"Adoro Te devoto, latens deitas!"
In questo inno professiamo la nostra fede alla presenza di Gesù nel pane dell'Eucarestia e lo adoriamo. Mentre l'inno afferma la presenza di Cristo nel pane dell'Eucarestia, ne afferma anche il nascondimento: Gesù celato dallo stesso pane dell'Eucarestia, che lo rivela. La nostra affermazione della reale presenza di Gesù nel pane dell'Eucarestia si basa su un'altra convinzione, ossia che nell'epiclesi, durante la Messa, il pane diventa, mediante il potere dello Spirito Santo, il corpo di Cristo. Dunque, nell'Eucarestia il pane rivela una realtà (la persona di Gesù); ma così la persona di Gesù rende il pane eucaristico un segno della sua presenza. La presenza eucaristica di Gesù, allora, è mediata dal segno del pane dell'Eucarestia ed è inseparabile da esso.
Lo stesso può dirsi delle Scritture (la Bibbia)! Infatti, anche le Scritture sono ispirate (2 Tm 3, 16). Per la potenza dello stesso Spirito Santo, le Scritture diventano capaci di esprimere e di rivelare Gesù, l'Eterna Parola di Dio.
Le Scritture: le parole e l'opera di Mosè e degli scribi nei santuari e nelle corti, le parole e gli scritti dei profeti, gli insegnamenti e gli scritti dei sacerdoti nei santuari e nel tempio, le opere dei saggi, le lettere di Paolo, di Giacomo e di Giovanni, i Vangeli degli evangelisti eccetera, tutte queste opere degli uomini (esseri umani) sono state insufflate (ispirate) dallo Spirito Santo per diventare Parola di Dio. Pur senza perdere i limiti e le imperfezioni degli autori, le limitazioni delle loro culture e dei loro punti di vista, delle lingue eccetera, tali scritti sono ispirati dallo Spirito Santo per diventare la Parola di Dio. Dunque, mentre le Scritture, per la grazia dell'ispirazione e del dono della fede, rivelano la persona di Gesù, Eterna Parola di Dio, ugualmente la nascondono, come le opere degli uomini: è questo l'aspetto sacramentale della natura delle scritture. Esse hanno la natura del segno, che invita il lettore ad andare oltre le parole e il senso letterale per discernere nella fede la persona di Gesù.
Riconoscere ciò implica importanti conseguenze per la nostra lettura delle scritture:
- La verità delle scritture è, in definitiva, la verità di una persona, Gesù.
- Questa verità è al contempo accessibile e inaccessibile alle persone. L'accesso richiede la fede.
- La ricerca del significato e la verità delle scritture non possono essere limitate al segno della parola e al senso letterale delle scritture.
- Benché le scritture abbiano carattere di segno, poiché sono ispirate per mediare la presenza della Parola di Dio, esse sono uniche, insostituibili, degne di essere rispettate e prese seriamente. Ciò è, in definitiva, la ragione del grande interesse per il segno delle scritture e degli studi critici al riguardo.
- S.E.R. Mons. Anton LEICHTFRIED, Vescovo titolare di Rufiniana, Vescovo ausiliare di Sankt Pölten (AUSTRIA)
Mi riferisco soprattutto ai N.ri 27 e 37 del Documento di lavoro. E mi chiedo: in che modo la "mensa della Parola di Dio", che grazie alla riforma liturgica adesso è apparecchiata più riccamente, può nutrire i fedeli?
1) Le letture bibliche nelle nostre celebrazioni
I testi della sacra Scrittura per molti fedeli suonano come parole aliene. Permettetemi di fare un paragone superficiale: come quando ci si trova in stazione e ci passa davanti un treno veloce. Così talvolta le letture della sacra Scrittura passano veloci davanti agli occhi e alle orecchie dei fedeli, senza che questi possano prendere il treno e viaggiare. Da qui la domanda: quanto prendiamo seriamente la sacra Scrittura? Risposta: scelta accurata delle persone per il servizio delle letture. Preparazione accurata dei testi della sacra Scrittura.
2) L'importanza dell'omelia
Fortunatamente adesso l'omelia è diventata consueta, di conseguenza anche la predica in forma di spiegazione della Scrittura. A prescindere dal genio letterario, emergono a questo proposito almeno 3 tendenze, o pericoli:
a) L'omelia resta soltanto un racconto con parole proprie del testo biblico, una ripetizione, un raddoppio.
b) L'omelia è soltanto una ripetizione della vita di tutti i giorni, una ripetizione e una reiterazione, senza la luce del Vangelo.
c) L'omelia non ha nulla a che vedere né col Vangelo, né con la vita quotidiana. L' iniziativa di per sé lodevole di attingere agli scritti delle prediche, viene ripresa parola per parola. Manca la testimonianza personale.
Le letture bibliche della messa domenicale hanno un'importanza particolare. La mia piccola proposta per i fedeli è la seguente: leggere il Vangelo domenicale in anticipo, anche se solo per un minuto.
Conclusione: La grande responsabilità e l'opportunità dell'omelia: grazie ad essa i fedeli devono poter vivere per una settimana! Per il Vangelo di Cristo vogliamo spendere le nostre migliori energie. Per questo motivo noi predicatori dobbiamo prepararci bene: con la preghiera, con la discussione esegetica e teologica - e attraverso la vita di tutti i giorni sulle orme del Vangelo.
- S.Em.R. Card. George PELL, Arcivescovo di Sydney (AUSTRALIA)
I vescovi sono chiamati a spianare la strada allo Spirito affinché operi con efficacia quando la Parola di Dio incontra le persone e le comunità. Ecco alcuni suggerimenti:
1. La formazione di gruppi di giovani e adulti laici che rendano testimonianza a Cristo nei circoli giovanili, nelle parrocchie, nelle scuole e nelle università.
2. Lo sviluppo di analoghi contemporanei delle "Sacre Rappresentazioni" medievali per portare al popolo la Parola di Dio. Le Vie Crucis della GMG a Sydney e Toronto ne sono due esempi; anche Oberammergau e il film "La passione di Cristo".
3. Sviluppare e sostenere reti sociali cattoliche online in internet, quali XT3, Cristo per il Terzo Millennio (www.x3.com), un "facebook" cattolico con circa 40.000 membri iniziato con la GMG di Sydney. Sua Santità Papa Benedetto ha rivolto un breve messaggio ai suoi utenti l'8 di settembre.
4. La promozione di un Istituto centrale per la traduzione della Bibbia, affinché essa venga tradotta più rapidamente e accuratamente nelle lingue locali dell'Asia, dell'Africa e dell'Oceania. Sarebbe utile una raccolta di fondi per finanziare il lavoro di traduzione.
5. Chiedere alla Congregazione per la Dottrina della Fede di fornire orientamenti sull'infallibilità nella Scrittura.
- S.Em.R. Card. Angelo SCOLA, Patriarca di Venezia (ITALIA)
Dei Verbum 25 esorta tutti i fedeli perché "si accostino volentieri al sacro testo mediante la pia
lettura ‘per piam lectionem'", connessa alla preghiera: "affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l'uomo". La pia lettura delle Scritture non può ridursi né a puro studio, né a semplice, immediata reazione. È relazione personale col Signore, perché "si può leggere la Bibbia senza fede, ma senza fede non si può scrutare la Parola di Dio" (IL 26a). La pia lettura riconosce che la Sacra Scrittura è testimonianza ispirata e normativa della Rivelazione. La radice della testimonianza della Scrittura è Gesù Cristo stesso, il testimone fedele dell'alleanza di Dio con gli uomini. Così la Scrittura può essere adeguatamente compresa solo dal testimone. Quindi, per essere pia la lettura della Scrittura deve passare da Testimone a testimone. La categoria di testimonianza mette in primo piano il soggetto ecclesiale (personale e comunitario) della pia lettura. Questa è la strada del realismo che evita ogni deriva fondamentalista e intellettualistica, rischi di letture che prescindono dalla testimonianza della Chiesa, luogo dell'ascolto credente della Parola. Questa comprensione della Scrittura garantisce l'autenticità della esperienza cristiana, ma richiede una comunione ecclesiale vissuta quotidianamente.
- S.Em.R. Card. Stanisław RYŁKO, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici (CITTÀ DEL VATICAN O)
Uno dei frutti più preziosi del concilio Vaticano II è stata indubbiamente la maggiore diffusione della Sacra Scrittura e la più approfondita conoscenza che il popolo di Dio ne ha acquisito, secondo gli orientamenti teologici e pastorali dati dalla costituzione dogmatica Dei Verbum. Ciò che ha significato pure la riscoperta del munus propheticum come dimensione sostanziale dell'identità del fedele laico (cfr. Lumen gentium, n. 35).
La riscoperta del posto della Parola di Dio nella vita dei battezzati è stata poi specialmente favorita da movimenti ecclesiali e nuove comunità. In effetti, i carismi che con tanta prodigalità lo Spirito Santo ha suscitato nel nostro tempo, quale tempestiva risposta alle sfide che il mondo lancia alla missione della Chiesa, hanno generato percorsi pedagogici e cammini di iniziazione cristiana incentrati per l'appunto sulla Parola di Dio letta, meditata, celebrata e annunciata (kerygma) -, che si rivelano di straordinaria efficacia. Per schiere di laici, movimenti e nuove comunità sono perciò diventati veri e propri "laboratori della Parola di Dio" nei quali si acquisisce familiarità con la Sacra Scrittura, s'impara a gustare la Parola di Dio e a viverla nelle ordinarie condizioni della vita laicale, nel cuore del mondo.
Per il rapporto dei battezzati con la Parola di Dio un altro grande segno di speranza viene dalle giovani generazioni. Le Giornate mondiali della gioventù hanno dato e continuano a dare un notevole contributo alla diffusione della conoscenza della Parola di Dio tra i giovani. Nel Messaggio per la Gmg 2006 Benedetto XVI scriveva ai giovani: "Costruire la vita su Cristo, accogliendone con gioia la parola e mettendone in pratica gli insegnamenti: ecco, giovani del terzo millennio, quale dev'essere il vostro programma!".
- S.E.R. Mons. Evarist PINTO, Arcivescovo di Karachi (PAKISTAN)
Il profeta Amos parla della fame di ascoltare la Parola di Dio (Amos 8, 11). Oggi, molti cattolici hanno fame e sete della Parola di Dio. Nel nostro paese, il Pakistan, oltre il 60 per cento delle persone sono analfabete e quindi non in grado di leggere la Sacra Bibbia, e tuttavia desiderano ascoltare la Parola di Dio. D'altro canto, molte persone ottengono ottimi risultati in ambito accademico ma sono illetterate per quanto riguarda la Parola di Dio. Molta della nostra gente, compresi sacerdoti e persone consacrate, è esperta di materie secolari ma incapace di impartire la conoscenza sublime della Bibbia alle persone che hanno fame e sete della Parola di Dio.
È incoraggiante sapere che la nostra gente semplice, che lotta con la povertà e la disoccupazione, ha fame della speranza e della consolazione che la Parola di Dio porta. Come la Chiesa offre il Corpo di Cristo dalla mensa dell'Eucaristia, così offre il Pane di Vita dalla mensa della Parola di Dio (Dei Verbum n. 21).
Sappiamo che insegnare e istruire il Popolo di Dio è il compito principale di vescovi, sacerdoti e diaconi. Come afferma la Dei Verbum: "Compete ai vescovi [...] ammaestrare opportunamente i fedeli loro affidati sul retto uso dei libri divini" (n. 25). Allo stesso modo, la conoscenza e la familiarità della Parola di Dio è di primaria importanza anche per i sacerdoti e i diaconi, in quanto collaboratori del vescovo.
Anche i laici condividono la responsabilità di portare la Parola ai fedeli. Rendiamo omaggio ai numerosi movimenti laici e ai gruppi nella Chiesa che hanno iniziato lo studio e l'insegnamento della Bibbia. Le persone consacrate non possono rimanere indifferenti alla fame e alla sete della Parola di Dio della nostra gente povera e semplice.
- S.E.R. Mons. Christo PROYKOV, Vescovo titolare di Briula, Esarca Apostolico di Sofia per i cattolici di rito bizantino-slavo residenti in Bulgaria (BULGARIA)
Il Signore parla all'uomo con la sua lingua. Nella Sacra Scrittura ognuno ritrova se stesso.
In Bulgaria dopo il crollo del regime ateo nel 1989 la gente sente una vera fame di Dio, cerca di conoscerlo. La Chiesa fa tutto il possibile per saziarla. Ecco perché da questo Sinodo si aspettano nuove indicazioni e programmi, scambio di esperienze non solo sull' annuncio della Parola di Dio, ma soprattutto sulla Parola di Dio vissuta nella quotidianità.
Si nota che la Lectio Divina attira i giovani. Cristo, il Verbo di Dio è accettato come il centro della Rivelazione e della fede. Spesso però la gente ha delle idee confuse per il rapporto tra la Tradizione popolare e il Magistero.
Delle difficoltà s'incontrano non solo per la mancata conoscenza della fede cristiana, ma perché la società in tutte le sue sfere è stata trascinata dal consumismo e veramente c'è tanto bisogno di testimoniare Dio attraverso una vita conforme alla Sua Parola.
I fedeli accolgono con fede la Parola di Dio, ma ci si accorge che un ruolo importante ha la testimonianza di vita familiare e la stessa spiritualità della persona che la annuncia.
È importante che la predica sia ben collegata con la Parola di Dio, spiegata in modo accessibile e comprensibile a tutti. Quando i fedeli capiscono bene la Parola di Dio essi si sentono figli di Dio pieni di gioia e di nuova speranza. Esempio per tutti i predicatori è Maria, la Madre di Gesù che ha detto: "Fate quello che vi dirà!".
- S.E.R. Mons. Freddy Antonio de Jesús BRETÓN MARTÍNEZ, Vescovo di Baní (REPUBBLICA DOMINICANA)
"Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito..." (Gv 3,16) e tanto amò la sua Chiesa che, nonostante la carne che attende di essere glorificata - la costituì, in quanto Corpo di Cristo, il Verbo Incarnato, Parola per il mondo. La Parola scritta di cui essa si nutre e da cui anche estrae - come il padrone di casa - le cose antiche e le cose nuove (Mt 13,52), è parte principale del tesoro che lo Spirito formò nel suo seno e che Dio le ha affidato.
La Scrittura è anche cuore della Chiesa e, sebbene lo apra a tutti, non le è permesso rinunciare al palpito proprio della sua natura teologica.
Questo santo Sinodo, in cui i nostri sentieri cercano di confluire nel Cammino di Cristo, farebbe bene a chiarire ancor di più che non è possibile amare in modo autentico la Parola senza amare la Santa Madre Chiesa con intensità simile a quella con cui la amano i santi e le sante.
- S.E.R. Mons. Guy-Paul NOUJAIM, Vescovo titolare di Cesarea di Filippo, Vescovo ausiliare di Joubbé, Sarba e Jounieh dei Maroniti (LIBANO)
Ho scelto di parlare di due argomenti del Documento di lavoro.
Il primo riguarda la necessità di accompagnare la lettura della Sacra Scrittura con una formazione teologica senza la quale, come hanno sottolineato molti Padri, la comprensione della Scrittura sarebbe limitata o deformata. La rapida argomentazione si sviluppa intorno al concetto teologico di "Parola" come nome del Figlio di Dio, che presenta una certa ambiguità per i profani. Un testo di sant'Efrem il Siro, indirizzato agli allievi della sua scuola di esegesi biblica e al popolo, illustra questa necessità di unire la lettura della Scrittura e la fede della Chiesa.
Il secondo riguarda l'ostacolo costituito da un'esegesi ideologica e politica della Sacra Scrittura, in particolare per quanto riguarda la questione della terra promessa da Dio a Israele nella Bibbia. Ancora oggi, qualcuno prende alla lettera tale promessa. È urgente che l'ermeneutica cattolica si faccia chiara su tale questione, affinché i credenti interessati possano ricevere la Bibbia nella sua totalità e verità.
- S.Em.R. Card. Renato Raffaele MARTINO, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti (CITTÀ DEL VATICANO)
Il Cardinale Martino si è soffermato a dare espressione ad alcune esigenze riferibili al rapporto tra Parola di Dio e dottrina sociale della Chiesa, rapporto essenziale a definire la natura di tale dottrina, anche se bisognoso di approfondimenti e puntualizzazio
ni. Quando con la sua ‘dottrina' sociale la Chiesa si rivolge all'uomo, pensa a lui "non solo nella luce della esperienza storica, non solo con l'aiuto dei molteplici metodi della conoscenza scientifica, ma in primo luogo alla luce della Parola rivelata del Dio vivente"! La fede suscitata dalla Parola di Dio deve costituire , pertanto, come è ben evidenziato nei primi capitoli del Compendio della dottrina sociale, l'orizzonte sempre presente e imprescindibile della dottrina sociale. Il secondo punto segnalato riguarda il rapporto tra studio della Sacra Scrittura e della dottrina sociale, per evitare impostazioni errate ed estreme. Si deve tener presente che sia lo studio della Sacra Scrittura, sia della dottrina sociale, pur adoperando strumentazioni concettuali e metodologiche diverse, sono comunque un conoscere "nella fede". Il Cardinale ha auspicato una maggiore e feconda correlazione tra studio della Scrittura e della dottrina sociale. Nella Sacra Scrittura è possibile riscontrare le linee maestre della dottrina sociale, come l'opzione preferenziale per i poveri, l'impegno nella promozione della giustizia, il principio della destinazione universale dei beni che sono di chiara derivazione biblica.
- S.E.R. Mons. Joseph AKÉ, Vescovo di Yamoussoukro (COSTA D'AVORIO)
Nel corso dei nostri scambi, abbiamo dato uno sguardo critico alle nostre omelie che sono insipide, non fanno presa, non mantengono desti.
Abbiamo suggerito corsi di formazione in omiletica e la redazione di un direttorio per le omelie.
Vi abbiamo aggiunto una buona e solida formazione dei lettori.
Ma credo che c'è un elemento fondamentale che non dobbiamo dimenticare né nascondere e che conviene ricordare. Tale elemento lo troviamo nell'incontro di Gesù con la Samaritana (Gn 4,1-42).
Dopo la testimonianza della Samaritana che ha portato a Gesù i suoi concittadini, questi hanno esclamato, rivolgendosi alla donna: "Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo" (Gv 4, 42).
Anche l'evangelista Matteo ci riferisce questo a proposito del Centurione in piedi davanti alla Croce.
Non possiamo non evocare l'esperienza folgorante e sconvolgente di Paolo sulla via di Damasco; incontro che egli ricorda tre volte nel libro degli Atti. Che cosa è successo esattamente nel cuore di quei samaritani, di questo Centurione e dei suoi compagni, di Paolo, l'Apostolo dei Gentili?
In ogni caso il messaggio ha raggiunto il bersaglio, l'obiettivo è raggiunto e questo è l'essenziale.
Ecco, a mio umile avviso, il fine di tutte le nostre ricerche, i nostri scambi, le nostre condivisioni. Condurre i nostri fedeli e quanti si faranno colpire dalla nostra predicazione a fare questa esperienza personale e unica dell'incontro con Gesù. Occorrerebbe che arrivassero a ciò. "Io credo non perché abbia ascoltato l'omelia di tal Vescovo, di tale sacerdote carismatico, ma perché io stesso ho incontrato Gesù".
- S.Em.R. Card. Jean-Louis TAURAN, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (CITTÀ DEL VATICANO)
La parola ha sempre avuto un ruolo decisivo per la comprensione del fenomeno religioso. A poco a poco si è costituito un patrimonio di esperienze spirituali. È stato trasmesso ed interpretato. Così sono nati i "libri sacri". Tutte le grandi religioni possiedono i loro Libri sacri. L'Islam, in particolare, è considerato dai suoi adepti come la "religione del Libro" per eccellenza.
Questi libri sono definiti "sacri", perché coloro che vi fanno riferimento ritengono che essi provengano da un Altrove, che siano stati trasmessi da persone ispirate e che rivelino qualcosa del mistero del mondo visibile ed invisibile.
Da queste religioni, i cristiani possono imparare molto, anche se il Cristianesimo non può essere incluso fra le "religioni del Libro". Sarebbe opportuno che i futuri sacerdoti, religiosi e gli agenti pastorali fossero formati alla lettura diretta dei testi fondanti delle altre religioni invece di accontentarsi di un commento.
Ma è altrettanto importante far conoscere la Bibbia ai nostri interlocutori nel dialogo interreligioso, in particolare il nostro approccio ermeneutico del testo sacro.
Nel condividere i nostri rispettivi patrimoni spirituali, senza irenismo né sincretismo, saremo portati a scoprire che siamo tutti uomini e donne desiderosi di essere istruiti da Dio.
- S.E.R. Mons. Walmor OLIVEIRA DE AZEVEDO, Arcivescovo di Belo Horizonte (BRASILE)
La Quinta Conferenza dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, riflettendo sulle sfide della missione, particolarmente rispetto all'esodo di molti cattolici dalla Chiesa, conclude:
"Secondo la nostra esperienza pastorale, molte volte la gente sincera che lascia la nostra Chiesa non lo fa per quel che i gruppi 'non cattolici' credono; ma fondamentalmente per quel che loro vivono; non per motivazioni strettamente dogmatiche ma pastorali; non per problemi teologici ma metodologici all'interno della nostra Chiesa. In realtà, molti che passano ad altri gruppi religiosi non vogliono abbandonare la nostra Chiesa, ma cercano sinceramente Dio" (DA 225).
Le sette sono davvero nel nostro contesto e in altri una enorme sfida. I vari contributi dei Padri sinodali convergono verso una comprensione che si dimostra sempre più comune: la necessità di avere una stretta connessione fra il mistero celebrato e il mistero testimoniato, fra la Parola proclamata ed ascoltata e la parola ascoltata e fruttificata. Il Santo Padre ne parla a proposito della performatività della Parola (cf. Instrumentum Laboris 39).
È da notare che le persone che riempiono le varie sette nei nostri diversi contesti, sono quasi sempre originarie dal cattolicesimo. Basta che passino a queste sette, cambiano il loro modo di comportarsi. Assumono dei degni comportamenti morali, lasciando ciò che ritengono indegno della loro nuova vita da credenti. Quindi, la Parola che ascoltano diventa performativa nella loro vita, alimenta la loro spiritualità e la loro scelta per una testimonianza dei valori religiosi che ora interiorizzano.
Perché la performatività della Parola non li toccava mentre erano cattolici? Che hanno trovato in queste sette, che prima non avevano incontrato nelle nostre comunità? Un'analisi della questione ovviamente esulerebbe dal nostro proposito in questo momento.
Il numero 22 della Dei Verbum ci ricorda che i fedeli devono avere un largo accesso alla Sacra Scrittura. Questo desiderio così sublime, non può che animarci ad impegnarci per il conseguimento di tale scopo. D'altra parte, tuttavia, ci interpella il fatto che davanti a tante persone che hanno sete e fame di Dio e della sua Parola, ci manchino apostoli della Buona Novella di Cristo che possano andare incontro ai bisogni dei tanti fedeli.
- S.Em.R. Card. Odilo Pedro SCHERER, Arcivescovo di São Paulo (BRASILE)
Viviamo in un'epoca di grande mobilità umana; le persone viaggiano, visitano altri paesi, fanno interscambi culturali, cercano lavoro e mezzi per sopravvivere. È impressionante il numero delle persone che vivono attualmente fuori del loro paese natio! In molti casi esse sono vittime di spostamenti forzati. Non intendo trattare propriamente del problema pastorale degli immigrati, ma accennare al fatto che questo fenomeno rappresenta anche una grande occasione missionaria per la Chiesa. Quindi gli immigranti non dovrebbero essere visti semplicemente come oggetto di preoccupazione pastorale: essi sono, oppure possono diventare veri missionari!
Non fu diverso in passato, quando molti europei di diverse nazioni emigrarono verso l'America del Nord e del Sud, oppure verso l'Africa e l'Oceania; le famiglie cattoliche precedettero i sacerdoti e i religiosi; esse furono missionarie e portarono con sé la loro fede, dandole espressione in un nuovo contesto sociale e culturale. E non fu diverso all'inizio del cristianesimo; la comunità di Gerusalemm
e, perseguitata dopo il martirio di Stefano, si disperse in altri paesi, portando con sé il Vangelo di Cristo e fondando comunità cristiane (cf At 8, 4). Con San Paolo possiamo dire: "La Parola di Dio non è incatenata...", ma si va diffondendo grazie alla testimonianza di Cristo, che portano con sé coloro che credono (cf 2Tm 2, 9).
Dinanzi a quanto detto sopra, credo che il Sinodo potrebbe raccomandare specialmente due cose:
1) Incoraggiare le persone che si trovano in situazioni di migrazione, oppure in viaggio, a portare con sé la Parola di Dio, e persino il libro della Sacra Scrittura, consapevoli che portano una ricchezza che non ha prezzo e non è limitata per ragioni geografiche o culturali, ma è un dono da vivere nella nuova patria e da condividere con il popolo che li accoglie.
2) A coloro che ricevono gli immigranti nei loro luoghi di destinazione, si potrebbe raccomandare un atteggiamento di positiva accoglienza di questi fratelli, che vengono da altre nazioni portando nel loro bagaglio ''la buona notizia", favorendo il loro inserimento nelle comunità locali e la condivisione delle esperienze di fede e di vita cristiana che portano con se.
- S.Em.R. Card. Seán Baptist BRADY, Arcivescovo di Armagh, Presidente della Conferenza Episcopale (IRLANDA)
I partecipanti a un recente incontro fra le Chiese in Irlanda sono stati invitati a lavarsi i piedi gli uni gli altri mentre ascoltavano il racconto di come Gesù lavò i piedi dei suoi discepoli all'Ultima Cena. Questo rito fortemente esperienziale di "inter-comunione" nella Parola li ha portati a un nuovo livello di impegno personale ed ecclesiale.
Il contributo della tradizione protestante allo studio biblico è stato immenso. Affermare che l'accento posto dalla Riforma sulla necessità di migliorare l'accesso alle Scritture è stato un elemento dal quale tutti i cristiani hanno tratto beneficio, può aiutare a sanare il passato.
I predicatori hanno bisogno di una preparazione adeguata e di aiuto costante nel loro lavoro. È auspicabile che gli esegeti, i teologi e i liturgisti lavorino insieme per aiutare i ministri della Parola a dire ciò che lo Spirito Santo vuole che la Chiesa dica al mondo nel tempo attuale.
Le moderne tecnologie della comunicazione danno alla Chiesa straordinarie possibilità per trasmettere i suoi messaggi fino ai confini della terra. È auspicabile che il Sinodo offra dei suggerimenti pratici per consentire alla Chiesa di trarre pieno vantaggio da questa opportunità.
La Parola di Dio è una realtà permeata della presenza di Dio. Come l'Eucaristia, anche la Parola è un viatico, un nutrimento per il cammino della vita, un nutrimento per il cammino della vita coniugale. Dinanzi alla particolari sfide che la famiglia deve affrontare oggi, una delle cose che potremmo imparare con profitto dalla tradizione protestante è la consuetudine di avere una Bibbia in casa e di leggerla spesso in famiglia.
- S.E.R. Mons. Thomas MENAMPARAMPIL, S.D.B., Arcivescovo di Guwahati (INDIA)
Il mio è un quesito missionario: come facciamo a portare la "Parola" a quanti non vengono in chiesa, a chi non ha mai ascoltato il Vangelo? Come facciamo a trovare ascoltatori in contesti informali, come ha fatto Gesù, e ad adattare il nostro messaggio a culture diverse, come ha fatto Paolo? Come facciamo a portare la "Parola" nei mercati, negli ospedali, nelle scuole, nelle università, nei parlamenti, nei mezzi di comunicazione, negli sport e nell'atletica, vale a dire nel mondo del commercio, della politica, della scienza, della bioetica, dei media, dell'arte, dello spettacolo; nei luoghi più secolarizzati (cf Documento di lavoro 53). Chiedo che, dove non riusciamo ad arrivare noi, lo facciamo attraverso gli altri; che rimaniamo creativi dal punto di vista pastorale, in modo che, dove non possono giungere i nostri membri, possano giungere le nostre idee; che sviluppiamo capacità e mettiamo a punto strategie necessarie a persuadere e a convincere, non a rifiutare e respingere (IL 57), affinché la "Parola" diventi un potere dinamico nella storia (cf IL 10).
Vorrei andare oltre. La "Parola" di Dio deve essere portata nelle situazioni di conflitto, ai giovani armati, nei contesti di ingiustizia e di povertà assoluta. Non cerchiamo di conquistare l'ascolto attraverso ipocrite condanne, pretese di verità e presunzione di più alte basi morali, ma con una sollecitudine umana visibile, un'impegno verso i sofferenti ispirato al Vangelo, con l'attenzione nei confronti delle diverse sensibilità culturali. La "Parola" rivela il suo potere nei contesti reali di vita; sfida le società ingiuste, riconcilia, sostiene i poveri, porta la pace.
Un ultima osservazione. Mentre riconosciamo il rapporto speciale con l'Ebraismo e l'Islam per ragioni storiche, perché non esprimere la nostra vicinanza a quelle comunità che hanno valori e pratiche simili ai nostri? Per esempio al Buddismo, con le sue tradizioni di rispetto per la vita, monachesimo, rinuncia, celibato, contemplazione, silenzio; all'Induismo, che annovera anche il concetto di "sacrificio", tradizioni di rituali, rubrica, processioni, uso di immagini, acqua santa, pellegrinaggi, digiuni; al Confucianesimo con il suo profondo attaccamento ai valori familiari, ordine sociale, rispetto per gli anziani (cf IL 56)? Presi insieme, essi rappresentano oltre metà dell'umanità.
- S.E.R. Mons. Faustino ARMENDÁRIZ JIMÉNEZ, Vescovo di Matamoros (MESSICO)
"Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni" (At 2, 32). Anche noi siamo testimoni di Cristo, morto e risorto. Da un lato, ci troviamo ad affrontare la sfida inquietante della diffusione globalizzata, pervasiva e aggressiva di una cultura, o sottocultura, estranea e ostile alla nostra tradizione cristiana cattolica. Dall'altro, ci troviamo a far fronte anche a un'altra terribile sfida, ovvero la comparsa di diverse proposte religiose che cercano di rispondere, a modo loro, alla sete di Dio manifestata dal nostro popolo. Questi due fenomeni stanno sconcertando e confondendo i nostri fedeli, scuotendo e dissanguando la nostra Chiesa. "Non possiamo restare tranquilli in attesa passiva nei nostri templi... Urge che usciamo da lì e andiamo in tutte le direzioni..." (DA 548).
Parlando dei Vescovi nel ministero della Parola, l'IL 48 esprime l'impegno missionario di noi pastori. Questo impegno missionario e tutta la nostra vita, li dovremo fondare sulla roccia della Parola di Dio.
Proposte: 1a. L'annuncio kerigmatico casa per casa, comunità per comunità (At 9, 40). Dopo che gli apostoli furono stati con Gesù, il Signore li mandò a predicare (Mc 3, 14); non aspettiamo che vengano, ma dobbiamo andare a cercarli e trasformiamo in realtà la parabola della pecorella smarrita, con la differenza però che andremo a cercare le 99 lasciando quella di cui siamo certi, cioè dovremo essere pescatori di uomini, piuttosto che prenderci cura degli acquari. 2a. Parlare della Parola e lasciare anche parlare la Parola, perché la Parola è "forza di Dio" o come testimonia San Paolo, "la mia Parola... manifestazione della potenza di Dio" (cf 1 Cor 2, 4-5); essere discepoli e servitori della Parola, piuttosto che possessori della Parola. La Parola ha la forza (dynamis) di farci tornare dal Colle Vaticano come Mosè sotto il Monte Sinai, con volto radioso che illumini, o meglio ancora, come Gesù sul Monte Tabor: non era il suo volto ad essere illuminato, era lui luminoso e per questo irradiava luce. Possiamo, noi pastori, essere "lettera di Cristo" per gli altri (2 Cor 3, 3). È lo Spirito Santo che chiama, che illumina, che dà slancio e accende la passione per la missione, perché è Lui il vero protagonista della missione.
- Rev. P. Joseph William TOBIN, C.SS.R., Superiore Generale della Congregazione del Santissimo Redentore
Il mio punto di partenza è il numero 52 del Documento di lavoro, che esprime alcune aspettative che la Chiesa nutre nei confronti dei membri di vita consac
rata. Tale forma di discepolato potrebbe offrire a questo Sinodo un esempio da proporre al Popolo di Dio per spiegare il tipo di "obbedienza della fede" (Rm 16, 26) che dobbiamo riservare a Dio: "A Dio che rivela è dovuta ‘l'obbedienza della fede' con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente" (Dei Verbum, 5). Questa obbedienza radicale, richiesta a ogni credente, viene pubblicamente vissuta dai consacrati. Voglio sottolineare tre aspetti di questa risposta: vita consacrata come obbedienza alla Parola fattasi carne in Gesù Cristo, obbedienza alla Parola che parla attraverso i segni dei tempi e dei luoghi e l'obbedienza imparata attraverso la sofferenza.
- S.Em.R. Card. Agostino VALLINI, Vicario Generale di Sua Santità per la diocesi di Roma (ITALIA)
Perché il maggior numero possibile di uomini e donne, battezzati e non, possano incontrare Dio che parla alla loro vita, è decisiva l'azione dei pastori. Solo la convinzione vissuta della centralità della Parola di Dio da parte dei sacerdoti (e degli altri ministri della Parola) farà sì che gradualmente la stessa convinzione entri nella vita dei fedeli. A tale scopo va curata la formazione biblica dei candidati al ministero presbiterale.
La formazione delle facoltà teologiche sia integrata con cammini formativi dei seminari che favoriscano un accostamento più spirituale alla Parola di Dio per la vita. Certamente non mancano buone iniziative al riguardo (lettura sapienziale della Sacra Scrittura e Lectio divina, ecc.), ma sarebbe da prevedere uno spazio formativo maggiore all'approfondimento della Parola di Dio, arricchito dalla conoscenza dei Padri, e condotto da guide spirituali che sappiano accompagnare i candidati al sacerdozio all'acquisizione di una solida spiritualità biblica.
La centralità della Parola di Dio nel ministero pastorale è oggi più sentita che in passato, ma si avverte ancora la difficoltà a percorrere "vie nuove" rispetto ad una pastorale che cura i fedeli con una proposta soprattutto sacramentale. Non mancano esperienze apprezzabili, ma siamo lontani dal raggiungere la convinzione diffusa e praticata che il servizio della Parola è centrale nella pastorale ordinaria della comunità ecclesiale.
Il Sinodo dovrebbe incoraggiare molto la prassi settimanale della lettura commentata e pregata della Parola di Dio in ogni parrocchia e comunità ecclesiale, a cura del parroco, nella forma della Lectio divina o in altre forme ritenute più adatte al contesto. Questo fondamentale impegno andrebbe previsto nei piani pastorali diocesani, con l'offerta di sussidi accessibili e di itinerari di preparazione, non solo culturale, di operatori pastorali disposti, sotto la guida dei parroci, a guidare gruppi di ascolto della Parola di Dio da tenersi dovunque, anche nelle case.
- S.E.R. Mons. Freddy Jesús FUENMAYOR SUÁREZ, Vescovo di Los Teques (VENEZUELA)
Questo Sinodo sulla Parola di Dio pone l'accento sulla "parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino" (DV 9); sulla sacra Scrittura nella vita della Chiesa e sulla sua missione evangelizzatrice. In altre parole, il fine di questa assemblea sulla Parola di Dio è prevalentemente pastorale e missionario (IL 4), come dice il Documento di lavoro al n. 4, senza trascurare per questo la necessità di approfondire le ragioni dottrinali: Parola di Dio, tradizione viva, sacra Scrittura, funzione del Magistero.
Voglio riferirmi al n. 53, specificamente al 1° paragrafo che inizia con una citazione della DV 22: "È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla sacra Scrittura", aggiungendo inoltre che oggi è un requisito indispensabile per la missione. In tal senso, vorrei fare un commento che riguarda la regione del mondo dalla quale provengo: l'America Latina. Le affermazioni della Dei Verbum sul posto che occupa la Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ha avuto in questo paese una forte eco. L'accoglienza della Costituzione Dei Verbom si è manifestata a soli tre anni dalla fine del Concilio Vaticano Secondo nella seconda Conferenza Generale dell'Episcopato latinoamericano tenutasi a Medellìn, in Colombia, nel 1968 e, successivamente nelle Conferenze generali di Puebla (Messico 1979), Santo Domingo (Rep. Dominicana 1992) e Aparecida (Brasile 2007). Il moltiplicarsi delle comunità di base, la riflessione dei gruppi cristiani sulla propria vita e l'impegno per la giustizia, l'evangelizzazione e la missione sono stati una buona occasione affinché la Parola di Dio trasmessa nella Bibbia ricoprisse un importante ruolo nella pastorale della Chiesa e nella vita dei cristiani e delle comunità.
Promossa dall'insegnamento dei vescovi latinoamericani, nel corso di questi quarant'anni dopo il Concilio Vaticano Secondo, la chiamata pastorale biblica ha avuto un importante sviluppo, che ha dato frutti abbondanti per mezzo di incontri, laboratori e diffusione della pratica della lectio divina, il ripetersi della interessante esperienza degli incaricati della Parola e altre attività pastorali in molti luoghi. Va segnalata inoltre, in questa sede, l'azione sistematica e organica del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM), negli ultimi tre anni, attraverso il Centro di Pastorale Biblica, nonché della Federazione Biblica Cattolica Internazionale e di altre organizzazioni, senza dimenticare la valida e costante collaborazione delle Società Bibliche unite, che ci colloca in una interessante prospettiva ecumenica. Tutti questi sforzi hanno contribuito a far sì che la Bibbia sia sempre più conosciuta e vissuta in America Latina, propiziando l'incontro con Gesù Cristo e la comunione nell'amore.
- S.E.R. Mons. Fulgence MUTEBA MUGALU, Vescovo di Kilwa-Kasenga (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)
Il mio intervento si riferisce ai numeri 48 e 53 del Documento di Lavoro, in complementarità con gli altri numeri che trattano della comunicazione di verità e dell'uso dei media nell'annuncio della Parola di Dio. Questo intervento ha come fine di mettere in evidenza il carattere performativo, attivo e vivo della Parola di Dio. Esso ha un duplice fondamento. In primo luogo, si fonda sul fatto che Gesù ha proclamato il messaggio di salvezza con autorità e competenza (Mt 7, 29). Gli Apostoli e, in seguito, i Padri della Chiesa hanno fatto allo stesso modo. In secondo luogo, con Papa Giovanni Paolo II, occorre riconoscere che "il primo aeropago del tempo moderno è il mondo della comunicazione"(Giovanni Paolo II citato nel Documento di Lavoro, n. 53). Come Inter mirifica, raccomando il buon uso delle comunicazioni sociali nella proclamazione della Parola di Dio.
Vorrei insistere sul fatto che, per colpire di più gli uomini e le donne di oggi, l'annuncio della Parola di Dio deve armonizzarsi in maniera equilibrata con la cultura mediatica. Non si tratta solamente di far uso di questi media, cosa che mi sembra evidente e oggi ampiamente intrapresa in numerosi ambienti, ma di acquisire una sana cultura mediatica nel procedimento di annuncio della Parola di Dio. Ciò equivale a far propria Inter mirifica e a scrivere una nuova pagina delle comunicazioni, che sia in rapporto con la natura della Parola da proclamare e rispettosa sia della dignità che della libertà di chi ascolta.
Propongo, da un lato, che coloro che sono incaricati di annunciare la Parola si inizino alle sfide di una comunicazione efficace e che questa iniziazione sia un capitolo dell'apostolato biblico; d'altro lato, mi sembra urgente la necessità di esorcizzare la paura dei media che caratterizza molti agenti pastorali e di inaugurare ciò che il Papa, a buon diritto, definisce "media-etica". Mi sembra giunta l'ora di non accontentarsi più di dire con san Paolo "guai a me se non predicassi il Vangelo", ma "guai a me, se non predicassi il Vangelo in modo efficace".
- S.E.R. Mons. Diarmuid MARTIN, Arcivescovo di Dublin (IRLANDA)
Numerosi interventi hanno trattato della complessa situazione culturale in cui l'uom
o di oggi riceve la proclamazione della Parola di Dio. Parlo in quanto vescovo di una diocesi in cui, negli ultimi anni, un clima di secolarizzazione si è inserito drammaticamente e rapidamente in una cultura che, fino a non molto tempo fa, era caratterizzata da una forte presenza di fede. Esistono ancora alla base elementi di una cultura religiosa tradizionale, ma purtroppo per molte persone le Scritture sono in realtà un territorio inesplorato, quasi estraneo.
Spesso penso al racconto evangelico, in Marco al capitolo 6, della visita di Gesù nella sua città, quando i suoi concittadini, nonostante tutte le informazioni che avevano su di lui e sulla sua famiglia, rimasero intrappolati in un atteggiamento mentale che impediva loro di giungere alla comprensione del suo messaggio e della sua vera identità, al punto che Gesù non operò alcun miracolo per la loro mancanza di fede.
Molti dei nostri contemporanei hanno qualche conoscenza di Gesù basata sulla catechesi dell'infanzia, ma potrebbero non aver mai avuto l'esperienza di un autentico incontro con lui. In un clima secolarizzato, queste superficiali vestigia di conoscenza religiosa, come è accaduto per i concittadini di Gesù, possono perfino rappresentare un impedimento a sviluppare una fede più profonda.
Ma l'episodio narrato in Marco 6 non finisce con il rifiuto di Gesù da parte dei suoi e con il suo non operare miracoli per loro. Significativamente, Gesù incontra alcuni malati e li guarisce. La fede di questi malati è posta in netto contrasto con quella dei suoi concittadini.
Nei Vangeli osserviamo che la proclamazione della Buona Novella di Gesù era accompagnata in moltissime occasioni dalla sua sollecitudine verso gli ammalati e dalla consolazione di quanti vivevano nell'afflizione e nell'angoscia. La proclamazione della Parola e l'esercizio della carità concreta viaggiano insieme: in un certo senso le Scritture possono essere comprese soltanto attraverso una specie di ermeneutica della carità.
Le nostre risposte pastorali, per estendere l'accesso alla Parola di Dio, devono essere differenziate. La lettura è diventata sempre più un passatempo del ceto medio. I più poveri, pur non essendo illetterati, leggono poco più delle pagine sportive dei giornali. Occorre, pertanto, trovare modi nuovi - visivi piuttosto che verbali, esperienziali piuttosto che puramente intellettuali - per introdurli nuovamente in una cultura della parola.
- S.E.R. Mons. Stanisław GĄDECKI, Arcivescovo di Poznań (POLONIA)
Nel numero 55, intitolato: "La Parola di Dio fonte del dialogo tra cristiani ed ebrei", Instrumentum laboris leggiamo: "Una peculiare attenzione va data alle relazioni con il popolo ebraico. Cristiani ed ebrei sono insieme figli di Abramo, radicati nella stessa alleanza, giacché Dio, fedele alle sue promesse, non ha revocato la prima alleanza (cf. Rm 9, 4; 11, 29). Tuttavia, ciò che non viene toccato in questo numero è la questione dell' unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo di fronte al popolo ebraico.
Il no alla Missione Cristiana nei Confronti degli Ebrei.
Da un lato conosciamo bene l'esposizione del Dominus Iesus, la quale dichiara che la grazia di Dio - che, secondo la nostra fede, è la grazia di Gesù Cristo - è a disposizione di tutti. Di conseguenza, la Chiesa crede che l'Ebraismo, cioè la risposta fedele del Popolo ebreo all'alleanza irrevocabile di Dio, è per esso fonte di salvezza, perché Dio è fedele alle sue promesse.
Così missione, in senso stretto, non può essere utilizzato a proposito degli Ebrei, che credono al Dio unico e vero. Di conseguenza non esiste alcuna organizzazione cattolica di missione nei confronti degli Ebrei.
L'Unicità e l'Universalità Salvifica di Gesù Cristo
D'altra parte bisogna dire che molti cattolici non sanno come concordare il no alla missione cristiana nei confronti degli ebrei, con le testimonianze provenienti dall'età apostolica, le quali testimoniano chiaramente il fatto della presenza della missione apostolica rivolta proprio agli ebrei.
Nel Nuovo Testamento, la volontà salvifica universale di Dio viene strettamente collegata all'unica mediazione di Cristo: «[Dio] vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (l Tm 2, 4-6).
È su questa coscienza del dono di salvezza unico e universale offerto dal Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito (cf. Ef 1, 3-14), che i primi cristiani si rivolsero a Israele, mostrando il compimento della salvezza che andava oltre la Legge, e affrontarono poi il mondo pagano di allora, che aspirava alla salvezza attraverso una pluralità di dèi salvatori" [Dominus Iesus, 13].
- S.B.Em. Card. Nasrallah Pierre SFEIR, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Capo del Sinodo della Chiesa Maronita (LIBANO)
Faccio riferimento al n. 56 del Documento di Lavoro che tratta del dialogo religioso e, in particolare, dei rapporti fra cristiani e musulmani. Questo rapporto fra i fedeli di queste due religioni risale indietro nel tempo nella storia del Libano, anzi addirittura al principio dell'Islam, ovvero all'inizio del VII secolo.
Nel Documento di Lavoro leggiamo che: "la Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini".
Questo stesso documento menziona l'incontro di Assisi che ha avuto luogo nel 1996 e il Santo Padre Benedetto XVI, a questo proposito, ha detto: "Noi vogliamo ricercare le vie della riconciliazione e imparare a vivere rispettando ciascuno l'identità dell'altro".
Il Libano si caratterizza per questa cordialità islamico-cristiana dopo la comparsa dell'Islam, nonostante alcune difficoltà che hanno segnato la loro storia comune. In questi ultimi tempi, cioè da una quarantina d'anni, questa cordialità islamico-cristiana è divenuta tanto più difficile in quanto ingerenze esterne sono intervenute a complicare maggiormente la situazione.
Non vogliamo parlare di politica , ma riferiamo un fatto. Il fatto è che la situazione dei cristiani del Libano sta diventando sempre più critica e difficile. Diminuiscono di numero, ogni anno di più. Da una quarantina d'anni oltre un milione di libanesi, sia musulmani che cristiani, avrebbe lasciato il paese per stabilirsi in altri paesi occidentali. Se l'emigrazione continuerà di questo passo, ci si può domandare, senza essere pessimisti, quanti cristiani resteranno in questo Oriente
cristiano in cui Cristo è nato, vissuto e morto sulla croce per riscattare il genere umano.
Nonostante tutto, non possiamo disperare. Quando si ha la fede, per ciò stesso, si deve avere la speranza. Grazie a Dio, abbiamo la fede e la speranza, poiché continuiamo ad avere degli intercessori in Cielo.
- S.Em.R. Card. Godfried DANNEELS, Arcivescovo di Mechelen-Brussel, Presidente della Conferenza Episcopale (BELGIO)
Gli ostacoli che si incontrano nell'annuncio della Parola sono molteplici: difficoltà di comunicazione, cultura e ambiente secolarizzati, resistenza e ignoranza da parte di chi ascolta. Ma forse l'ostacolo più grande sta nel cuore dell'evangelizzatore stesso: la sua mancanza di fiducia e la sua mancanza di conoscenza delle leggi dell'annuncio del Vangelo, che sono diverse da quelle del mondo. In Mc 4 Gesù risponde a questo con tre parabole e un paragone tratto dalla vita quotidiana.
La parabola del seminatore. Malgrado tutti gli ostacoli (spine, terra battuta, sassi) nel campo da seminare, da qualche parte c'è sempre della terra buona che darà frutto. Seminate dunque: ci sarà sempre una messe, anche se non sapete necessariamente dove. Però seminate, dice Gesù.
La parabola del seme che germoglia da solo. Il contadino getta il seme in terra e poi va a dormire. Durante la notte non si alzerà per andare a verificare s
e germoglia. Poiché "il seme germoglia e cresce", dice Gesù. Il successo non dipende affatto dalle nostre attenzioni né dalla nostra impazienza di verificare. Seminate, dice Gesù, senza preoccuparvi e con tanta pazienza: la messe arriverà.
La parabola del granello di senape. Il seme più piccolo produce un albero più grande di tutti gli altri e tutti gli uccelli del cielo potranno costruirvi il loro nido. Nel regno di Dio non esiste proporzione tra investimento e risultato, come invece avviene nel mondo bancario degli uomini. Seminate, dice Gesù, anche se il granello sembra così piccolo.
La lampada sul lucerniere. Se avete acceso una lampada, non mettetela sotto il letto. Lasciatela risplendere per tutti. È semplice logica umana e divina. Chi comincia deve continuare, dice Gesù. È la logica stessa.
Vi sono però fratelli e sorelle che non riescono a percepire la semplice luce naturale della lampada: sono i ciechi e coloro che vedono male. Pensate anche a loro, dice Gesù. Assicurate loro un più facile accesso alla Parola di Dio. Attraverso altri mezzi tecnici.
- S.E.R. Mons. Patrick Daniel KOROMA, Vescovo di Kenema (SIERRA LEONE)
Sono qui in rappresentanza della Conferenza Episcopale della Sierra Leone e del Gambia. Abbiamo cercato di esaminare tutte e tre le parti del Documento di lavoro.
Riguardo alla prima parte: il mistero di Dio che ci parla, in particolar modo al Capitolo II; la Bibbia come Parola ispirata di Dio e come verità. Abbiamo notato che la diffusa affermazione che i cattolici hanno un basso livello di conoscenza della Bibbia non è più vera.
Ci siamo concentrati particolarmente sulla seconda parte: la Parola di Dio nella vita della Chiesa; la Parola di Dio nell'Antico e nel Nuovo Testamento; e la Parola di Dio che si è fatta carne, che è venuta fra noi e che continua a essere udita nella proclamazione della Parola, resa visibile nella celebrazione dei sacramenti e in altri servizi, nonché nella vita dei nostri fedeli.
La Bibbia è il mezzo principale attraverso cui cerchiamo la direzione di Dio nelle diverse circostanze della nostra vita, la guida determinante per le nostre vite, ciò che Dio vuole da noi e ciò che Dio ci sta chiamando a essere.
Nei nostri paesi abbiamo visto che sono due i modi in cui la gente si avvicina alla Parola di Dio:
1 nelle celebrazioni liturgiche
2 nelle piccole comunità cristiane e nei gruppi di preghiera. È là che la Parola di Dio viene interpretata, la Bibbia trasformata da parola in spirito, da memoria passata in evento presente, che dà senso nuovo e porta all'azione.
Infine, in quanto comunità di evangelizzazione, abbiamo osservato, nella terza parte, che la Parola di Dio è centrale nell'opera di evangelizzazione, che la Bibbia dovrebbe esser al centro della nostra opera di evangelizzazione.
- S.E.R. Mons. Evaristus Thatho BITSOANE, Vescovo di Qacha's Nek, Presidente della Conferenza Episcopale (LESOTHO)
Un esiguo numero di nostri giovani del Lesotho ha partecipato alle Giornate Mondiali della Gioventù di Colonia e Sidney. Le loro esperienze, attraverso la testimonianza di altri giovani di altri paesi cattolici del mondo, li hanno convinti che la Parola di Dio ha una risposta per molti problemi della vita. Programmi televisivi e radiofonici popolari non riescono a dare loro soluzioni significative e durature. Dopo aver interagito con altri giovani di tutto il mondo, essi comprendono che il vero amore e la vera sollecitudine per gli altri, opposti all'egoismo, sono le sole cose che danno loro una gioia duratura. Sono consapevoli che la maggior parte delle loro tristi situazioni è il risultato diretto dell'egoismo. Hanno imparato che l'unico modo per cambiare la società è di essere guidati dalla Parola di Dio. Molti di questi giovani sono ora disposti ad andare in diverse parti del paese per condividere le loro esperienze con altri giovani.
Purtroppo la Conferenza, a causa della mancanza di fondi, non è in grado di mantenere in attività il Dipartimento di Apostolato Biblico. La Conferenza ha comunque avviato una campagna per raccogliere fondi nel paese. Se questa avrà successo, la Conferenza potrà gestire dei programmi che aiuteranno i giovani a risolvere i loro problemi, basandosi sulla Parola di Dio.
Sono convinto che solo i giovani possano aiutarsi reciprocamente e che la testimonianza di coloro che hanno sperimentato l'amore di Dio possa aiutare gli altri. I giovani sono i futuri leader dei nostri paesi e, se sono guidati dalla Parola di Dio, possono aiutare i nostri paesi ad evitare disastri nel futuro.
Il Santo Padre ci ha dato un esempio con queste Giornate Mondiali della Gioventù. Per molti giovani dei nostri paesi poveri non è possibile parteciparvi, ma penso che sia possibile organizzare a livello diocesano o nazionale qualcosa di simile alle Giornate Mondiali della Gioventù, in cui i giovani possano celebrare insieme la forza e la gioia della Parola di Dio.
- S.E.R. Mons. Antony DEVOTTA, Vescovo di Tiruchirapalli (INDIA)
Ritengo che i laici, che sono la nostra più grande ricchezza, siano la speranza della Chiesa nel mondo globalizzato non solo nel loro ruolo specifico per il rinnovamento delle realtà terrene (AG 2), ma anche nei nostri sforzi per comprendere e interpretare la Parola di Dio in modo significativo. Unta dallo Spirito Santo, l'intera Chiesa riceve il Suo aiuto non solo per essere preservata dagli errori in cose di fede e morale (LG 12), ma anche, ne sono certo, nel processo della nostra comprensione e interpretazione comune della Parola di Dio, più o meno simile al "sensus fidei". Nella Bibbia Dio non solo parla, ma ascolta anche. Ascolta e risponde, come mostra l'Antico Testamento, specialmente i Salmi. Quindi, perché noi, guide della Chiesa, non possiamo ascoltare i laici, specialmente i poveri, gli oppressi e gli emarginati?
Per beneficiare di una partecipazione di qualità da parte dei laici, le guide della Chiesa dovrebbero considerare una priorità urgente illuminarli e rafforzarli per mezzo di una catechesi di pastorale biblica ben programmata, specialmente attraverso le piccole comunità cristiane e gli altri movimenti e associazioni, dove saranno introdotti ad una "cultura della Bibbia". Occorre destinare dei fondi per questo, proprio come vengono stanziati per la formazione dei seminaristi.
"Cultura della Bibbia" significa che la vita quotidiana delle persone viene esposta alla prorompente, dinamica forza creatrice di Dio e da essa catturata (Is 6, 8; Ger 20, 7; Ez 3, 3). Questo sfida le comunità a trafiggere il loro cuore (At 2, 37) con spade a doppio taglio (Eb 4, 12). In India ciò significa che le persone e le comunità devono essere convertite da ogni forma di divisione di casta, lingua e rito, nonché da ogni forma di superiorità nel loro rapporto con le altre religioni e tradizioni. In tal modo emergerà una testimonianza comune della Chiesa nella sua missione, di essere segno e strumento del regno di Dio della giustizia, della pace e dell'amore. L'India ha bisogno più di testimoni che di maestri, e se rispetta i maestri è perché sono testimoni (Papa Paolo VI).
- S.Em.R. Card. Ivan DIAS, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (CITTÀ DEL VATICANO)
La Parola di Dio è intimamente legata alla missione della Chiesa di proclamare la Buona Novella di nostro Signore Gesù Cristo, ed è indispensabile per le due importanti esigenze dell'evangelizzazione: l'inculturazione e il dialogo interreligioso.
L'inculturazione dovrebbe portare la proclamazione del Vangelo nelle culture locali, ma anche, e soprattutto, dovrebbe consistere nell'evangelizzare le stesse culture dall'interno. Ciò vale per tutte le culture, per quelle in terre di missione ma anche per le culture cristiane tradizionali che sono state infettate dai pericolosi virus del secolarismo, dell'indifferenza spirituale e del relativismo. Tali virus cercano di cancellare ogni riferimento a Dio o al soprannaturale,
e a sostituirlo con valori mondani e modelli di comportamento che ignorano volutamente il trascendente e il divino. Lungi dal soddisfare i profondi aneliti del cuore umano, essi promuovono una cultura della morte, sia fisica che morale, spirituale o psicologica, nei cui confronti le due istituzioni della società umana - vale a dire la famiglia e i giovani - sono particolarmente vulnerabili. Studiando e assimilando regolarmente la Parola di Dio, i cristiani possono crescere nell'"intelligenza di Cristo", che rappresenta l'unico antidoto ai virus di cui sopra e che può trasformare dall'interno caratteri e culture, elevandoli dal naturale al soprannaturale, dall'umano al divino.
La Parola di Dio è inestimabile anche per quanto riguarda il dialogo interreligioso. Dio, il Padre di tutta l'umanità, vuole che tutti i suoi figli si salvino e giungano alla conoscenza della verità. Il suo Santo Spirito opera perfino al di fuori dei confini della Chiesa, e lascia "semi del Verbo" - "semina verbi", come afferma il Concilio Vaticano Secondo - anche nelle religioni non cristiane, ponendoci la sfida di apprezzare in loro "quello che è vero, nobile, giusto, puro" (Fil 4, 8), e far sì che questi semi sboccino nella sacra Persona di nostro Signore Gesù Cristo. Ciò fa eco alle parole di Gesù che Egli era venuto non per abolire la Legge e i profeti, ma per dar loro compimento, ed è proprio ciò che avvenne quando Dio mandò l'apostolo Pietro dal centurione romano Cornelio, invitandolo a non chiamare impuro ciò che Dio aveva purificato, o quando l'apostolo Paolo predicava il "Dio ignoto" nell'aeropago di Atene.
Questi due grandi apostoli, Pietro e Paolo, sono sepolti qui a Roma. Quando i pellegrini cristiani facevano visita alle loro tombe nei primi secoli, essi pregavano chiedendo una grazia singolare: avere la fede di Pietro e il cuore di Paolo (fides Petri et cor Pauli). Possa lo studio assiduo della Parola di Dio colmare la Chiesa di questi sentimenti, tanto necessari per la proclamazione della Buona Novella di nostro Signore Gesù Cristo, l'unico e universale Salvatore di tutta l'umanità.