di Mirko Testa
ROMA, martedì, 10 giugno 2008 (ZENIT.org).- La preghiera e la sofferenza sono i due strumenti che ci permettono di custodire e alimentare la speranza cristiana e di accedere al suo mistero, ha detto lunedì sera Benedetto XVI in una Basilica di San Giovanni in Laterano gremita di gente.
"Gesù è risorto: educare alla speranza nella preghiera, nell’azione, nella sofferenza" è il tema del Convegno Ecclesiale Diocesano di quest'anno inaugurato dal Papa nella Cattedrale di Roma e che proseguirà fino a giovedì prossimo, 12 giugno, prima nelle Prefetture e poi nuovamente in Basilica.
Dal primo incontro, avvenuto il 6 giugno 2005, Benedetto XVI è sempre stato presente all'apertura di questo appuntamento in cui le diverse forze vitali presenti nella comunità cristiana si confrontano per definire il cammino pastorale e gli obiettivi per l'anno successivo.
Molte le persone presenti per l'occasione e che parteciperanno ai lavori dei prossimi giorni: si parla di più di 4.000 iscritti.
L’orizzonte di riferimento delle riflessioni è inquadrato da una parte nei risultati del Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, e dall'altra negli interventi del Papa sull’“emergenza educativa”, a partire dalla Lettera indirizzata alla diocesi di Roma il 21 gennaio scorso, e nella sua Lettera enciclica “Spe salvi”, di cui per l'inaugurazione sono stati letti alcuni brani.
Infatti, dopo aver trattato per tre anni il tema della famiglia, negli ultimi due anni l'impegno pastorale è stato incentrato sull'educazione delle nuove generazioni.
L'indirizzo di saluto al Papa è stato affidato al Cardinale Camillo Ruini, Vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma, il quale ha sottolineato che gli operatori impegnati nella pastorale e nella formazione “avvertono il peso delle molte false speranze, che ostacolano la crescita di personalità robuste e di coscienze cristalline”.
Il Cardinale ha quindi espresso la ferma convizione che “soltanto la speranza nel Dio che ha resuscitato Gesù dai morti possa dare pieno senso e certezza alla nostra vita persona e sociale”, e quindi animare “una autentica opera educativa”.
Nel prendere la parola, Benedetto XVI ha precisato ulteriormente che la risurrezione di Cristo è “il fondamento indefettibile su cui poggia la nostra fede e la nostra speranza”, “un fatto storico” di cui gli apostoli sono stati testimoni diretti, anche a costo della propria vita.
Nel tracciare un quadro della situazione odierna, il Papa ha parlato di come nel corso dei secoli “equivoci e false attrattive” abbiano “ristretto e indebolito il respiro della nostra speranza” e di come oggi sia “diffusa la sensazione che per l'Italia come per l'Europa gli anni migliori siano ormai alle spalle e che un destino di precarietà ed incertezza attenda le nuove generazioni”.
Inoltre, ha aggiunto, “le aspettative di grandi novità e miglioramenti si concentrano sulle scienze e le tecnologie, quindi sulle forze e le scoperte dell'uomo e che solo da esse possa venire la soluzione dei problemi”.
Da qui l'affermazione centrale del Santo Padre che “sarebbe insensato negare o minimizzare il contributo della scienza e delle tecnologie alla trasformazione del mondo e delle concrete condizioni di vita”, ma che “altrettanto miope sarebbe ignorare che i loro progressi mettono nelle mani dell'uomo anche abissali possibilità di male”.
Tuttavia, “non sono la scienza e le tecnologie a poter dare un senso alla nostra vita, e a poterci insegnare a distinguere il bene dal male”, così come “non è la scienza, ma l'amore a redimere l'uomo”, ha ammonito il Papa citando un passaggio dell'Enciclica “Spe salvi”.
Il Papa ha quindi detto di poter rintracciare la causa della “debolezza della speranza” nella tendenza della nostra civiltà a “mettere Dio tra parentesi”, a “ritenere che di Dio non si possa conoscere nulla o persino a negare la sua esistenza”.
Come obiettivo del prossimo anno pastorale, Benedetto XVI ha poi consegnato alla sua diocesi quello di riflettere su “come educarci concretamente alla speranza”, indicando “alcuni luoghi del suo pratico apprendimento ed effettivo esercizio”, tra cui la preghiera, “con la quale ci apriamo e ci rivolgiamo a Colui che è l'origine e il fondamento della notra speranza”.
“La persona che prega – ha detto – non è mai totalmente sola, perché Dio è l'unico che in ogni situazione e in qualunque prova è sempre in grado di ascoltarla e di aiutarla”.
Il giusto modo di pregare, ha proseguito, è un “processo di purificazione interiore”. Ecco quindi l'importanza di “esporci allo sguardo di Dio”, in modo da far cadere “le menzogne, le ipocrisie”, ed entrare in una “purificazione che ci rinnova, ci libera e ci apre realmente non solo a Dio ma anche ai fratelli”, ha poi detto a braccio per meglio illustrare i concetti esposti.
“La preghiera è quindi l’opposto di una fuga dalle nostre responsabilità verso il prossimo”, spingendoci a diventare “ministri delle speranza per gli altri” e ad “imparare a vivere”.
“Apprendere l'arte della preghiera”, ha ricordato Benedetto XVI, è “un compito essenziale” e per questo “le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche scuole di preghiera”, come ricordava Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte.
“La consapevoleza acuta e diffusa dei mali e problemi che Roma porta dentro di sé” stimola i cristiani a dare il proprio “specifico contributo a cominciare da quello snodo deciviso che è l'educazione e la formazione della persona”, ha continuato il Papa.
Allo stesso modo urgente è anche la risposta da dare ai “problemi concreti” della città, che chiama la comunità ecclesiale a operare per “una cultura e un’organizzazione sociale più favorevole alla famiglia e all’accoglienza della vita, oltre che alla valorizzazione delle persone anziane”.
Indispensabile, quindi, porre grande attenzione a “bisogni primari” quali sono “il lavoro e la casa, soprattutto per i giovani”, nonché “una città più sicura e vivibile [...] per tutti in particolare per i più poveri” e nella quale “non sia escluso l’immigrato che viene tra noi con l'intenzione di trovare uno spazio di vita nel rispetto delle nostre leggi”.
In seguito, Benedetto XVI ha sottolineato che “la speranza cristiana vive anche della sofferenza, anzi che proprio la sofferenza educa e fortifica a titolo speciale la nostra speranza”.
“Certo, dobbiamo fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza”, ha precisato, “non possiamo però eliminare del tutto la sofferenza dal mondo, perché non è in nostro potere prosciugare le sue fonti”.
“La grande verità cristiana” conferma in realtà che “non la fuga davanti al dolore guarisce l'uomo ma la capacità di accettare la tribolazione e di maturare in essa trovandone il senso mediante l'unione a Cristo”.
Da qui la raccomandazione del Papa: “educhiamoci ogni giorno alla speranza che matura nella sofferenza, [...] in primo luogo quando siamo personalmente colpiti da una grave malattia” ma anche condividendo “la vicinanza quotidiana alla sofferenza sia dei nostri vicini e familiari, sia di ogni persona che è il nostro prossimo, perché ci accostiamo a lei con atteggiamento di amore”.