolto e all’accoglimento della Parola e dell’insegnamento degli Apostoli nella liturgia, nella vita morale evangelica conforme alla carità e nella preghiera.
Senza catechesi, la maggior parte dei cristiani non sarebbe in grado di appropriarsi del Vangelo e tradurlo in vita, né di agire in senso missionario e apostolico, né di confrontarsi con successo con le correnti spirituali e culturali del nostro tempo. Solo partendo da una catechesi seria, autentica e rinnovata, la Chiesa potrà spiegare con forza tutta la vastità degli elementi e delle funzioni della sua missione evangelizzatrice.
È necessario che la catechesi come opera evangelizzatrice della Chiesa trovi i suoi fondamenti nella natura della rivelazione cristiana e della Tradizione viva della Chiesa, come viene espressa nella Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II.
Quando la catechesi si colloca in questa prospettiva suscita la adorazione e, insieme con essa, l’ammirazione e la meraviglia dinnanzi a Dio. Con la forza della testimonianza parla di Dio per rendergli gloria. Da qui scaturisce la lode, l’azione di grazie, la supplica. Qui radica l’iniziazione all’ascolto e all’obbedienza alla Parola di Dio, alla preghiera e alla liturgia. Da qui scaturisce anche la vita conforme al volere di Dio. Quando la catechesi si fonda su questo, nasce nel cuore dell’uomo il desiderio di Dio, la ricerca di Lui, la contemplazione del suo Volto, che è la sua Parola fatta carne, Gesù Cristo, la gioiosa esperienza di stare con Lui, che è Amore, contemplato nella sua Parola incarnata, e di vivere in conformità con Lui nell’amore, camminando nella speranza.
– S.E.R. Mons. Claudio Maria CELLI, Arcivescovo titolare di Civitanova, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali (CITTÀ DEL VATICANO)
Desidero iniziare il mio intervento facendo riferimento al paragrafo 53 dell’Instrumentum Laboris che parla dei “metodi” e delle “nuove forme di linguaggio e comunicazione” nella trasmissione della Parola di Dio.
Stiamo vivendo un periodo di profondi cambiamenti nel mondo della comunicazione. Gli esperti parlano spesso di una rivoluzione digitale per indicare gli straordinari sviluppi nelle tecnologie delle comunicazioni di cui siamo stati testimoni negli ultimi vent’anni. Sarebbe, tuttavia, un errore considerare questi cambiamenti come puramente tecnologici, perché essi hanno rivoluzionato anche la cultura delle comunicazioni. Hanno cambiato il modo di comunicare delle persone, il modo di aggregarsi e di creare comunità, il modo di conoscere il mondo, il modo di impegnarsi in organizzazioni politiche e commerciali.
Come comunità di credenti impegnata a far conoscere a tutte le genti la Buona Novella del Vangelo di Gesù Cristo, la Chiesa è di fronte alla sfida di riflettere in che modo riuscire a comunicare il suo messaggio nel contesto della nuova cultura emergente delle comunicazioni. Solitamente, abbiamo considerato i nuovi mezzi e tecnologie della comunicazione come strumenti per trasmettere la Parola – Evangelii Nuntiandi ha definito i nuovi mezzi come una “versione moderna ed efficace del pulpito”. La sfida di oggi è comprendere che le nuove tecnologie non sono solo strumenti di comunicazione, ma stanno profondamente influenzando la cultura stessa delle comunicazioni.
La comunicazione digitale ha trasformato i modelli di utilizzo e consumo dei media. Laddove in passato, avevamo la tendenza a considerare i lettori, gli ascoltatori o gli osservatori dei media come spettatori passivi di un contenuto centralmente prodotto, è chiaro che oggi dobbiamo considerare il pubblico come maggiormente selettivo e interattivo di una più vasta gamma di media. La logica delle comunicazioni è stata radicalmente cambiata – il focus sui media è stato sostituito da una concentrazione sul pubblico che è sempre più autonomo e deliberativo nel suo consumo dei media.
Noi siamo stati sempre, e giustamente, attenti al contenuto del nostro insegnamento; oggi dobbiamo essere più attenti al nostro pubblico, o ai molteplici pubblici, cui ci indirizziamo, per comprendere le loro preoccupazioni e le loro domande. Abbiamo bisogno di capire meglio e di tenere in considerazione i contesti e gli ambienti in cui essi incontreranno la Parola di Dio. Lo sviluppo di internet come mezzo interattivo, dove gli utenti cercano di imporsi in qualità di soggetti e non solo di consumatori, ci invita a sviluppare in modo più esplicito forme dialogiche di insegnamento e presentazione.
– S.E.R. Mons. Fragkiskos PAPAMANÓLIS, O.F.M. Cap., Vescovo di Syros, Amministratore di Milos (GRECIA)
Vorrei aggiungere un pensiero al n. 54 dove si parla della Parola di Dio come vincolo ecumenico. Vivo in Grecia, dove i cattolici siamo una minoranza in mezzo alla grande maggioranza costituita dai nostri fratelli Ortodossi. È quindi naturale per me toccare questo problema.
Nell’Instrumentum Laboris ho cercato una risposta ad una domanda che spesso sento rivolgermi dai nostri fratelli ortodossi o che, non raramente, leggo nei giornali. Mi dicono: “Voi cattolici, come potete giustificare le strutture con le quali opera la vostra Chiesa come istituzione, se le mettete a confronto con la Parola di Dio?”. E, seguendo la conversazione, vedo che si riferiscono all’apparato della diplomazia, con tutte quelle ramificazioni che ne scaturiscono, di cui la Chiesa Cattolica fa largo uso.
Sono consapevole delle necessità delle istituzioni e del bene che viene fatto anche attraverso la diplomazia. Tuttavia è pur vero che esse vanno sempre riesaminate e verificate alla luce della Parola di Dio, perchè il fine non giustifica i mezzi.
Studiando la storia incontriamo nella vita della Chiesa delle decisioni di emergenza e modi di comportamento strutturale che potrebbero essere giustificati a causa di quel dato momento storico, ma quelle decisioni, rimaste poi nelle strutture della Chiesa, mi domando, con
tinueranno a segnare il passo della vita della Chiesa per i secoli dei secoli? Specialmente quando simili strutture non reggono alla luce dei principi teologici?
Per la Chiesa Cattolica l’impegno ecumenico è l’impegno primario nel terzo millennio. Un impegno che non può limitarsi allo scambio di inviti, di visite e di doni, o anche a tutti quei gesti che esprimono il nostro desiderio di creare unità. II desiderio non basta. Dobbiamo essere disposti a sacrificare leggi e strutture, per preparare il giorno benedetto in cui i cristiani saremo uniti.
II giorno benedetto dell’ Unione dei Cristiani, infatti, non sarà “un incontro incondizionato” con i nostri fratelli, ma una fusione di due pezzi d’oro, per arrivare ad una nuova entità nell’ unità. II tempo del cammino ecumenico sarà autentico solamente se sarà per le Chiese un cammino di purificazione delle strutture.
In questo cammino la Parola di Dio è lo strumento che deve fare da guida per l’una e per l’altra Chiesa, perché è l’unico elemento comune su cui possiamo incontrarci e confrontarci.
– S.E.R. Mons. Felix TOPPO, S.I., Vescovo di Jamshedpur (INDIA)
Malgrado l’amara realtà storica delle divisioni della Chiesa, dal Concilio Vaticano II l’ecumenismo ha compiuto notevoli progressi verso l’unità della Chiesa.
La Realtà della Divisione
Le nostre divisioni hanno inferto ferite al Corpo Mistico di Cristo. Le nostre divisioni contrastano con la volontà di Cristo e con il suo insegnamento di amore, umiltà e perdono. Queste divisioni sono un grave peccato e uno scandalo per il mondo.
Lavorare per l’unità
Il fatto che, nonostante le divisioni, lavoriamo per l’unità è un segno di speranza. Sebbene i conflitti tra noi siano terminati, l’unità di tutti i cristiani è ancora lontana.
Le attese della Chiesa
Le frasi iniziali del “Decreto sull’ecumenismo” del Concilio indicano il “promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani” come una delle principali sollecitudini del Concilio (Cf. UR 1; Cf. LG 15). Allo stesso modo, Papa Giovanni Paolo II (Ut Unum Sint 61) e Papa Benedetto XVI (IL 54) hanno sottolineato l’importanza fondamentale della piena e visibile unità di tutti i discepoli di Gesù.
Il bisogno di unità
Professiamo la nostra fede in un solo Dio, un solo Battesimo un solo Messaggio, una sola Fede, una sola Speranza, un solo Amore, un solo sacrificio che ci chiama all’unità indivisa. Ricordiamo la preghiera per l’unità che Gesù ha rivolto al Padre (Gv 17, 21).
Le mie proposte
1. Il vero ecumenismo ci invita ad assumere atteggiamenti spirituali di amore e umiltà verso tutti i cristiani.
2. Tutti i cristiani devono essere incoraggiati a partecipare a una pratica collettiva di Lectio Divina.
3. Dobbiamo guardarci dall’indebolimento della verità e dal falso ecumenismo.
4. Dobbiamo rafforzare il dinamismo spirituale dell’unità, sia all’interno delle Chiese particolari sia tra di loro.
5. Le Chiese d’oriente e d’occidente devono decidere insieme un giorno comune per la celebrazione della Pasqua.
– S.E.R. Mons. Joaquim FERREIRA LOPES, O.F.M. Cap., Vescovo di Viana (ANGOLA)
1. Le culture africane nelle quali annunciamo la Buona Novella, sono culture antiche che occorre conoscere profondamente. Allo stesso tempo, esse hanno una dimensione simbolica molto accentuata che occorre non solo rispettare ma anche saper utilizzare.
Le nostre culture africane possono essere definite culture della parola in senso esistenziale e simbolico allo stesso tempo. In effetti, da un lato, la parola umana, in quanto tale, ha un valore straordinario; dall’altro, la Parola di Dio ha un valore eccezionale. La Parola di Dio va al di là di ogni significato attribuito alla parola in qualunque contesto.
Per questo, la Parola di Dio, la Bibbia, è venerata nelle nostre assemblee liturgiche in un modo tale che lentamente e progressivamente si è cominciato ad introdurre nella celebrazione dell’Eucarestia una sorta di rito di intronizzazione.
Per gli africani, la Parola è viva, è Qualcuno che va incontro alla comunità riunita dallo Spirito Santo in nome del Signore. Con un grande senso di creatività, la comunità ha bisogno di altre forme di lettura a livello di rituale, di gesto e di simbolo.
Dobbiamo approfondire tutto ciò che riguarda il problema dell’inculturazione per evitare nell’attuale processo della nuova evangelizzazione, alcuni errori del passato nel non considerare quegli aspetti che hanno portato a una evangelizzazione che non ha toccato profondamente la cultura rimanendo a livello periferico, superficiale.
2. Dobbiamo essere grati ai catechisti, uomini e donne di indomito coraggio che, avendo ricevuto la fede e restandovi fedeli, sono riusciti, per decine d’anni, mentre la guerra sconvolgeva il paese, a mantenere vive le comunità mettendo a rischio la propria vita. In queste comunità vi sono stati molti santi e martyrium.
Ora possiamo vedere la Bibbia in mano ai fedeli e all’interno delle loro case. Il Vangelo è nuovamente annunciato ai poveri anche se ci manca da fare ancora un grande lavoro che è in cantiere.
– Rev. P. Kieran O’REILLY, S.M.A., Superiore Generale della Società delle Missioni Africane
Una caratteristica dell’inizio delle lettere di San Paolo è che lui ringrazia sempre Dio per il lavoro e l’impegno di quelli a cui scrive. Nella Lettera ai Filippesi scrive: “Ringrazio il mio Dio ogni volta ch’io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente” (1, 3-5).
Vorrei rivolgermi agli agenti della Parola, “partner nel Vangelo”.
A) I catechisti, religiosi e laici, uomini e donne. B) I Vescovi, i sacerdoti e i diaconi. C) Un terzo gruppo è rappresentato da quanti lavorano silenziosamente e diligentemente – gli esegeti biblici.
È importante che questo Sinodo colga l’occasione per riconoscere il progresso sostanziale che si è compiuto negli ultimi 50 anni e il ruolo avuto da quanti ho menzionato sopra.
Quattro sfide:
1. L’uso devoto della Bibbia unito ad un’autentica ricerca.
Una grande sfida da affrontare è quella di unire l’utilizzo della Bibbia con una seria ricerca storica e critica. Questo compito potrebbe essere descritto come il coniugare un appassionato impegno di fede con un’impeccabile erudizione.2. Come possono i sacerdoti-agenti dell’evangelizzazione approfondire la consuetudine della Bibbia e sentirsi “a casa” con i brani delle Scritture? È essenziale mettere a punto adeguati programmi di formazione permanente, soprattutto nella Scrittura.
3. Il ministero della “Giustizia e Compassione” all’interno della Chiesa dovrebbe essere presentato più direttamente. La Chiesa in tutti i continenti ha bisogno di uomini e donne in prima linea nell’opera di evangelizzazione, che siano testimoni di Cristo misericordioso e amorevole.
4. La vocazione a inculturare o incarnare la Parola di Dio in Africa è ancora in una fase iniziale. L’opera di evangelizzazione prosegue incessantemente e mentre sono stati fatti importanti passi avanti, la diffusione completa della Parola nel continente deve ancora proseguire.
– S.E.R. Mons. Daniel CARO BORDA, Vescovo di Soacha (COLOMBIA)
Nei Vangeli troviamo la “Storia di un’anima”.
Il fondamento dei Vangeli sono la Parola e gli Atti degli Apostoli, arricchiti dalle confessioni di fede apostolica e dalle varie tradizioni delle comunità primitive
. Ciò non impedisce di trovare nei Vangeli “la spiritualità vissuta da Gesù”, il suo percorso spirituale. Un percorso spirituale che si chiama “Regno di Dio”. Un Regno che Egli fece realtà in se stesso e che rivelò ai Dodici e agli altri. Regno che sta dentro, lì si trova e lì viene edificato. Lo studio e la lettura assidua del Vangelo ci porteranno a conoscere, man mano, l’anima di Gesù e non solo le sue parole. Troveremo la storia di un’anima ansiosa di costruire ad intra il vero Regno di Dio e, ad extra, di condividerlo e diffonderlo. Si tratta di entrare nel suo cammino spirituale vissuto dal battesimo penitenziale fino alla risurrezione e all’ascensione nella gloria.
Per mezzo della Parola, incontrare Gesù di Nazareth, che invita e accompagna a edificare, come lui, il Regno di Dio… Questo è il cuore del discepolato.
– S.Em.R. Card. Giovanni Battista RE, Prefetto della Congregazione per i Vescovi (CITTÀ DEL VATICANO)
1. È compito del Vescovo essere araldo della Parola di Dio; dottore autentico, cioè investito dell’autorità di Cristo, che la illustra e la trasmette; maestro che la custodisce fedelmente e la difende; testimone che la proclama anche con l’esempio della sua vita (cfr. Lumen gentium).
Nell’esercizio del munus docendi il Vescovo deve insegnare ai fedeli la parola attinta dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione, dal Magistero, dalla liturgia della Chiesa, curando che sia proposta integralmente e fedelmente tutta la rivelazione cristiana. Parimenti, la Parola di Dio deve essere punto di riferimento anche del munus sanctificandi e del munus regendi.
Un pastore deve sentire profondamente la responsabilità primaria di diffondere e fare amare la Parola di Dio: deve continuamente studiare e riflettere su come meglio realizzare questo compito. Mediante un’accurata opera pastorale, il Vescovo deve guidare i suoi sacerdoti e fedeli ad ascoltare, amare, interiorizzare la Parola di Dio così da giungere a familiarizzare con essa e coglierne il senso profondo, in modo da conseguire la salvezza, mediante “l’obbedienza della fede” (Rm 1,5).
Il vescovo deve anche adoperarsi perché la Parola di Dio abbia incidenza e influsso sulla cultura, cercando di illuminare con la Parola di Dio il nuovo che appare all’orizzonte.
2. È inoltre responsabilità del Vescovo prodigarsi perché la Parola di Dio sia mantenuta viva, integra e feconda. Il Vescovo ha l’obbligo di difendere la Parola di Dio da tutto ciò che possa comprometterne la purezza e l’integrità. Egli deve avere il coraggio di intervenire con chiarezza ed autorità, contro ogni interpretazione o ipotesi arbitraria.
Bisogna, poi, insegnare a leggere la Sacra Scrittura non come un qualunque libro, ma per quello che è veramente, Parola di Dio, ponendosi in colloquio con Dio, cioè imparando a pregare a partire dal testo ascoltato o letto, meditato e approfondito.
3. Per svolgere bene il suo ruolo, il Vescovo deve innanzitutto nutrirsi lui stesso della Parola di Dio. Ciascuno di noi Vescovi deve porre al centro della propria vita la Parola di Dio, così che diventi la vera realtà, il vero fondamento della sua esperienza di fede e di tutta la sua attività pastorale. La Parola di Dio deve permeare tutto il nostro modo di vedere, di pensare e di agire e diventare il sostegno e il conforto della nostra esistenza. Durante il rito della nostra ordinazione episcopale, un momento particolarmente significativo è stato quello in cui, sopra il nostro capo, è stato aperto il libro dei Vangeli. Il nostro ministero è stato messo sotto la Parola di Dio, col compito di annunciarla, di proclamarla, di viverla con fedeltà e di difenderla nella sua limpidezza. L’immagine del Vangelo aperto posto sulla nostra testa richiama quella del tetto di una casa. La Parola di Dio per noi Vescovi è la casa da cui partire ogni mattina per andare incontro al gregge a noi affidato ed è la casa a cui tornare ogni sera. La Parola di Dio è poi il tetto sicuro sotto cui ripararci nelle tempeste della vita ed è il luogo intimo in cui far confluire i legami, i ricordi e gli affetti, come pure le ansie e le preoccupazioni pastorali, per trovare in Cristo il ristoro dell’anima e le energie per affrontare i problemi e le sfide che l’ora reca con sé.
– B. D.nus. Baselios Cleemis THOTTUNKAL, Arcivescovo Maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi, Presidente del Sinodo della Chiesa Syro Malankarese (INDIA)
L’identità ecclesiale della Chiesa Arcivescovile Maggiore cattolica siro-malankarese, che io rappresento, deve essere contemplata da tre punti di osservazione importanti. La Chiesa malankarese apostolica ha ricevuto l’antico patrimonio liturgico siro occidentale, si è saldamente radicata nel suolo spirituale indiano ed è stata arricchita dalla piena comunione e dall’universalità della Chiesa cattolica. Questa è la nostra benedizione e la nostra vocazione. Una delle principali esigenze della Chiesa cattolica malankarese è costituita dall’imperativo ecumenico. Insieme alla preghiera di Gesù (Gv 17, 8), il Santo Padre Papa Benedetto XVI ci ispira dicendo “l’unità nella fede può essere raggiunta in primo luogo come risposta all’ascolto della Parola di Dio”. La Chiesa malankarese ha la fortuna di possedere una tradizione liturgica profondamente radicata nella Parola di Dio e invita a tutti a conformare la propria vita secondo la Parola di Dio. Le nostre tradizioni liturgiche sacre vengono animate dalla Parola di Dio. Già all’inizio del movimento di riunificazione, la Chiesa cattolica malankarese ha posto uno speciale accento sulla sua missione ad gentes.Il nostro impegno missionario, nel contesto indiano pluralistico dal punto di vista sia religioso che culturale, affronta nuove sfide. Il fondamentalismo, l’enfasi sulla libertà religiosa, ecc. sono solo alcune di esse. Le condizioni sociali ed economiche garantite dal governo vengono negate ai dalit e alle comunità svantaggiate quando diventano cristiani. I recenti attacchi contro i cristiani sono un forte segnale dei fondamentalisti alle persone di buona volontà ovunque si trovano. Siamo grati alla Santa Sede per la sua puntuale e aperta solidarietà in questi momenti.
– S.E.R. Mons. Joseph Albert SERRANO ANTÓN, I.E.M.E., Vescovo di Hwange (ZIMBABWE)
La maggior parte della popolazione dello Zimbabwe è composta da non cristiani. Il dieci per centro sono cattolici mentre un altro trenta per cento appartiene ad altre chiese cristiane, soprattutto a gruppi pentecostali e a chiese sincretiste o africane indipendenti. Circa il sessanta per cento della popolazione segue la religione tradizionale.
Tra i cattolici, non tutti praticano regolarmente la loro fede e il numero di famiglie cattoliche è ancora basso – è frequente il caso di famiglie i cui membri appartengono a chiese diverse e lì praticano la loro fede – e stiamo vivendo un esodo di cattolici i quali, per motivi diversi quali malattie, matrimoni misti, amici, necessità emotive, insoddisfazione religiosa, problemi finanziari ecc. aderiscono temporaneamente o definitivamente ad altre chiese o gruppi religiosi.
L’attuale instabilità della situazione sociopolitica ed economica si ripercuote sulla vita della Chiesa lasciando spazio all’egoismo, perfino all’odio e alla violenza tra i membri di una medesima parrocchia, in quanto affiliati a partiti politici opposti.
In questa complessa situazione, il comando del Signore, “andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28, 19) risuona attuale e carico di sfide. Che fare? Cosa ci sta chiedendo il Signore? Come fare a presentare la sua Parola in modo adeguato alla luce dell’attua
le condizione?
Vorrei semplicemente elencare alcuni punti che considero essenziali per la nostra proclamazione della Parola.
1. Necessità di una solida formazione biblica a tutti i livelli. Sottolineiamo la necessità di istruire i laici.
2. L’impiego dei media e delle moderne tecnologie elettroniche quali strumenti sia per imparare la Parola di Dio che per proclamarla. Non dobbiamo dimenticare, anzi usare di più, i metodi tradizionali di comunicazione, ancora validi ed efficaci, quali la musica, le recite e la danza.
3. L’importanza delle piccole comunità cristiane come luoghi in cui la Parola di Dio viene proclamata, venerata e vissuta; sta prendendo terreno una seria dedizione alla causa della giustizia e della pace; è possibile giungere alla riconciliazione e al perdono reciproco “oggi tanto necessari”; la Parola di Dio viene inculturata; la Chiesa è vissuta come una famiglia, la famiglia di Dio, e diventa autosufficienteanche nello svolgimento del ministero e nella missione. La parrocchia quindi diventa più dinamica e viene vissuta come una comunità tra le comunità o una famiglia estesa.
4. Necessità di Bibbie, come pure di risorse e supporti semplici ma solidi nelle varie lingue, che possano aiutare la nostra gente nel cammino di formazione verso un incontro personale sempre più profondo con Cristo.
5. Necessità di case di spiritualità – case di esercizi – dove la Parola di Dio venga meditata nella preghiera e nel silenzio.
6. Abbiamo anche bisogno di offrire un maggior sostegno alla Federazione Biblica cattolica nel suo impegno e nella sua opera di applicazione della Costituzione Dei Verbum.
– S.E.R. Mons. John Olorunfemi ONAIYEKAN, Arcivescovo di Abuja (NIGERIA)
1. Il Concilio Vaticano Secondo, nella sua Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen Gentium”, al n. 16 dichiara:
“Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale”.
Il Documento di lavoro, al n. 56, il capitolo sul “Dialogo interreligioso”, cita un passaggio simile ma più dettagliato dalla “Nostra Aetate” del Concilio al n. 3, un testo che richiama espressamente l’attenzione sul fatto che i musulmani adorano un “Dio… che ha parlato agli uomini”. Scopo del mio intervento è lanciare un appello a questa augusta assemblea a prestare maggior attenzione alle importanti dichiarazioni di cui sopra.
2. Vengo dalla Nigeria, una nazione in cui i rapporti tra cristiani e musulmani hanno rappresentato una costante sfida. Sono quindi consapevole che la realtà in gioco in molti luoghi negli ultimi quaranta anni spesso ci porta a chiederci se l’atteggiamento positivo e aperto della Chiesa non sia ingenuo. Esiste una reciprocità negli sforzi per avere buoni rapporti? Quale che sia la risposta, il dialogo con l’Islam è necessario, non importa quanto sia difficile.
3. Ma non tutto è negativo. Vi sono positivi segni dei tempi che ritengo non dovremmo trascurare. Ultimamente si è aperta una crescente autocritica in seno al mondo musulmano. Inoltre tre importanti avvenimenti recenti meritano la nostra attenzione: a) la “Parola Comune”, lettera degli oltre 140 leader musulmani del mondo ai leader cristiani, b) la visita del re dell’Arabia Saudita al Papa e c) il consapevole appello e iniziativa dei circoli musulmani al dialogo con i cristiani a vari livelli. La Chiesa ha fatto bene ad accogliere e incoraggiare questi gesti a livello mondiale, il cui impatto si sta già facendo sentire a livello locale.
5. Affinché tutto ciò vada al di là degli atteggiamenti diplomatici, penso che occorra intensificare la nostra riflessione teologica sull’Islam come una religione, secondo le direttrici indicate dal Vaticano II. In particolare, e importante per il tema del Sinodo, occorre comprendere cosa la “Nostra Aetate” intende citando Dio che parla ai musulmani.
6. Costruire un mondo migliore fa parte della missione della Chiesa. Per farlo occorre collaborare con quanti condividono con noi la medesima sollecitudine. Questa è certamente una sfida urgente per le due maggiori religioni del pianeta.
– S.E.R. Mons. Louis-Marie Ling MANGKHANEKHOUN, Vescovo titolare di Acque nuove di Proconsolare, Vicario Apostolico di Paksé (LAOS)
Il Verbo si è fatto carne e ha parlato del disegno di Dio agli uomini, ma gli uomini l’hanno ucciso, perché li ostacolava. Infatti Egli sapeva bene che quegli uomini non l’amavano; eppure, ha deciso liberamente, d’accordo con la Volontà del Padre, di andare verso quella morte. Se il Verbo incarnato, il Creatore e Salvatore dell’universo ci ha messo tanto tempo per prepararsi alla sua missione, è perché attribuiva una importanza molto particolare a questa preparazione: 30 anni di preparazione per 3 anni di predicazione, per 3 giorni di redenzione e una notte nella tomba, prima della gloriosa risurrezione. Per quanto riguarda l’apostolo, deve essere lui stesso il testimone della Parola di Dio. Egli deve essere la garanzia della verità di ciò che dice, di ciò che fa, con il suo essere che vive e agisce, con la sua esistenza di uomo di fede e di uomo d’impegno, con la sua vita consacrata e perché no, con la sua vita di vescovo… In una parola, egli vive della Parola di Dio nel quotidiano della sua vita di Vescovo, ciò significa essere testimone visibile, vivente e palpabile della Parola di Dio in quanto pastore del popolo che la Parola di Dio gli affida. Questa Parola di Dio incarnata è il Buon Pastore stesso, in carne e ossa; è il Buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecore.
La Parola di Dio nella vita della Chiesa significa innanzitutto vivere la Parola di Dio personalmente, nel silenzio della propria vita privata, nella propria vita nascosta, personale e intima, come aveva fatto e vissuto il Verbo incarnato per 30 anni.
La Parola di Dio nella vita della Chiesa significa essere personalmente testimoni visibili e palpabili dell’amore salvifico della Parola di Dio. Il mondo attuale è stanco di ascoltare, stanco di capire; ma non è affatto stanco di stupirsi, di ammirare e di meravigliarsi per il testimone vero, il testimone autentico che vive la Parola di Dio nella sua vita personale e nella sua vita privata di pastore. Il mondo di oggi ha terribilmente fame e sete della Parola vissuta autenticamente dai Vescovi, dai sacerdoti, in una parola da quelle che si chiamano persone consacrate. Il mondo attuale ha fame e sete di pastori che vivono ciò che predicano, e predicano ciò che vivono interiormente.
– S.E.R. Mons. Jörg Michael PETERS, Vescovo titolare di Fordongianus, Forum Traiani, Vescovo ausiliare di Trier (GERMANIA)
“La Parola Di Dio, grazia di comunione” (IL n. 54 ss). Sulle possibilità e i limiti della collaborazione a livello ecumenico:
1. Si è fatto un grande progresso comune quando, circa 30 anni fa, è apparsa, tra l’altro, da parte del Consiglio della Chiesa Evangelica (EKD) e della Conferenza Episcopale Tedesca (DBK), la cosiddetta “traduzione unificata”, cioè una traduzione della Sacra Scrittura pubblicata in collaborazione. Essa è stata presto ammessa nei testi liturgici in tutti i Paesi di lingua tedesca. Sulla base di questa comune traduzione ci sono stati e ci sono in molti luoghi gruppi di approfondimento biblici interparrocchiali nello spirito ecumenico.
Con rammarico i Vescovi hanno dovuto prendere atto del fatto che, in una parziale revisione di questa traduzione divenuta ormai necessaria, non si è più
arrivati a un’azione comune con il Consiglio della Chiesa Evangelica. Se noi, come cristiani, siamo uniti in duplice forma, mediante il Battesimo e la Parola di Dio, questo aspetto è quanto mai deplorevole, proprio perché si tratta, davanti al mondo, che è diventato indifferente o sordo, di rendere testimonianza alla Parola.
2. Un nuovo inizio nel dialogo cristiano-ebraico (IL n. 55)
Abbiamo già sentito dire che la tradizione interpretativa ebraica della Bibbia è molto utile anche per la comprensione cristiana della Bibbia. Siamo grati per il fatto che, tre anni fa, vi è stato un promettente nuovo inizio del dialogo fra rappresentanti della Conferenza Episcopale tedesca, del Consiglio della Chiesa Evangelica e dei rabbini che operano nel nostro paese. Ciò può aiutare a sanare almeno in parte la profonda ferita delle comunità ebraiche e delle tradizioni ebraiche, in passato tanto vive e quasi completamente distrutte durante il Nazionalsocialismo. Per concludere, una considerazione pratica relativa alla scelta delle letture veterotestamentarie secondo l’Ordo Lectionum Missae. Sebbene sia consapevole che, all’interno di questo Sinodo, la fondamentale problematica sollevata non possa trovare risposta, la questione della scelta e dell’ordine delle pericopi veterotestamentarie ha tuttavia un ruolo importante.
– S.E.R. Mons. Giuseppe FRANZELLI, M.C.C.I., Vescovo di Lira (UGANDA)
“Quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti” (Mt 10,27).
In molte delle nostre diocesi, la Chiesa possiede e gestisce giornali o bollettini diocesani. Alcune hanno costruito il proprio sito web e spesso disponiamo di una radio diocesana.
La questione è questa: come ci serviamo delle nostre radio – o di quelle a cui abbiamo accesso – per diffondere la Parola di Dio?
Il mio appello e la mia proposta sono duplici:
1. Il Sinodo dovrebbe incoraggiare le diocesi, soprattutto quelle della stessa regione e che parlano la stessa lingua, a scambiarsi informazioni e mettere a disposizione delle altre i vari programmi e format sulla Parola di Dio che hanno avuto successo e sono diventati popolari. A poco a poco dovremmo organizzare una ricca biblioteca mediatica, un database, una fonte comune a cui tutte le diocesi siano libere di attingere, adattare e impiegare tutto ciò che sia più gradito agli utenti per presentare la Bibbia, la Lectio Divina, riflessioni sulle letture liturgiche a diverse categorie di ascoltatori, bambini, giovani, adulti, famiglie, ecc.
2. La Federazione Biblica Cattolica dovrebbe operare in comune con la Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali al fine di promuovere e sostenere queste iniziative offrendo esperienza, preparazione e sostegno morale ed economico a questo fine.
– S.E.R. Mons. Pierre-André DUMAS, Vescovo di Anse-à-Veau et Miragoâne (HAITI)
1. Già nel suo discorso al congresso sulla DEI VERBUM, il Papa Benedetto diceva: “la Chiesa deve sempre rinnovarsi e ritrovare la sua giovinezza con la Parola di Dio che non invecchia mai e non si esaurisce.
2. Nella sua relatio introduttiva, il segretario generale afferma: “il presente Sinodo deve aiutare a scoprire la Parola di Dio come fonte di rinnovamento e di freschezza per una Chiesa che se percepisce come Chiesa continuamente dinamica e giovane (Rel. Cap V).
3. Quindi, se la Chiesa abita la Parola le sarà congeniale anzi insita l’attitudine fondamentale di essere in stato continuo di conversione.
4. L’urgente chiamata alla conversione che in ogni tempo giunge alle sue orecchie (Mc 1, 15): “Convertitevi e cambiate vita” (At 3, 19) prende origine dalla Parola e deve consolidarsi con la Parola come una realtà fondante e trasversale che fissa l’orizzonte ermeneutico della sua fedeltà alla sua vocazione.
5. Dunque, prima di diventare deposito da custodire, studiare, pregare, spiegare e comunicare, la parola prioritariamente e principalmente è principio risanatore e purificatore: “Vi affido alla grazia della sua Parola (At 20, 32) che è capace di costruire l’edifico di Dio e di procurare una bella eredità” (At 20, 30-32).
6. Cosi un sinodo sulla Parola deve far cadere il velo troppo spesso dei vecchi schemi, dei paradigmi, delle prospettive ormai superate, delle nostre concezioni tabù, di un certo stile che stanca e appesantisce, di una certa impostazione e progettazione pastorale vecchio sistema che tende purtroppo ad incatenare la parola.
7. Nello stesso tempo, auguro che questo programma di conversione diventi la quintessenza della sua missione e la aiuti a ridefinire il suo progetto come processo di maturazione e di questa medesima conversione.
8. Poi se i pastori potessero essere primi ad imboccare la via della conversione a Dio e alla sua Parola d’amore, allora la Chiesa entrerebbe in nuova Pentecoste dello Spirito per diventare sempre più ciò che è nel suo profondo: germe di unità, fermento di comunione, seme di speranza, irradiazione, irradiazione d’amore e lievitazione della novità di Dio nella storia.
Quindi sono intervenuti i seguenti Uditori e Uditrici:
– Dott.ssa Hanna-Barbara GERL-FALKOVITZ, Professore di Filosofia della Religione e di Storia comparata delle Religioni presso l’Università Tecnica di Dresden (GERMANIA)
1. Per una serie di importanti pensatori europei sta iniziando un secondo illuminismo: la ragione stessa è ingannevole se non è collegata a un orientamento. Le promesse bibliche come la risurrezione, il perdono, la Passione di Dio, il linguaggio performativo dei sacramenti (trasformazione del pane e del vino), la vita come partecipazione alla vita originaria e all’Incarnazione sono ritornati oggi a far parte dei discorsi degli intellettuali. Sarebbe utile se la Chiesa sfruttasse con fiducia questo nuovo “clima generale” per un nuovo illuminante insegnamento a favore del discorso della ragione e della fede. Anche nella “vecchia Europa” entriamo in una nuova dinamica post-ideologica. La filosofia potrebbe, in modo sinergico, tornare a gonfiare anche le “vele” teologiche della Chiesa.
2. Realizzazione pratica: nell’università si potrebbe fondare un “circolo di preghiera per atei”. La semplice lettura comune del Vangelo è sufficiente (all’inizio) a rendere interessante ciò che non si è mai sentito prima. Non sono le nostre parole a convincere, ma la Parola stessa: “La Parola spezza le parole” (Origene). Ciò che oggi pochi pensano, domani può raggiungere molti. Portiamo la Parola anche nelle università. Dominus illuminatio nostra si legge all’ingresso dell’Università di Oxford: il Signore è la nostra illuminazione. L’alternativa sbagliata tra secolarismo e fede deve essere spezzata. Dopo le delusioni delle grandi ideologie è giunto il momento per i criteri della verità.
– Rev. Ari Luis DO VALE RIBEIRO, Professore di Teologia presso il Seminario Diocesano, Santo Amaro (BRASILE)
È sana la ricerca del “Gesù storico” che deluciderà sempre il “Cristo della fede”, poiché nella misura in cui si attinge al nucleo storico dei Vangeli canonici, si attesta la storicità dei medesimi. Un tale approccio è una delle valide sintesi operate dalla cosiddetta New Quest, Scuola esegetica e cristologia che, successivamente alla Seconda Guerra Mondiale, ha superato la scissione bultmanniana tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”.
Questa scissione, nociva per la fede cristiana, sembra essere stata ripresa da alcuni studi esegetici allineati alla cosiddetta Third Quest, iniziata nell’ultimo quarto del XX secolo. Si tratta di una Scuola
con legittime aspirazioni, la quale si propone di effettuare la lettura storica di Gesù, a partire dal suo contesto palestinese. Nel contempo, si ha l’impressione che determinati studi esegetici di questa Scuola equiparino i testi apocrifi ai testi canonici della Scrittura, non tenendo conto del fatto che essi sono solamente fonti secondarie per l’esegesi, ma soprattutto non tengono in conto, con la pretesa storica, l’ideologia di coloro che li hanno elaborati, siano essi gnostici o meno. Sembra ci sia un ritorno alla pretesa della Scuola liberale dei secoli XVIII e XIX, con risultati molto simili a quelli attuali, compresa la negazione della divinità di Cristo.
L’equiparazione dei testi canonici con quelli apocrifi sembra non considerare la dimensione teologica del canone della Scrittura e la sua analogia con l’incarnazione del Verbo divino, fatto che comporta gravi conseguenze per la fede cristiana. I testi apocrifi possono fornire elementi validi per la conoscenza della storia e della letteratura contemporanea alla Chiesa primitiva, tuttavia essendo fonti secondarie, poiché sono sfumate dagli orientamenti teologici e dalle ideologie dei gruppi che le hanno elaborate, compromettono la fede in Gesù Cristo, pienamente Dio e pienamente uomo.
Pertanto, l’utilizzo degli apocrifi nell’esegesi dei testi biblici senza il dovuto criterio può compromettere la fede in Gesù, pienamente Dio e pienamente uomo, e la fede nelle scritture come Parola di Dio. Si suggerisce che la Pontificia Commissione Biblica congiuntamente alla Commissione Teologica Internazionale elaborino un documento che regoli l’utilizzo degli apocrifi nell’esegesi dei testi biblici, senza compromettere il carattere ispirato dei testi biblici, e, soprattutto, senza compromettere il messaggio salvifico in essi contenuto. Si suggerisce, inoltre, la ripresa dell’Istruzione della Pontificia Commissione Biblica Sancta Mater Ecclesia del 1964 (EB 644-659), che offre una felice soluzione alla questione della storicità dei Vangeli, supposta dalla Costituzione Dei Verbum (n. 19).
– Sig. Ricardo GRZONA, Presidente della Fundación Ramón Pané di Honduras; Consultore cattolico delle Società Bibliche Unite (STATI UNITI D’AMERICA)
Dalla visione della catechesi, si comprende che, nel tema sulla Bibbia, il “che” è molto chiaro. I catechisti si aspettano che questo Sinodo offra vie concrete per il “come” portare avanti questo compito. Chiederemmo di poter avere delle linee guida concrete, pensando soprattutto alla maggioranza di queste persone che vivono immerse nella cultura mediatica e che leggono sempre meno e di pensare di sostenere tutte le iniziative nel campo dei nuovi mezzi di comunicazione.
Abbiamo notato che nella catechesi si insegna di più a pregare (come recitare le preghiere) che a orare davvero in risposta a Dio che comunica se stesso anzitutto con la sua Parola. C’è ancora tanta strada da fare a proposito del tema della preghiera e occorre che tutte le nostre strutture, a cominciare dalla catechesi, siano vere scuole di preghiera.
Faccio riferimento al n° 38 del Documento di lavoro, Lectio Divina: in America Latina abbiamo ampiamente sperimentato che molti giovani incapaci di leggere un libro, rimangono affascinati quando viene presentato loro il metodo della Lectio Divina. Questa non può essere una proposta in più, isolata dal resto della vita ecclesiale, ma al contrario, una proposta per guidare tutte le forme e le strutture della nostra Chiesa, poiché quest’ultima ci conduce a una vita coerente e concreta nella sequela di Gesù e del suo Vangelo. Tuttavia, si corre il rischio di non giungere a una lettura profonda secondo la tradizione della Chiesa e le interpretazioni personali possono essere numerose e correre il rischio di uscire dal solco della Tradizione. Per questo motivo, suggerisco ai Padri Sinodali di proporre la realizzazione di un Congresso Internazionale sulla Lectio Divina che, guidato dal Magistero, possa portare ad una sempre maggiore comprensione di questa prassi della lettura orante delle Sacre Scritture. Concludo, citando il Documento di lavoro n° 38 che alla fine afferma: “Questo mondo richiede personalità contemplative, attente, critiche, coraggiose. Esso domanda di volta in volta scelte nuove ed inedite”. Preghiamo Dio di poter realizzare tutto questo.