Benedetto XVI e i movimenti ecclesiali

Intervista al prof. don Arturo Cattaneo

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VENEZIA, lunedì, 7 maggio 2007 (ZENIT.org).- Don Arturo Cattaneo, professore ordinario presso l’Istituto di Diritto Canonico di Venezia, fra i maggiori esperti degli aspetti ecclesiologici dei nuovi movimenti, ha pubblicato in questi giorni il libro “La varietà dei carismi nella Chiesa una e cattolica” (Edizioni San Paolo, 11 €, 176 pagg.).

In questa intervista concessa a ZENIT spiega il ruolo e il posto dei movimenti ecclesiali nella Chiesa e, in particolare, l’insegnamento di Benedetto XVI a questo proposito.

Da tempo si discute su come inserire i movimenti nell’unità della Chiesa. Cosa ci può dire sull’insegnamento di Benedetto XVI al riguardo?

Don Cattaneo: A volte si manifesta una tendenza a considerare problematica la questione.

A tal riguardo il Papa ha invece spesso mostrato un atteggiamento positivo, incoraggiante e fiducioso.

La varietà dei carismi nell’unità della Chiesa non va infatti vista come un problema, ma come una ricchezza della Chiesa, la cui unità non è uniforme, ma implica una pluralità che la rende una comunione.

San Paolo ha così descritto il multiforme agire di Dio a favore del suo popolo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1Cor 12,4-6).

La Chiesa è continuamente guidata e arricchita da Cristo e dal suo Spirito, che sono la fonte sia dell’unità sia della varietà dei doni.

Nel messaggio rivolto ai movimenti ecclesiali in occasione dell’incontro a Roma nel 1998, Giovanni Paolo II ha osservato: «La vostra stessa esistenza è un inno all’unità nella pluriformità voluta dallo Spirito e ad essa rende testimonianza. Infatti, nel mistero di comunione del Corpo di Cristo, l’unità non è mai piatta omogeneità, negazione della diversità, come la pluriformità non deve diventare mai particolarismo o dispersione».

Eppure è innegabile che sussistano certe tensioni. Come lo spiega?

Don Cattaneo: Da quanto ho appena accennato si capisce perché unità e varietà non si contrappongano, ma ciò non significa che l’armonia fra di esse sia qualcosa di automatico.

Ciò si spiega per i limiti o le debolezze degli uomini, ma soprattutto – come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica – perché «il peccato e il peso delle sue conseguenze minacciano continuamente il dono dell’unità» (n. 814).

Armonizzare varietà e unità è quindi una sfida che la Chiesa deve continuamente affrontare e che oggi ha acquistato una particolare attualità per l’irruzione dei numerosi carismi apostolici, che danno nuova linfa alle nostre parrocchie e diocesi.

Cosa propone Benedetto XVI per superare queste tensioni?

Don Cattaneo: Il cammino è stato recentemente indicato dal Papa, con l’esortazione al dialogo paziente fra Pastori e movimenti e ciò a tutti i livelli.

Egli ha infatti osservato che «cominciando dal parroco, dal Vescovo e dal Successore di Pietro è in corso la ricerca delle opportune strutture: in molti casi la ricerca ha già dato i suoi frutti. In altri si sta ancora studiando. […] Anche in un matrimonio ci sono sempre sofferenze e tensioni. E tuttavia vanno avanti e così matura il vero amore. Lo stesso avviene nella comunità della Chiesa: abbiamo pazienza insieme. Anche i diversi livelli della gerarchia – dal parroco, al Vescovo, al Sommo Pontefice – devono avere insieme un continuo scambio di idee, devono promuovere il colloquio per trovare insieme la strada migliore. Le esperienze dei parroci sono fondamentali, ma poi anche le esperienze del Vescovo e, diciamo, la prospettiva universale del Papa hanno un proprio luogo teologico e pastorale nella Chiesa» (risposta di Benedetto XVI in dialogo con il clero di Roma il 22-II-07).

Il Papa non ha però anche incoraggiato i Vescovi ad accogliere i movimenti con amore e gratitudine?

Don Cattaneo: Effettivamente, e in diverse occasioni. Le più recenti sono probabilmente il suo incontro con un gruppo di Vescovi della Germania in visita «ad limina», il 18-XI-06, quando così si espresse: «Dopo il Concilio lo Spirito Santo ci ha donato i ‘movimenti’. Talvolta essi possono apparire al parroco o al Vescovo un po’ strani, ma sono luoghi di fede in cui i giovani e gli adulti sperimentano un modello di vita nella fede come opportunità per la vita di oggi. Per questo vi chiedo di andare incontro ai movimenti con molto amore. Qua e là devono essere corretti, inseriti nell’insieme della parrocchia o della Diocesi. Dobbiamo però rispettare lo specifico carattere dei loro carismi ed essere lieti che nascano forme comunitarie di fede in cui la parola di Dio diventi vita».

Anche nel più recente e succitato incontro con il clero romano, egli ha ricordato che per l’inserimento dei movimenti «la prima regola ce l’ha data san Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi: non spegnere i carismi. Se il Signore ci dà nuovi doni dobbiamo essere grati, anche se a volte sono scomodi. Ed è una bella cosa che, senza iniziativa della gerarchia, con una iniziativa, come si suol dire, dal basso ma che in realtà è anche dall’Alto, in quanto dono dello Spirito Santo, nascano nuove forme di vita nella Chiesa, come del resto sono nate in tutti i secoli».

Che altre raccomandazioni ha fatto il Papa ai Vescovi riguardo ai movimenti?

Don Cattaneo: Il Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, svoltosi a Roma nel 1998, venne inaugurato da un’importante relazione dell’allora cardinale Ratzinger, recentemente pubblicata in un opuscolo intitolato Nuove irruzioni dello Spirito (Edizioni San Paolo, 2006).

In quella relazione Ratzinger, dopo aver esortato i movimenti a evitare unilateralità e assolutizzazioni, si era rivolto anche ai Vescovi, ricordando «che non è loro consentito indulgere ad alcuna pretesa d’uniformità assoluta nella organizzazione e nella programmazione pastorale. Non possono far assurgere i loro progetti pastorali a pietra di quel che allo Spirito Santo è consentito operare: di fronte a mere progettazioni umane può accadere che le Chiese si rendano impenetrabili allo Spirito di Dio, alla forza di cui esse vivono. Non è lecito pretendere che tutto debba inserirsi in una determinata organizzazione dell’unità: meglio meno organizzazione e più Spirito Santo!» (p. 48).

Per questo aspetto Ratzinger rimandava alle riflessioni da lei svolte in uno studio sui movimenti. Ci può spiegare di che si tratta?

Don Cattaneo: Si tratta di tener presente la cattolicità quale caratteristica essenziale anche di ogni Chiesa locale. Proprio in virtù di tale caratteristica, l’unità nella Chiesa è pluriforme.

La cattolicità non è però solo un dono che la Chiesa ha ricevuto da Cristo, ma è anche un compito. Essa dev’essere infatti continuamente attuata ed il vescovo ha una particolare responsabilità al riguardo.

Ciò significa promuovere una unità che non sia uniformità ma pluriformità. Si aprono così fecondi orizzonti per l’integrazione nella Chiesa locale dei vari carismi e realtà ecclesiali.

Di ogni Chiesa locale si dovrebbe infatti poter dire che «parla tutte le lingue, comprende e abbraccia nella sua carità tutte le lingue, superando così la dispersione babelica» (AG 4); che raggiunge penetra e assume le diversità umane «nella pienezza cattolica» (AG 6)»; che «assume tutte le capacità, le risorse e le consuetudini di vita dei popoli, nella misura in cui sono buone, e assumendole le purifica, le consolida e le eleva […]; tende efficacemente e perpetuamente a ricapitolare tutta l’umanità e i suoi beni sotto il Cristo capo, nell’unità del suo Spirito» (LG 13). Realizzare sempre di nuovo e più pienamente la «cattolicità» costituisce perciò una mis
sione che – come ha osservato Giovanni Paolo II – «è strettamente legata alla capacità della comunità cristiana di fare spazio a tutti i doni dello Spirito. L’unità della Chiesa non è uniformità, ma integrazione organica delle legittime diversità» (Lettera apostolica Novo Millennio ineunte – 2001 –, n. 46).

E che raccomandazioni ha fatto Ratzinger ai movimenti?

Don Cattaneo: Sempre in quella relazione, ha messo in guardia dal «rischio di unilateralità che porta a esagerare il mandato specifico che ha origine in un dato periodo o in forza di un particolare carisma».

Ha menzionato il pericolo di «assolutizzare il proprio movimento, identificandolo con la Chiesa stessa e intendendolo come la via per tutti, mentre di fatto questa unica via può farsi conoscere in modi diversi».

Egli ha inoltre osservato che a volte nelle Chiese locali «l’irrompere del nuovo viene avvertito come perturbativo, tanto più se accompagnato, come non di rado avviene, da debolezze, infantilismi e erronee assolutizzazioni di ogni sorta».

Di conseguenza egli ha poi esortato le due parti (movimenti e Chiese locali) «a lasciarsi educare dallo Spirito Santo e anche dall’autorità ecclesiastica, ad apprendere una dimenticanza di sé senza la quale non è possibile il consenso interiore alla molteplicità delle forme che può assumere la fede vissuta. Le due parti devono imparare l’una dall’altra a lasciarsi purificare, a sopportarsi e a trovare la via che conduce a quei comportamenti di cui parla nell’inno alla carità Paolo (cfr. 1 Cor 13,4-7). Ai movimenti, quindi, va rivolto un monito: anche se nel loro cammino hanno trovato e partecipano ad altri la totalità della fede, essi sono un dono fatto alla Chiesa nella sua totalità, e alle esigenze di questa totalità devono sottomettersi, per restare fedeli a ciò che è loro essenziale».

Giustamente Ratzinger richiama l’esigenza della cattolicità – la cui etimologia è «secondo il tutto» – anche per i movimenti. Il loro servizio ed il loro inserimento nelle Chiese locali richiede infatti anche da parte loro la consapevolezza della cattolicità che caratterizza ogni Chiesa locale.

Lei si è riferito alla Chiesa locale; ci può dire qualcosa anche sulla parrocchia?

Don Cattaneo: L’apertura della Chiesa locale alla varietà delle vocazioni e dei carismi non può non riflettersi anche sul volto della parrocchia quale ultima «localizzazione» della Chiesa.

L’Esortazione apostolica Christifideles laici (1988) ha parlato della parrocchia quale «casa aperta a tutti e al servizio di tutti o, come amava dire il Papa Giovanni XXIII, la fontana del villaggio alla quale tutti ricorrono per la loro sete» (n. 27). Nel garantire la giusta «apertura» della parrocchia la principale responsabilità spetta al parroco. L’esigenza di «cattolicità» per i fedeli di una parrocchia non si pone comunque solo in rapporto ai diversi movimenti, ma anche nei confronti di fedeli di altre parrocchie.

Una Nota pastorale della CEI sulla parrocchia (30.V.04) ha messo in guardia di fronte alla minaccia di «fare della parrocchia una comunità autoreferenziale, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati rassicuranti» (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 4).

Questo modo proprio della Chiesa di integrare unità e varietà non potrebbe risultare illuminante anche per la società civile?

Don Cattaneo: Sì, anche se logicamente occorre ricordare che Chiesa e Stato sono due realtà essenzialmente diverse. Tuttavia è pur vero che la Chiesa è chiamata ad essere «segno levato sulle nazioni» (Is 11,12) e «luce del mondo» (Mt 5,14).

In tal senso mi sembra che, in una società come la nostra – sempre più plurietnica e multiculturale, globalizzata e al contempo frammentata – la cattolicità della Chiesa, quale capacità di comprendere e abbracciare «nella carità tutte le lingue, superando così la dispersione babelica» (AG 4), può effettivamente risultare illuminante.

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ZENIT Staff

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