"Snodo imprescindibile della salvezza" (Prima parte)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia nella Festa della Madonna della Salute

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VENEZIA, mercoledì, 21 novembre 2012 (ZENIT.org).– Pubblichiamo di seguito la prima parte dell’omelia tenuta questa mattina nella basilica della Salute dal patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, nella Messa celebrata in occasione della Festa della Madonna della Salute. 

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La Chiesa celebra, il 21 di novembre, la memoria della Presentazione al tempio della Beata Vergine Maria; invece, a Venezia, si celebra la festa della Madonna della Salute.

All’origine di questa celebrazione vi è un fatto doloroso che ha riguardato la nostra città, vale a dire la violenta pestilenza del 1630; essa seguiva di quasi mezzo secolo quella del 1575, alla quale si lega la costruzione della Basilica del Redentore. Siamo, come detto, nell’anno 1630 e, nonostante le precauzioni prese, il morbo entra in città e si diffonde prima nella contrada di San Vio, poi in quella di San Gregorio e, alla fine, non vi fu più alcun sestiere risparmiato. Dopo che tutti gli sforzi umani risultarono inutili, come già era avvenuto per la peste precedente – conosciuta a Milano come la peste di San Carlo per l’eroica carità dell’Arcivescovo -, la Serenissima Repubblica, tramite il Doge e il Senato, deliberarono che per quindici sabati vi fossero comuni preghiere per la salvezza della città e dei suoi abitanti. Insieme al patriarca Giovanni Tiepolo e al clero, i veneziani percorrevano la città con pubbliche processioni e il 26 ottobre – primo di questi sabati – nell’allora cappella dogale, oggi cattedrale di San Marco, il Doge – a nome dell’intera città – emise voto solenne innanzi all’immagine della Madonna Nicopeia e s’impegnava a “erigere e dedicare una Chiesa alla Vergine Santissima, intitolandola Santa Maria della Salute, e che ogni anno nel giorno in cui questa città sarà pubblicamente liberata dal presente male, Sua Serenità e li successori suoi anderanno solennemente col Senato a visitare la medesima Chiesa ”.

I protagonisti sono il Doge, il Senato ma, soprattutto, il popolo veneziano e la sua fede. Non solo il popolo allora presente  in San Marco ma il popolo che da allora si riversa in massa – ogni 21 novembre – a rendere omaggio alla Madonna onorata come salvatrice della città. Un popolo che, pur nelle mutate condizioni storiche, culturali e sociali, da quasi quattro secoli risponde fedelmente all’appuntamento annuale con la Vergine Madre, venerata come mediatrice di grazia.

Ma come mai Maria gode di così grande popolarità presso il popolo cristiano? Quando Maria è chiamata direttamente o indirettamente in causa il popolo cristiano, anche in ambiti segnati da profondo e sordo secolarismo, risponde al di là di ogni previsione. Evidentemente Maria, nel suo profondo vincolo con Gesù, appartiene alla centralità della fede della Chiesa; a proposito, il Concilio Ecumenico Vaticano II intitola l’ottavo capitolo della costituzione dogmatica Lumen gentium: “La Beata Vergine Maria, madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa”. D’altra parte il Concilio – noi celebriamo l’Anno della Fede, proprio a cinquant’anni dalla sua apertura –  unisce strettamente la Beata Vergine Maria a suo Figlio quando afferma che l’eterna predestinazione del Verbo all’incarnazione coincide con la predestinazione della Beata Vergine Maria ad esserne la madre (cfr. LG 61). Maria, quindi, grazie al suo stretto rapporto con Cristo è al centro del Vangelo.

Qui bene s’esprime il sensus fidelium del popolo cristiano che coglie – in forza dello stretto legame che ha con Cristo – la centralità di Maria, proprio in quanto madre, nel piano salvifico di Dio.  Maria è la madre – la vera madre – Colei che nella sua maternità verginale dona Gesù Cristo, la grazia per eccellenza. Ma si tratta, giova ribadirlo, di maternità verginale e ciò significa che Maria, nella sua verginità feconda, donando Gesù – la grazia delle grazie – risulta, per pura grazia, essere snodo imprescindibile della salvezza che viene da Dio.

A Nazareth e a Betlemme, a Cana di Galilea e al Calvario, al Cenacolo – con gli apostoli e i discepoli, nell’attesa dello Spirito -, Maria è sempre Colei che collabora in modo unico (ossia materno) con suo Figlio. Non lo è solo nell’atteggiamento del servizio più umile e della compagnia più generosa nei confronti del Signore; ciò sarebbe ancora poco. Ella è, invece, Madre. E, come ogni vera madre, gode di un rapporto unico col Figlio, il Signore Gesù. E’, in tal modo, in grado di svolgere una missione propria, specifica, unica a servizio del Figlio che – come ricorda Paolo – è primogenito di una moltitudine di fratelli (Rom 8,29).     

[La seconda parte sarà pubblicata giovedì 22 novembre]

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ZENIT Staff

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