AMMAN/ROMA, giovedì, 26 giugno 2008 (ZENIT.org).- Si è chiusa questo martedì la due giorni di lavoro del Comitato scientifico internazionale, che si è riunito ad Amman, in Giordania, sul tema “la libertà religiosa: un bene per ogni società”.

A conclusione delle giornate di riflessione e testimonianza, gli oltre 80 partecipanti provenienti da oltre 20 paesi tra Europa, Asia, Africa e America si sono impegnati ad allargare ancora di più la rete di rapporti che costituisce l’identità vera del Centro internazionale Oasis, a continuare ad approfondire il lavoro di reciproca conoscenza tra le comunità cristiane dell’Occidente e dei paesi a maggioranza musulmana fino a raggiungere sempre nuovi interlocutori dell’islam di popolo.

La giornata di martedì – riferisce una nota diffusa dal Centro Oasis – ha trovato uno dei suoi momenti più significativi nell’incontro con Hasan Abû Ni’mah, Direttore del Royal Institute for Inter-faith Studies, il quale ha detto che “gli appelli al dialogo - per aver successo o per poter quanto meno seminare buoni semi che inizino opportunamente a dar corpo alle idee - devono necessariamente armarsi di tutto punto per fronteggiare la mentalità della guerra, del fondamentalismo e del non rispetto dell’uomo”.

“Ciò non sarà possibile – ha aggiunto – se non sapremo come relazionarci con la mentalità dello scontro e come sostenere al contrario una mentalità di dialogo e comprensione reciproca e di vita comune tra tutti gli uomini, nella differenza delle loro religioni”.

“Molto è stato detto nei decenni passati – ha rilevato Hasan Abû Ni’mah – sul dialogo interreligioso e interculturale e tra i popoli, sul rispetto dell’altro e la capacità di accoglierlo, su come entrare in rapporto con la sua tradizione e il suo pensiero, e quale mentalità si richieda per questo”.

“Ma d’altro canto, miliardi di dollari sono stati spesi nel mondo per attivare strumenti di guerra, morte, violenza e terrorismo”.

“Se la tecnologia e Internet – ha continuato il Direttore – hanno reso facile per l’individuo parlare con altre persone con cui non si sarebbe mai sognato di parlare senza questi nuovi strumenti, è diventato più necessario pensare alla qualità del rapporto che attraverso di essi si istituisce”.

A suo avviso “la religione, qualsiasi religione, nella sua sostanza è un istituto (manzûma) fondamentale e un punto di riferimento per la morale, i valori e i principi di comportamento e di vita. Essa incita al bene dell’uomo e dell’umanità su questa terra”.

Ad inaugurare i lavori del Comitato è stato il Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, il quale ha rilevato come “nella nostra società globalizzata la tensione tra libertà religiosa e identità tradizionale di un popolo sta diventando scottante”, perché oggi “chiunque può incontrare chiunque, senza reti di protezione”.

“Il punto critico è: che cosa succede ad un’identità di popolo se un numero consistente di persone inizia a metterla in discussione o perché proviene da un’altra religione o addirittura vi si converte? In alcuni paesi a maggioranza musulmana mentre si può tollerare un certo grado di diversità per chi già nasce in un’altra religione, l’identità di popolo risulterebbe minacciata se si concedesse la possibilità di convertirsi a chi è già musulmano”.

“Il passo che ora dobbiamo compiere – ha concluso il Patriarca – in Occidente ed in Oriente, sta nel mettere meglio a fuoco come il rapporto tra libertà religiosa e identità di popolo incida sulla vita sociale”.

“In quest’ottica - ha precisato - i cristiani non intendono mettere a rischio le basi della convivenza sociale dei paesi a maggioranza musulmana ma, per essere chiari, chiedono lo stesso rispetto per la propria tradizione a chi arriva qui da noi”.

Allo stesso modo, “il rispetto verso l’identità comunitaria non può spingere nessuno, nemmeno i musulmani, a violare la libertà umana del singolo, compresa la libertà di conversione”.

Dopo il Cardinale, è intervenuto il prof. Nikolaus Lobkowicz, Direttore dell’Istituto per gli studi sull’Europa Orientale di Eichstätt, in Baviera, il quale ha segnalato il passo importante determinato dalla Dignitatis Humanae in merito alla questione del riconoscimento dei diritti della persona rispetto alla comunità.

“La straordinaria qualità della dichiarazione Dignitatis Humanae – ha spiegato – consiste nell’aver trasferito il tema della libertà religiosa dalla nozione di verità a quella dei diritti della persona umana. Se l’errore non ha diritti, una persona ha dei diritti anche quando sbaglia”.

“Chiaramente non si tratta di un diritto al cospetto di Dio – ha aggiunto –; è un diritto rispetto ad altre persone, alla comunità e allo stato”.

Ha poi portato il suo articolato contributo anche Khaled Al-Jaber, professore alla University of Petra (Amman) che ha parlato della necessità “di trasformare lo scontro che alcuni considerano inevitabile in un dialogo reale che ponga fine a una lunga storia di sofferenze che l’umanità ha conosciuto e apra una lunga era di bene, amore, incontro e azione, a beneficio di un’unica civiltà umana in cui ogni religione abbia il suo posto e ogni cultura il suo valore soggettivo e oggettivo”.

“Se vogliamo andare dietro alla verità della libertà, dovremo rivolgere il nostro sforzo a rimuovere l’ingiustizia dall’uomo – ha detto –. Dico volutamente l’uomo, di ogni religione, razza, colore, nazionalità, orientamento, partito, categoria, sesso, età o gruppo sociale”.

“Le religioni si sono tirate indietro dal loro compito e si sono limitate agli aspetti spirituali (rapporto dell’uomo con Dio), lasciando ad altri – ignoranti e interessati nella maggior parte dei casi – l’organizzazione dei rapporti dell’uomo con l’uomo”.

“Esse non ritorneranno davvero alla vita dell’uomo, così da compiere la verità della libertà, se non quando riprenderanno a svolgere il ruolo cui hanno rinunciato”, ha poi concluso.