Relazione prima della Discussione del Cardinale Marc Ouellet

Al Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio

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CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 7 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la Relazione prima della Discussione pronunciata questo lunedì mattina dal Cardinale Marc Ouellet, Arcivescovo di Québec e Relatore Generale al Sinodo dei Vescovi in corso in questi giorni in Vaticano.

 

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«All’angelo della Chiesa di Smirne scrivi: “Così parla il Primo e l’Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita… ‘Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita’”. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2, 8.10-11).
Siamo riuniti nella XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi per ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese oggi a proposito de “la Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Condividiamo la convinzione dei Padri della Chiesa, espressa da San Cesario d’Arles, che “la luce e il nutrimento eterno dell’anima non è altro che la Parola di Dio, senza di essa l’anima non può godere della vista e neppure della vita: il nostro corpo muore se non assorbe il cibo, allo stesso modo la nostra anima perisce se non riceve la Parola di Dio”.[1] Lo scopo del Sinodo è prevalentemente pastorale e missionario. Consiste nell’ascoltare insieme la Parola di Dio per discernere come lo Spirito e la Chiesa aspirano a rispondere al dono del Verbo incarnato mediante l’amore per le Sacre Scritture e l’annuncio del Regno di Dio a tutta l’umanità. Facciamo nostra la preghiera di San Paolo che ci immerge nel cuore del mistero della Rivelazione:
“Per questo, dico, io piego le gionocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perchè vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria di essere potentemete rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate ingrado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perchè siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen”. (Ef 3, 14-21).
Il Sinodo proporrà delle linee guida pastorali per “rafforzare la pratica di incontro con la Parola di Dio come fonte di vita”,[2] facendo il punto sulla recezione del Concilio Vaticano II sulla Parola di Dio e il suo legame con il rinnovamento ecclesiologico, l’ecumenismo e il dialogo con le nazioni e con le religioni.
Al di là delle discussioni teoriche, siamo invitati a abbracciare l’atteggiamento del Concilio : “In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il Santo Concilio fa sue queste parole di San Giovanni: ‘Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo’ (1 Gv 1, 2-3)” (DV 1).
Grazie alla visione trinitaria e cristocentrica del Concilio Vaticano II, la Chiesa ha rinnovato la consapevolezza del suo mistero e della sua missione. La Costituzione dogmatica Lumen Gentium e la Costituzione pastorale Gaudium et Spes sviluppano una ecclesiologia di comunione che si basa su una concezione rinnovata della Rivelazione. Infatti, la Costituzione dogmatica Dei Verbum ha segnato una vera svolta nel modo di affrontare la Rivelazione divina. Invece di privilegiare come in precedenza la dimensione noetica delle verità da credere, i Padri conciliari hanno messo l’accento sulla dimensione dinamica e dialogale [3] della Rivelazione come autocomunicazione personale di Dio. Hanno così gettato le basi di un incontro e di un dialogo più vivo tra Dio che chiama e il suo popolo che risponde.
Questa svolta è stata ampiamente accolta come un fatto decisivo da teologi, esegeti e pastori [4]. Tuttavia, è stato in gran parte riconosciuto che la Costituzione Dei Verbum non è stata sufficientemente recepita e che la svolta che ha inaugurato non ha dato ancora i frutti sperati e attesi nella vita e nella missione della Chiesa.[5] Pur tenendo conto dei progressi fatti, occorre interrogarsi sul perchè il modello della comunicazione personale [6] non è penetrato maggiormente nella coscienza della Chiesa, nella sua preghiera, nelle sue pratiche pastorali nonché nei metodi teologici ed esegetici. Il Sinodo deve proporre soluzioni concrete per colmare le lacune e porre rimedio all’ignoranza delle Scritture che si aggiunge alle difficoltà attuali dell’evangelizzazione.
Riconosciamo che effettivamente l’esperienza della fede e lo slancio missionario dei cristiani sono profondamente colpiti da diversi fenomeni socioculturali quali la secolarizzazione, il pluralismo religioso, la globalizzazione e l’esplosione dei mezzi di comunicazione, con le loro molteplici conseguenze, quali il divario crescente tra ricchi e poveri, il pullulare di sette esoteriche, le minacce alla pace, senza dimenticare gli attacchi attuali contro la vita umana e la famiglia.[7]
A questi fenomeni socioculturali, si aggiungono le difficoltà interne della Chiesa riguardanti la trasmissione della fede nella famiglia, le carenze della formazione catechetica, le tensioni tra il Magistero ecclesiale e la teologia univesitaria, la crisi interna dell’esegesi e il suo legame con la teologia, e più in generale “una certa separazione degli studiosi dai Pastori e dalla gente semplice delle comunità cristiane” (IL 7a).
Il Sinodo deve far fronte alla grande sfida della trasmissione della fede nella Parola di Dio oggi. In un mondo pluralista, caratterizzato dal relativismo e dall’esoterismo,[8] la nozione stessa di Rivelazione interpella [9] e richiede dei chiarimenti.
Convocatio, communio, missio. Attorno a queste tre parole chiave che traducono la triplice dimensione, dinamica, personale e dialogale, della Rivelazione cristiana, esporremo la struttura tematica dell’Instrumentum Laboris. La Parola di Dio chiama, mette in comunione con il disegno di Dio mediante l’obbedienza della fede e spinge il popolo eletto verso le nazioni. Questa Parola d’Alleanza culmina in Maria che accoglie nella fede il Verbo incarnato, il Desiderato dalle nazioni. Riprenderemo le tre dimensioni della Parola d’Alleanza come lo Spirito Santo le ha incarnate nella storia della salvezza, le Sacre Scritture e la Tradizione ecclesiale.
Chiediamo allo Spirito Santo di amplificare questo desiderio di riscoperta della Parola di Dio, sempre attuale e mai superata. Questa Parola ha il potere di “rimettere al mondo”, di ringiovanire la Chiesa e di suscitare una nuova speranza in vista della missione. Benedetto XVI ci ha ricordato che questa grande speranza si basa sulla certezza che “Dio è Amore” [10] e che Egli, “in Cristo si è mostrato” [11] per la salvezza di tutti.

I. CONVOCATIO : IDENTITÀ DELLA PAROLA DI DIO

A. DIO PARLA

“In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum” (Gv 1, 1s). Fin dall’inizio, occorre partire dal mistero di Dio come ci viene rivelato nelle Sacre Scritture. Il Dio della Rivelazione è un Dio che parla, un Dio che è lui stesso Parola e che si fa conoscere all’umanità in diversi modi (Eb 1, 1). Grazie alla Bibbia, l’umanità sa di essere interpellata da Dio; lo Spirito le permette di ascoltare e accogliere la Parola di Dio, divenendo così l’Ecclesia, la comunità riunita dalla Parola. Questa comunità credente riceve la propria identità e la propria missione dalla Parola di Dio che la fonda, la nutre e la impegna al servizio del Regno di Dio.[12]
Chiariamo fin d’ora i diversi significati della Parola di Dio. Il prologo di Giovanni offre la più alta e coinvolgente prospettiva per fornire questi chiarimenti. Con il termine Logos, l’evangelista designa una realtà tras
cendente che era presso Dio e che è Dio stesso. Questo Logos è “presso Dio e rivolto verso Dio” ( ) (Gv 1, 1) in principio, cioè prima di tutte le cose, in Dio stesso ( ). La fine del prologo precisa la natura divina personale del Logos con queste parole : “Dio nessuno l’ha mai visto; proprio il figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18).
Nelle sue lettere ai Colossesi e agli Efesini, San Paolo esprime in modo simile il mistero del Cristo, Parola di Dio : “Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili… Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1, 15-16). Nel suo disegno di salvezza, Dio ha voluto “ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi che per primi abbiamo sperato in Cristo” (Ef 1, 10-12).

B. ILVERBO DELLA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, GESÙ CRISTO

La Parola di Dio significa quindi prima di tutto Dio stesso che parla, che esprime in sé stesso un Verbo divino che appartiene al suo intimo mistero. Questo Verbo divino dà origine a tutte le cose, poiché “senza di lui niente è stato fatto” (Gv 1, 3). Egli parla molti linguaggi, quello cioè della creazione materiale, della vita e dell’essere umano. “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1, 4). Egli parla inoltre in modo particolare e persino drammatico nella storia degli uomini, proprio mediante l’elezione di un popolo, la legge di Mosé e i profeti.
Infine, dopo aver parlato in diversi modi (cf. Eb 1, 1), riassume e porta a compimento tutto in modo unico, perfetto e definitivo in Gesù Cristo. “Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis” (Gv 1, 14).Il mistero del Verbo divino incarnato occupa la parte centrale del prologo e tutto il Nuovo Testamento. “Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (Gv 14, 9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi…” (DV 4).
La Parola di Dio di cui la Scrittura è testimonianza riveste di conseguenza differenti forme e racchiude diversi livelli di significato. Essa designa Dio stesso che parla, il suo Verbo divino,il suo Verbo creatore e salvatore, e infine il suo Verbo incarnato in Gesù Cristo, “il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione” (DV 2). Secondo Luca, la Parola di Dio s’identifica proprio con l’insegnamento orale di Gesù (Lc 5, 1-3), se non addirittura con il messaggio pasquale, il kerigma, che, grazie alla predicazione degli apostoli, “cresce e si diffonde” come un organismo vivente (At 12, 24). Questa Parola di Dio una e molteplice, dinamica ed escatologica, personale e filiale, abita e vivifica la Chiesa mediante la fede; essa è consegnata alle Sacre Scritture come testimonianza storica e letteraria, come un deposito sacro destinato all’umanità intera. Da qui questa nuova e decisiva modalità della Parola di Dio, il testo sacro, la forma scritta che il popolo d’Israele ha considerato testimonianza della prima Alleanza. Da qui anche le Scritture del Nuovo Testamento che la Chiesa ha ricevuto a sua volta dallo Spirito Santo e dalla tradizione apostolica, Scritture che considera normative e definitive per la sua vita e per la sua missione.
Insomma, la Parola di Dio scritta o tramandata è una parola dialogale e allo stesso tempo trinitaria. Essa si offre all’uomo in Gesù Cristo per introdurlo nella comunione trinitaria e trovarvi la propria piena identità. Secondo il prologo giovanneo, questo Verbo personale di Dio interpella l’umanità e pone immediatamente la questione della sua accoglienza: “Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12).
Dio parla e, così, l’uomo è costituito come un essere interpellato. Questa dimensione antropologica della Rivelazione è espressa laconicamente nella Costituzione Dei Verbum 2: “gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura”. Su questo tema antropologico i Padri della Chiesa hanno esposto la dottrina tradizionale della Imago Dei. Sant’Ireneo di Lione, per esempio, commentando San Paolo, parla del Figlio e dello Spirito come di “mani del Padre” che plasmano l’uomo a “immagine e somiglianza di Dio”[13]. È importante avere presente questa dimensione antropologica della Rivelazione, poiché essa attualmente riveste un ruolo molto importante nell’ermeneutica dei testi biblici. Il Concilio Vaticano II ha ridefinito l’identità dialogale dell’uomo a partire dalla Parola di Dio in Cristo. “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mikstero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a sé stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione” (GS 22 § 1). È così che, in tale luce cristologica, l’uomo, accogliendo questa vocazione sublime mediante la fede e l’amore, accede alla sua piena identità personale nella Chiesa, mistero di comunione, “popolo radunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.[14] A livello pastorale, non dovremmo forse verificare se questa teoantropologia dialogale e filiale fondata su Cristo occupa il posto che le spetta nella Liturgia, nella catechesi e nell’insegnamento teologico? “Nei libri sacri, infatti, ricorda la DV, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da esser sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale” (DV 21).
La vocazione divina dell’uomo, abbiamo detto, si chiarisce nel mistero del Verbo incarnato, novello Adamo.Tale vocazione gli conferisce il suo dinamismo trascendentale sotto forma di un profondo desiderio di Dio insito nel suo essere. L’uomo è un essere di desiderio che aspira all’infinito, ma è anche un essere di servizio che obbedisce alla Parola di Dio: “Io sono la serva del Signore” (Lc 1, 38). Tutta l’antropologia si articola in questo passaggio dal desiderio al servizio che fa dell’uomo un essere ecclesiale, un’anima ecclesiastica.

C. LA SPOSA DEL VERBO INCARNATO

1. La Figlia di Sion e l’Ecclesia

In comunione con tutta la Chiesa ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo” (Canone romano).
Una donna, Maria, adempie perfettamente la vocazione divina dell’umanità mediante il suo “sì” alla Parola di Alleanza e alla propria missione. Con la sua maternità divina e la sua maternità spirituale, Maria appare come il modello e la forma permanente della Chiesa, come la prima Chiesa. Fermiamoci alla figura-chiave di Maria fra l’antica e la nuova Alleanza che compie il passaggio dalla fede d’Israele alla fede della Chiesa. Contempliamo la narrazione dell’Annunciazione, origine e modello insuperabile dell’auto-comunicazione di Dio e dell’esperienza di fede della Chiesa. Essa ci servirà da paradigma per comprendere l’identità dialogale della Parola di Dio nella Chiesa.
Da parte di Dio che parla appare in tutta la sua chiarezza la dimensione trinitaria della Rivelazione. L’angelo dell’Annunciazione parla a nome di Dio Padre che prende l’iniziativa di
rivolgersi alla sua creatura per manifestarle la sua vocazione e la sua missione. Si tratta di un evento di grazia il cui contenuto viene comunicato malgrado il timore e lo stupore della sua creatura: “Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo“. Nel dialogo pieno di vita che ne segue, Maria domanda: “Come è possibile? Non conosco uomo“. L’angelo risponde : “Lo Spirito Santo scenderà su di te… Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1, 31-35).
Oltre a questa dimensione trinitaria della narrazione dell’avvenimento, il dialogo di Maria con l’angelo ci informa allo stesso tempo della reazione vitale dell’interpellata, del suo timore, della sua perplessità e della sua richiesta di spiegazioni. Dio rispetta la libertà della sua creatura; per cui aggiunge il segno della fecondità di Elisabetta che permette a Maria di dare il proprio consenso in un modo soprannaturale e pienamente umano allo stesso tempo. “Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38). Sposa del Dio vivente, Maria diviene madre del Figlio per grazia dello Spirito.
Dal momento in cui Maria dà il suo assenso incondizionato all’annuncio dell’angelo, la vita trinitaria entra nella sua anima, nel suo cuore e nel suo seno, inaugurando il mistero della Chiesa. La Chiesa del Nuovo Testamento, infatti, comincia a esistere nel momento in cui la Parola incarnata è accolta, amata e servita con piena disponibilità verso lo Spirito Santo. Questa vita di comunione con la Parola nello Spirito ha inizio con l’annuncio dell’angelo e si estende a tutta l’esistenza di Maria. Questa vita comprende tutte le tappe della crescita e della missione del Verbo incarnato, in particolare la scena escatologica della croce, quando Maria riceve da Gesù stesso l’annuncio della pienezza della sua maternità spirituale: “Donna, ecco tuo figlio” (Gv 19, 26). In tutte queste tappe, mediante “il suo sì, primo e mai interrotto“[15], Maria entra in comunicazione con la vita di Dio che si dona e collabora pienamente al suo disegno di salvezza su tutta l’umanità. È la nuova Eva cantata da Sant’Ireneo, che partecipa come sposa dell’Agnello alla fecondità universale del Verbo incarnato.
La scena dell’Annunciazione e la vita di Maria illustrano e riepilogano la struttura d’Alleanza della Parola di Dio e l’atteggiamento responsoriale della fede. Fanno emergere la natura personale e trinitaria della fede che consiste in un dono della persona a Dio che si dona rivelandosi.[16] “Questo atteggiamento è l’atteggiamento dei Santi. È quella della stessa Chiesa che non cessa di convertirsi al suo Signore in risposta alla voce che egli le rivolge“[17]. Per questo l’attenzione alla figura di Maria come modello e anche come archetipo[18] della fede della Chiesa ci pare cruciale per operare concretamente un cambiamento di paradigma nel rapporto con la Parola di Dio. Questo cambiamento di paradigma non obbedisce alla filosofia del senso comune, ma alla riscoperta del luogo originale della Parola, il dialogo vitale del Dio-Trino con la Chiesa sua Sposa, che si compie nella sacra Liturgia. “Effettivamente, per il compimento di questa grande opera mediante la quale Dio è perfettamente glorificato e gli uomini santificati, il Cristo si associa sempre alla Chiesa, la sua amatissima Sposa, che lo invoca come suo Signore e che passa attraverso di lui per rendere omaggio al Padre eterno“.[19]

2. Tradizione, Scrittura e Magistero

Parlare della Liturgia come dialogo vitale della Chiesa con Dio, significa parlare della tradizione nella sua prima accezione, cioè quella della trasmissione viva del mistero della nuova Allenza. La Tradizione è costituita dalla predicazione apostolica, essa precede le Scritture, le elabora e le accompagna sempre. La Parola di Dio predicata genera la fede che trova la sua massima espressione mediante il Battesimo e l’Eucarestia. È qui infatti che Dio, nel Cristo, offre la sua vita per gli uomini “per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” (DV 2). È anche qui che la Chiesa, a nome di tutta l’umanità, risponde al Dio dell’Alleanza offrendo sé stessa con il Cristo per la sua gloria e per la salvezza del mondo.
Nella tradizione viva della Chiesa, la Parola di Dio occupa il primo posto: è il Cristo vivente. La Parola scritta ne dà testimonianza. La Scrittura, infatti, è una testimonianza storica e un punto di riferimento canonico indispensabile per la preghiera, la vita e la dottrina della Chiesa. Tuttavia, la Scrittura non è tutta la Parola, non si identifica totalmente con essa, da qui l’importanza della distinzione tra la Parola e il Libro, così come tra la lettera e lo Spirito. San Paolo afferma con forza che noi siamo i ministri “di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita” (2 Cor 3, 6). Naturalmente la lettera della Scrittura riveste un ruolo primordiale e normativo nella Chiesa, ma “il cristianesimo non è propriamente una ‹religione del libro›: è la religione della Parola ma non unicamente né principalmente della Parola nella sua forma scritta. È la religione del Verbo e ‘non di un verbo scritto e muto, ma di un Verbo incarnato e vivo‘”.[20] Questa religione della Parola è comunque inseparabile dal Verbo scritto, intrattenendo con lui un rapporto complesso ma essenziale.
L’unità della Tradizione viva e della Sacra Scrittura si basa sull’assistenza dello Spirito Santo per coloro che esercitano il ministero pastorale. “L’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidata al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, pienamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio.” (DV 10).
L’assistenza che lo Spirito Santo offre al Magistero (cf 2 Tm 1, 14) completa l’azione che egli esercita nella creazione e nella storia della salvezza. Infatti, lo Spirito Santo opera nella storia, suscitando “azioni” e “parole” che hanno interpretato gli avvenimenti e che sono stati consegnati per iscritto nei Libri Sacri (DV I, 2). L’esegesi storico-critica ci ha resi più consapevoli delle mediazioni umane complesse che intervennero nell’elaborazione dei testi sacri, ma è innegabile che lo Spirito Santo abbia guidato tutta la storia della salvezza, abbia ispirato la sua interpretazione verbale e scritta e abbia operato il suo culmine nel Cristo e nella Chiesa. San Paolo definisce poeticamente “la Parola di Dio” come “la spada dello Spirito” (Ef 6, 17). Egli eccelle nel valorizzare il ruolo dello Spirito nel disegno di Dio, in particolare nella sintesi magistrale della Lettera agli Efesini (cf 1,13 ; 2,22 ; 3,5). Notiamo tuttavia che l’azione dello Spirito Santo non contrappone la dimensione dialogale e la dimensione dottrinale, come il Magistero della Chiesa cerca di ricordare, pur ponendo l’accento nella DV sulla dimensione personale-dialogale a partire dall’auto-comunicazione di Dio nel Cristo.
È chiaro dunque che la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuno di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuisono efficacemente alla salvezza delle anime” (DV 10). Nonostante questo delicato equilibrio che ha molte implicazioni ecumeniche, permangono alcune tensioni e occorre proseguire la riflessione su queste questioni fondamentali che determinano il modo di leggere le Scritture, il modo di interpretarle e di farne un uso proficuo
per la vita e la missione della Chiesa.
Convocatio: Dio chiama le sue creature all’esistenza tramite la sua Parola. Egli chiama l’uomo al dialogo nel suo Figlio e chiama la Chiesa a condividere la sua vita divina nello Spirito. Abbiamo voluto concludere questa parte sull’identità della Parola di Dio con una sezione sulla Chiesa, Sposa del Verbo incarnato. Nonostante la complessità dei rapporti tra Scrittura, Tradizione e Magistero, lo Spirito Santo assicura comunque l’unità dell’insieme, soprattutto se si tiene presente la dinamica responsoriale e anche sponsale del rapporto di Alleanza. Ponendo le funzioni ecclesiali della Scrittura, della Tradizione e del Magistero all’interno di una ecclesiologia mariana, invitiamo a un cambiamento di paradigma in cui l’accento passa dalla dimensione noetica alla dimensione personale della Rivelazione. La figura archetipica di Maria permette di far emergere la dimensione dinamica della Parola e la natura personale della fede come dono di sé, invitando la Chiesa a rimanere nella Parola e a essere aperta a ogni azione dello Spirito Santo.

II. COMMUNIO: LA PAROLA DI DIO NELLA VITA DELLA CHIESA

In questa seconda parte, affrontiamo la Parola di Dio nella vita della Chiesa cominciando dal dialogo della Chiesa con Dio nella sacra Liturgia che è la culla della Parola, il suo Sitz im Leben [21]. Successivamente, tratteremo la Lectio divina e l’interpretazione ecclesiale delle Sacre Scritture mettendo l’accento sulla ricerca del senso spirituale, invitando così a riallacciarsi con l’esegesi dei Padri della Chiesa.

A. IL DIALOGO DELLA CHIESA CON DIO CHE PARLA

1. La Sacra Liturgia

La Liturgia è considerata l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo, esercizio in cui il culto pubblico integrale è esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, ossia dal Capo e dai suoi membri (cf SC 7). Per questo la Costituzione Sacrosanctum concilium insiste sulle diverse modalità della presenza del Cristo nella Liturgia. “È presente nel sacrificio della messa sia nella persona del ministro, ‘egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora sé stesso per il ministero dei sacerdoti’, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche.”. Il Cristo “è presente nella sua parola giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra scrittura” (SC 7).
È lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra scrittura“. Non finiremo mai di scoprire le implicazioni pastorali di questa affermazione conciliare solenne. Essa ci ricorda che il soggetto primo della Sacra Liturgia è Cristo stesso che si rivolge al suo Popolo e che si offre al Padre come sacrificio d’amore per la salvezza del mondo. Anche se nell’attivazione dei riti liturgici, la Chiesa sembra svolgere il ruolo primario, in realtà essa svolge sempre un ruolo subordinato, al servizio della Parola e di Colui che parla. L’ecclesiocentrismo è estraneo alla rifoma del Concilio. Quando viene proclamata la Parola, è Cristo che parla in nome del Padre suo e lo Spirito Santo ci fa accogliere la sua Parola e partecipare alla sua vita. L’assemblea liturgica esiste finché essa è centrata sulla Parola e non su sé stessa. Altrimenti, essa degenera in un qualsiasi gruppo sociale.
Con questa insistenza, la Chiesa ci insegna che la Parola di Dio è innanzitutto Dio che parla. Già nella Prima Alleanza, Dio parla al suo popolo attraverso Mosé che gli riporta in seguito la risposta del popolo alle parole di Jahvé: “quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19, 8)[22]. Dio non parla tanto per istruirci quanto per comunicare sé stesso e “introdurci nella sua comunione” (DV 2). Lo Spirito Santo realizza questa comunione riunendo la comunità attorno alla Parola e attualizzando il mistero pasquale del Cristo in cui Egli offre sé stesso in comunione, poiché, secondo le Scritture, la missione del Verbo incarnato culmina nella comunicazione dello Spirito divino.[23] In questa luce trinitaria e pneumatologica, appare più evidente che la Sacra Liturgia è il dialogo vivo tra Dio che parla e la comunità che ascolta e risponde con la lode, l’azione di grazia e l’impegno nella vita e nella missione. Come coltivare nei fedeli la consapevolezza che la Liturgia è l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo alla quale la Chiesa è associata come Sposa prediletta? Quali conseguenze dovrebbe avere la riscoperta di questo luogo originario della Parola sull’ermeneutica biblica, sulla celebrazione eucaristica e soprattutto sul ruolo e sulla funzione della Liturgia della Parola, compresa l’omelia?

a) Parola e Eucarestia

La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo, non mancando mai soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. (DV 21)
Paragonando la Liturgia della Parola e l’Eucarestia con due “mense”, la DV voleva sottolineare a giusto titolo l’importanza della Parola. Questa espressione riprende un dato tradizionale che viene sottolineato con forza da Origene, per esempio, quando esorta al rispetto della Parola come se fosse il corpo di Cristo : “Se, quando si tratta del suo corpo, usate a giusto titolo tante precauzioni, perché vorreste che la negligenza della Parola di Dio meritasse un castigo minore di quella del suo corpo?“[24]
Se si vuol conservare la metafora delle due mense, non dovremmo rivedere il modo di venerarle? [25] Non dovremmo anche sottolineare in particolare la loro unità poiché esse servono lo stesso “Pane di vita” (Gv 6, 35-58) ai fedeli? Che sia sotto forma di Parola da credere o di Carne da mangiare, la Parola proclamata e la Parola pronunciata sulle offerte partecipano allo stesso evento sacramentale. La Liturgia della Parola ha in sé stessa una forza spirituale che è comunque decuplicata dal suo legame intrinseco con l’attualizzazione del mistero pasquale: la Parola di Dio che si fa carne sacramentale per la potenza dello Spirito. Questo mistero sacramentale si compie tramite le parole, come ricorda il Concilio di Trento [26] e anche tramite l’azione dello Spirito Santo che si esercita sul ministro ordinato e che è esplicitamente invocato nell’epiclesi.
Lo Spirito conferisce alla Parola proclamata nella Liturgia una virtù performativa, cioè “viva e efficace” (Eb 4, 12). Ciò significa che la Parola liturgica, come il Vangelo, “non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita“.[27] Questa virtù performativa della Parola liturgica dipende dal fatto che Colui che parla non vuole tanto istruire con la sua Parola, bensì comunicare sé stesso. Colui che ascolta e risponde non aderisce solo a verità astratte; si impegna personalmente con tutta la sua vita, manifestando così la sua identità di membro del corpo di Cristo. Lo Spirito Santo è la chiave di questa comunicazione vitale: plasma il Corpo sacramentale e ecclesiale del Cristo, come in Maria ha plasmato il suo Corpo di carne e, secondo Origene, il “Corpo della Scrittura”.[28] Così, con il Figlio e lo Spirito, “il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli e entra in conversazione con essi” (DV 21). Come formare discepoli e ministri capaci di valorizzare la dimensione trinitaria e responsoriale della Liturgia? Queste incidenze pastorali non riguardano solo una riforma degli studi, ma anche una rivalorizzazione della contemplazione delle Scritture.

b) L’omelia

Nonostante il riordinamento di cui l’omelia è stata oggetto al Concilio, sperimentiamo ancora l’insoddisfazione di molti fedeli nei confronti del ministero della predicazione. Questa insoddisfazione spiega in parte la fuga di molti cattolici verso altri gruppi religiosi. Per colmare le lacune della predicazione, sappiamo che non basta dare la priorità alla Parola di Dio, poiché occorre anche che essa sia interpretata correttament
e nel contesto mistagogico della Liturgia. Non basta neppure ricorrere all’esegesi né utilizzare nuovi mezzi pedagogici o tecnologici; non basta più neppure che la vita personale del ministro sia in profonda armonia con la Parola annunciata. Tutto ciò è molto importante, ma può rimanere qualcosa di estrinseco al compimento del mistero pasquale del Cristo. Come aiutare gli omelisti a mettere in relazione la vita e la Parola con questo avvenimento escatologico che fa irruzione all’interno dell’assemblea? L’omelia deve raggiungere la profondità spirituale, cioè cristologica della Sacra Scrittura.[29] Come evitare la tendenza al moralismo e coltivare il richiamo alla volontà di credere?
L’Instrumentum laboris ha evidenziato il passaggio di Luca 4, 21, che parla della “prima omelia” di Gesù nella sinagoga di Nazareth: “Allora cominciò a dire: ‹Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi›“. Il Vangelo di Luca introduce questa sequenza in modo solenne, facendo una sorta di riassunto della predicazione e del destino di Gesù. In un certo senso, la scena nella sinagoga di Nazareth fu simbolo della sua vita. Le persone si sono stupite del messaggio di grazia che usciva dalla sua bocca, ma alla fine erano pronte a gettarlo nel precipizio. L’inizio della sua predicazione è stato il prologo del mistero pasquale.
Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4, 21). Tra l’oggi del Risorto e l’oggi dell’assemblea, c’è la mediazione della Scrittura portata dallo Spirito sulle labbra dell’omelista. “Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” (Lc 4, 22). Illuminato dallo Spirito Santo, il testo spiegato in modo semplice e familiare serve come mediazione per l’incontro tra il Cristo e la comunità. Il compimento della Scrittura avviene così nella fede della comunità che accoglie il Cristo come Parola di Dio. L’oggi che interessa il predicatore è l’oggi della fede, l’esperienza di fede di abbandonarsi a Cristo e di obbedirgli fino alle esigenze morali del Vangelo.
Il sacerdote in quanto ministro della Parola completa ciò che manca alla predicazione di Gesù per il suo corpo che è la Chiesa. Egli condivide le sofferenze della preparazione, le difficoltà della comunicazione, ma soprattutto la gioia di essere strumento dello Spirito Santo a servizio di un avvenimento radicale: “l’accoglienza dell’uomo all’offerta d’amore di Dio che si presenta a lui nel Cristo“.[30]

c) L’Ufficio divino

Dio continua a parlare con il suo popolo mediante suo Figlio, nello Spirito, “non solo con la celebrazione dell’eucaristia, ma anche in altri modi specialmente con la recita dell’ufficio divino” (SC 83). Gesù Cristo “ha introdotto nell’esilio terreno l’inno che si canta in cielo per tutta l’eternità. Egli unisce a sé tutta la comunità umana e se la associa nel canto di questo inno di lode”. “Per cui, scrive sant’Agostino, l’unico salvatore del corpo mistico, il Signore nostro Gesù Cristo, è colui che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi; prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio: riconosciamo pertanto in Lui la nostra voce e in noi la sua“.[31]
L’Ufficio divino fa parte dell’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo, alla quale la Chiesa è intimamente associata in quanto Sposa del Verbo incarnato. La riforma dell’Ufficio divino realizzato dal Concilio ha prodotto grandi frutti nella Chiesa grazie allo sviluppo di una pratica molto più diffusa in forma semplificata che permetta un contatto frequente e orante con la Parola di Dio. Questa pratica monastica e conventuale, condita anche da letture patristiche, rimane un elemento costitutivo della tradizione ecclesiale e costituisce quindi un riferimento importante per l’interpretazione della Scrittura nella Chiesa.
Questa pratica ecclesiale incarna la finalità spirituale delle Sacre Scritture e valorizza la preghiera insuperabile dei salmi. “Certo, tutta la Sacra Scrittura, del Vecchio come del Nuovo Testamento, è ispirata da Dio e utile per l’insegnamento, come riportato, però il libro dei Salmi, scrive Sant’Atanasio, come un paradiso contenente tutti i frutti degli altri libri, propone i suoi canti e aggiunge i propri frutti agli altri nella salmodia“[32]. Colui che recita i salmi si trova come davanti a uno “specchio” in cui può ritrovare i propri sentimenti, come Agostino, quando confessa che in tal modo “la verità si infiltrava nel mio cuore trasportato dal fervore, le mie lacrime scendevano e questo mi faceva star bene“.[33]
Il Sinodo dovrebbe ricordare fino a che punto la pratica fervente dell’Ufficio divino, secondo la regola di ciascuna comunità, funga da fermento prezioso di vita comunitaria e di gioia[34]. Essa incarna la Sequela Christi, l’unione della Sposa con lo Sposo nella lode d’amore e d’intercessione per la gloria di Dio e la salvezza del mondo.

2. Lectio divina

La tradizione della Chiesa diffonde anche la prassi della Lectio divina come gioiosa contemplazione della Sacra Scrittura, proprio come Maria che meditava in cuor suo tutti i misteri di Gesù. “Maria ricercava il senso spirituale della Scrittura e lo trovava collegandolo (symballousa) alle parole, alla vita di Gesù e agli avvenimenti che veniva scoprendo nella sua storia personale”. In ciò, “Maria si fa simbolo per noi, per la fede dei semplici e per quella dei dottori della Chiesa che cercano, soppesano, definiscono come professare il Vangelo”.[35]
Vorrei soprattutto evocare e raccomandare l’antica tradizione della Lectio divina”, scrive Papa Benedetto XVI. “L’assidua lettura della sacra scrittura accompagnata dalla preghiera realizza quell’intimo colloquio in cui, leggendo, si ascolta Dio che parla e, pregando, Gli si risponde con fiduciosa apertura del cuore (cf DV 25). Questa prassi, se efficacemente promossa, recherà alla Chiesa – ne sono convinto – una nuova primavera spirituale“.[36]
Perché la prassi della Lectio divina sia vissuta con maggior frutto, il testo della DV 23 ci pone nella giusta prospettiva, evocando la Chiesa, Sposa del Verbo incarnato, che è animata e istruita dallo Spirito Santo. Questa ecclesiologia sponsale introduce essa stessa il clima di amore e reciprocità che favorisce la contemplazione della Scrittura. Questa preziosa indicazione ci aiuta a prendere coscienza dei presupposti ecclesiologici che rivestono un ruolo più importante di quanto sembri nel dialogo con Dio nel testo sacro. Nella misura in cui la Chiesa, nei suoi membri, si sente sposa amata, oggetto di un amore elettivo, sarà del tutto naturale rivolgersi amorosamente alla Sacra Scrittura come alla sorgente che scaturisce incessantemente dall’amore divino.[37]
In tale prospettiva, vanno considerate, rettamente comprese e recuperate le straordinarie esegesi dei Padri e la grande intuizione medievale dei “quattro sensi della Scrittura” perché non hanno perso il loro interesse”.[38] La prassi della Lectio divina darà frutti nella misura in cui si trovi immersa in un’atmosfera di fiducia nei confronti delle Scritture, cosa che suppone una esegesi del testo “alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta” (DV 12). In tale contesto non si incoraggerà mai a sufficienza “lo studio dei Santi Padri d’Oriente e d’Occidente e delle sacre liturgie” (DV 23).
In sintesi, la Lectio divina può dare un grande contributo al dialogo della Chiesa con Dio, alla formazione dei discepoli e delle comunità cristiane e anche al riavvicinamento delle Chiese e comunità ecclesiali mediante la “lettura spirituale comune della Parola di Dio”[39].
È auspicabile che il Sinodo incoraggi la ricerca di strategie nuove, semplici e attraenti, adeguate all’insieme del popolo cristiano o a categorie particolari di fedeli, per sviluppare il gusto e la pratica di una lettura co
ntinua, sia comunitaria che personale, della Parola di Dio.

B. L’interpretazione ecclesiale della Parola di Dio

1. Elementi problematici

L’interpretazione delle Scritture nella Chiesa ha dato luogo, a partire dalle origini apostoliche, a conflitti e tensioni ricorrenti. Scismi e separazioni hanno aggiunto altri ostacoli. Parallelamente a questi sfortunati avvenimenti, l’esegesi e la teologia non solo si sono allontanate l’una dall’altra, ma anche dall’interpretazione spirituale della Scrittura che era comune nell’epoca patristica.[40] Il modello contemplativo della teologia monastica e patristica ha ceduto il posto a un modello speculativo e spesso polemico sotto l’influenza di errori da combattere e di scoperte storiche, filosofiche e scientifiche. Si aggiungano anche la svolta antropocentrica del pensiero moderno, che ha scartato la metafisica dell’essere a favore di una epistemologia immanentista. Prigioniero del recinto incantato del cogito (Ricœur), l’uomo è affascinato dalle proprie prodezze speculative (Hegel), ma perde il senso della meraviglia dinnanzi al mistero dell’essere e della Rivelazione.[41]
In questo contesto di separazione e di conflitto fra la fede e la ragione, si assiste alla rimessa in discussione dell’unità della Scrittura e a una eccessiva frammentazione delle interpretazioni. D’ora in poi la relazione interna dell’esegesi con la fede cessa di essere unanime e aumentano le tensioni tra esegeti, pastori e teologi. [42] Certo, l’esegesi storico-critica si completa sempre di più con altri metodi, alcuni dei quali si riannodano alla tradizione e alla storia dell’esegesi.[43] In genere, però, dopo molti decenni di concentrazione sulle meditazioni umane della Scrittura, non è forse necessario ritrovare la profondità divina del testo ispirato, senza perdere le preziose acquisizioni delle nuove metodologie?
Non si insisterà mai abbastanza su tale punto, poiché la crisi dell’esegesi e dell’ermeneutica teologica colpisce profondamente la vita spirituale del Popolo di Dio e la sua fiducia nelle Scritture. Essa colpisce anche la comunione ecclesiale, a causa del clima di tensione, spesso malsano, che regna fra la teologia universitaria e il Magistero ecclesiale. Di fronte a tale delicata situazione, e senza entrare nei dibattiti scolastici, il Sinodo deve dare un orientamento per risanare i rapporti e favorire l’integrazione delle acquisizioni delle scienze bibliche ed ermeneutiche nell’interpretazione ecclesiale delle Sacre Scritture.[44]
In tal senso, i dialoghi, promossi dalla Congregazione della dottrina della fede, dovrebbero essere intensificati per approfondire in modo multidisciplinare e rispettoso delle competenze i punti controversi e preparare così il compito della Chiesa che deve adempiere “il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la Parola di Dio” (DV 12). In questo senso la Pontificia Commissione Biblica e la Commissione Teologica Internazionale rivestono un ruolo importante e molto apprezzato. Il Sinodo potrebbe riconoscere il prezioso contributo di questi organismi e incoraggiare sessioni congiunte [45] al fine di intensificare il dialogo fra pastori, teologi ed esegeti. Potrebbe anche suggerire incontri regionali dello stesso tipo che contribuirebbero a creare un sano clima di comunione e di servizio alla Parola di Dio. Inoltre il Sinodo potrebbe proporre di considerare il senso spirituale della Scrittura quale asse di integrazione di questa ricerca di unità.[46]

2. Il senso spirituale della Scrittura

Il teologo competente riconosce chiaramente, scrive padre De Lubac, che l’esistenza di un doppio significato letterale e spirituale è un dato inalienabile della tradizione. Essa fa parte del patrimonio cristiano. Esso [il senso spirituale] è, ripetiamolo con i Padri, il Nuovo Testamento stesso, con tutta la sua fecondità, che si rivela a noi ‘come compimento e trasfigurazione dell’Antico‘”[47] Secondo San Tommaso d’Aquino, il senso spirituale presuppone il senso letterale e poggia su di esso.[48] Tuttavia, ogni interpretazione simbolica o spirituale deve mantenere una omogeneità con il senso letterale. Giacché, “ammettere dei significati eterogenei equivarrebbe a togliere al messaggio biblico le sue radici, che sono la Parola di Dio comunicata storicamente, e ad aprire la porta a un soggettivismo incontrollabile“.[49]
Questo timore del soggettivismo e la mancanza di riflessione contemporanea sull’ispirazione scritturale spiegano la lentezza dell’esegesi cattolica contemporanea nell’interessarsi veramente al senso spirituale della Scrittura.[50] Ciononostante prende forma in tal senso una evoluzione significativa: “Come regola generale, scrive la PCB, possiamo definire il senso spirituale, compreso secondo la fede cristiana, il senso espresso dai testi biblici quando vengono letti sotto l’influsso dello Spirito Santo nel contesto del mistero pasquale di Cristo e della vita nuova che ne risulta“[51] Questa definizione ben si collega con l’orientamento della DV 12, che chiede di interpretare i testi biblici con lo stesso Spirito con cui furono scritti.
Infatti è stato lo Spirito a preparare gli avvenimenti dell’Antico e del Nuovo Testamento secondo una progressione che va dalla promessa al compimento; è per mezzo dello Spirito che questi avvenimenti sono stati interpretati mediante parole profetiche e riletture simboliche o sapienziali per condurre il Popolo di Dio, attraverso purificazioni e approfondimenti successivi, all’incontro con Gesù Cristo, pienezza della Rivelazione. In fondo, il senso spirituale della Scrittura, “il vero senso rimane quello dello Spirito Santo“.[52] “Quanto a me, scrive san Bernardo, così come mi ha insegnato il Signore, cercherò nei profondi recessi della parola sacra il suo Spirito e il suo vivo significato; questo da parte mia, poiché credo in Gesù Cristo. Come non cercare di estrarre dalla lettera morta e insipida un alimento spirituale gustoso e salutare, come si separa il grano dalla pula, la noce dal guscio o come si estrae il midollo da un osso? Non ho nulla a che fare con questa lettera che sa di carne e dà la morte a chi la mangia. Ma ciò che si nasconde sotto il suo involucro viene dallo Spirito Santo“.[53]
La pratica dell’esegesi spirituale della Scrittura richiede qui ancora un approfondimento pneumatologico. Non basta solamente leggere “sotto l’influenza dello Spirito Santo”, occorre cercare di percepire nella lettera lo Spirito in essa contenuto. Così, lo Spirito Santo non è solo un agente estrinseco della produzione della Sacra Scrittura; è colui che, nella Bibbia, si esprime d’intesa con la Parola del Padre, che è Gesù Cristo. Nel prolungamento di questa ricerca, sarebbe opportuno che il Sinodo si interrogasse sulla pertinenza di una eventuale enciclica sulla interpretazione della Scrittura nella Chiesa..

3. L’esegesi e la teologia

L’esegesi e la teologia si occupano dello stesso oggetto, la Parola di Dio, ma da prospettive diverse e complementari. L’esegeta studia la “lettera” della Scrittura “con lo stesso spirito mediante il quale è stata scritta [54] per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi” (DV 12). È attento alla genesi storica dei testi, al loro genere letterario, alla loro strutturazione, ma anche al rapporto fra i diversi libri della Bibbia e tra i due Testamenti. Il Sinodo dovrebbe accogliere il rifiorire dell’interesse per l’approccio canonico della Scrittura e gli sforzi per proporre delle sintesi di teologia biblica come interessanti passi avanti nella direzione di una intelligenza globale della Scrittura. Anche il teologo si sforza di interpretare la “lettera” in funzione de “l’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa” (DV 12), dei linguaggi filosofici e non solo che caratterizzano la cultura della sua epoca, rispettando per quanto possibile le sensibilità particolari dei suoi contemporanei.
Esegeti e teologi sanno che “le sacre Scritture con
tengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l’anima della sacra teologia (DV 24). Questa Parola di Dio è sempre e simultaneamente la Parola della fede, la testimonianza di un popolo e dei suoi autori ispirati. Conseguentemente, i metodi esegetici e teologici devono riflettere l’interdipendenza della “lettera”, dello Spirito e della fede nel lavoro di interpretazione. Il rapporto di Alleanza tra Dio e il suo popolo abita il testo stesso ed esige un’interpretazione non soltanto noetica, ma anche dinamica e dialogale. Insomma, o gli esegeti e i teologi interpretano rigorosamente la Bibbia nella fede e nell’ascolto dello Spirito, oppure si attengono alle caratteristiche superficiali del testo se si limitano a considerazioni storiche, linguistiche o letterarie.
Tra i compiti impellenti della ricerca, l’approfondimento dell’epistemologia teologica con l’aiuto dei Padri della Chiesa e dei santi è fondamentale. Con il loro atteggiamento personale e metodico di fede contemplativa, essi si aprono alla profondità del testo, cioè alla presenza di Dio che parla oggi attraverso di esso e interpella l’ascoltatore. Da qui la loro testimonianza di una “scienza dell’amore[55]” che rimane la via d’accesso per eccellenza alla conoscenza di Dio. “La precisione ispirata con la quale i santi meno speculativi insistono su certi aspetti della vita cristiana può avere effetti imprevedibili sulla teologia viva della Chiesa. Pensate alla regola di San Benedetto, al testamento di San Francesco d’Assisi, agli esercizi di Sant’Ignazio“[56]. Anche se i santi citati non sono teologi professionisti, gli accenti propri della loro vita fungono da “canoni” e da regole di interpretazione della Rivelazione poiché “sono coloro che amano chi conosce di più Dio. Essi devono essere ascoltati dal teologo“. [57] Santa Teresa del Bambin Gesù sapeva che la sua via di infanzia spirituale era un esempio da imitare e San Paolo, nella Bibbia cristiana, si mostra lui stesso esempio.
Per un’etica antropologica chiusa, la schiettezza con cui San Paolo dimostra in sé stesso la santità cristiana – al fine di dimostrare la verità dogmatica – e presenta l’analisi della propria esistenza davanti alla Chiesa intera e davanti al mondo avrà sempre qualcosa di sorprendente. Ma essa è soltanto il riflesso esatto e docile, sul piano ecclesiale, della straordinaria affermazione del Cristo, quella di essere lui stesso nella sua esistenza viva la verità di Dio“.[58] “Il modo in cui San Francesco comprende la Scrittura si differenzia da quello dei suoi biografi su alcuni punti essenziali. Quest’ultimi hanno familiarità con i metodi scientifici dell’epoca e si concentrano su un’esegesi simbolica in cui l’immaginazione non conosce limiti. Per Francesco tutto è completamente diverso: egli non ha idea dei principi ermeneutici accettati al suo tempo. La sua esegesi è realista, concreta, la sua immaginazione è legata alla lettera della Scrittura“.[59] Insomma, i santi contemplano con gli occhi dello Spirito le profondità di Dio che emergono dalla Sacra Scrittura. [60] “I santi stanno al Vangelo come una partitura cantata sta a una partitura scritta“, scrive San Francesco di Sales.[61]

III. MISSIO: LA PAROLA DI DIO NELLA MISSIONE DELLA CHIESA

Abbiamo posto la Parola di Dio nella vita della Chiesa sotto l’egida della Communio, poiché la Parola accolta nella fede ci introduce nella comunione trinitaria. L’esperienza di questa comunione comporta una conversione sempre più profonda all’Amore e una partecipazione al dinamismo missionario ed escatologico della Parola di Dio. Animato dallo Spirito della Pentecoste, questo Sinodo vuol fare eco a questo dinamismo.
La Parola di Dio cresceva e si diffondeva“, ci riferiscono gli Atti degli Apostoli (At 12, 24). Essa faceva adepti tra i Giudei e i pagani, come testimonia Pietro stesso davanti alla comunità di Gerusalemme parlando dell’effusione dello Spirito Santo sui pagani. È così che “la parola del Signore cresceva e si rafforzava” per la Sua potenza (At 19, 20), incrementando la Chiesa e comunicandole la pace del Regno (cf At 9, 31).

A. ANNUNCIARE IL VANGELO DEL REGNO DI DIO

1. La Chiesa, serva della Parola

La Chiesa “ha una viva consapevolezza che la parola del Salvatore – ‘Devo annunziare la Buona Novella del Regno di Dio’ – si applica in tutta verità a lei stessa. E volentieri aggiunge con San Paolo: ‘Per me evangelizzare non è un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se non predicassi il Vangelo!‘” (1 Cor 9, 16). Il centro della missione della Chiesa è l’evangelizzazione. Evangelizzare significa: “predicare e insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella s. Messa, che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione” (EN 14). “Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità, è, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: ‘Ecco io faccio nuove tutte le cose!“‘ (Ap 21, 5)”. (EN 18).
Nell’adempimento della sua missione evangelizzatrice, la Chiesa accoglie e serve la Parola di Dio. Con la profezia, la Liturgia e la diaconia, essa testimonia il dinamismo personale della Parola incarnata. Vescovi, sacerdoti, diaconi, laici e persone consacrate, tutti rimangono nella Parola e agiscono in armonia con essa, secondo il carisma che hanno ricevuto dallo Spirito. Collaborando così con la Parola di Dio, la Chiesa partecipa alla missione dello Spirito che riunisce i “figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11, 52) ricapitolandoli “in Cristo” (cf Ef 1, 10).

2. Il Gesù storico dei Vangeli

Come ai tempi degli apostoli, la Chiesa annuncia il Regno di Dio, cioè Gesù, il Cristo, così come è presentato nei Vangeli. Ora questo compito è stato ipotecato dall’influenza delle correnti di esegesi che hanno aumentato il divario tra il “Gesù della storia” e il “Cristo della fede”. Queste correnti esegetiche hanno messo in discussione il valore storico dei Vangeli, minando così la credibilità del testo. “Una simile situazione è drammatica per la fede, dichiara Benedetto XVI, poiché il vero punto di forza da cui dipende tutto – l’amicizia intima con Gesù – è incerto“.[62] Tuttavia, da qualche decennio, la ricerca biblica ha ristabilito il valore storico dei Vangeli[63] e ha riaffermato anche il loro carattere biografico[64]. Questi risultati non sono ancora molto conosciuti e non hanno corretto l’impatto negativo dell’esegesi razionalista sulla vita spirituale e sulla testimonianza missionaria dei cristiani.
In questo contesto, la pubblicazione del libro Gesù di Nazareth di Papa Benedetto XVI rappresenta un grande evento che libera l’accesso alla figura autentica di Gesù. Esso mostra che l’identità divina di Gesù, storicamente attestata dai Vangeli, emerge dai testi stessi e dalla testimonianza coerente e credibile del Nuovo Testamento. Pur valorizzando i risultati positivi dell’esegesi storico-critica, il Papa ne sottolinea i limiti metodologici e auspica lo sviluppo de “l’esegesi canonica” per completare l’interpretazione teologica. L’atteggiamento liberatore di Benedetto XVI consiste nel “confidare nei Vangeli”, presentando il “Gesù dei Vangeli come un Gesù reale”, come un “Gesù storico” nel vero senso della parola [65].
Questo libro “non è in alcun modo un atto del Magistero“[66], ma rimane comunque un faro che protegge dagli scogli e dai naufragi. La sua testimonianza avvicina la teologia e l’esegesi mediante l’unione armoniosa della competenza scientifica e della testimonianza personale di un’autorità ecclesiale. Va da sé che un’opera simile aiuta a dissipare la confusione propagata da alcuni fenomeni mediatici [67] e a rilanciare il dialogo della Chiesa con la cultura contemporanea. Il Sinodo potrebbe riconoscere in questo lib
ro un luogo importante per la rifondazione di una cultura contemplativa dei Vangeli.

B. INCARNARE LA TESTIMONIANZA DI DIO AMORE

1. Il primato dell’amore

Oggi quando lo Spirito parla alla Chiesa ricordandole le Scritture, la chiama a una nuova testimonianza d’amore e di unità affinché ravvivi la credibilità del Vangelo di fronte a un mondo che è più sensibile ai testimoni che ai dottori. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni con gli altri” (Gv 13, 35). Il segno dell’amore reciproco prolunga la testimonianza di Dio, poiché incarna l’amore stesso di Gesù che ha detto: “Che vi amiate gli uni con gli altri; come io vi ho amato” (Gv 13, 34). Questo “come” significa: amatevi dello stesso amore con cui io vi amo. Tutta la preghiera sacerdotale di Gesù, sintesi della sua offerta pasquale, mira a associare l’umanità alla testimonianza di unità della Trinità: “E la gloria che tu hai dato a me io l’ho data a loro, perché siano con noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17, 22-23). Gregorio di Nissa identifica la Gloria con lo Spirito[68], che prega anch’egli con il Cristo affinché i suoi discepoli siano consacrati nella verità, cioè consumati nell’unità. Questa preghiera solenne dimostra che la fedeltà al comandamento dell’amore coinvolge non solo la salvezza del credente, ma anche e soprattutto la credibilità della Trinità nel mondo. “<i>Che tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).
La testimonianza della Parola di Dio esige quindi dei discepoli missionari[69] che siano autentici testimoni del primato dell’amore sulla scienza. San Paolo lo afferma senza mezzi termini nell’inno alla carità della prima Lettera ai Corinzi (1 Cor 13, 1-13) e nell’esortazione ai Filippesi: ricercate “l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti” (Fil 2, 2) sull’esempio di Cristo nella sua kenosis. “Non sono manuali aridi, anche se sono pieni di verità indiscutibili, che possono esprimere per il mondo la verità del Vangelo e renderlo plausibile, è l’esistenza dei santi che sono stati rapiti dallo Spirito Santo del Cristo. Il Cristo non ha contemplato altra apologetica” (Gv 13, 35)”.[70]

2. La testimonianza ecumenica

A partire dall’ingresso ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico, i papi hanno fatto della causa dell’unità dei cristiani una priorità. Peraltro, il riavvicinamento ecumenico ha permesso alle Chiese e alle comunità ecclesiali di interrogarsi insieme sulla propria fedeltà alla Parola di Dio. Benché gli incontri e i dialoghi ecumenici abbiano suscitato frutti di fraternità, di riconciliazione e di aiuto reciproco, la situazione attuale è caratterizzata da un certo malessere che richiede una conversione più profonda a “l’ecumenismo spirituale”[71] .”Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, devono essere considerate come l’anima di tutto il movimento ecumenico” (UR 8).
Questo orientamento del Concilio conserva tutta la sua attualità come esorta il Santo Padre: “Ascoltare insieme la parola di Dio; praticare la lectio divina della Bibbia, cioè la lettura legata alla preghiera; lasciarsi sorprendere dalla novità, che mai invecchia e mai si esaurisce, della parola di Dio; superare la nostra sordità per quelle parole che non si accordano con i nostri pregiudizi e le nostre opinioni; ascoltare e studiare, nella comunione dei credenti di tutti i tempi; tutto ciò costituisce un cammino da percorrere per raggiungere l’unità nella fede, come risposta all’ascolto della Parola.”[72].
Tra le numerose testimonianze ecumeniche del nostro tempo, citiamo a titolo d’esempio il movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich, la cui spiritualità dell’unità pone l’accento su “l’amore reciproco” e l’obbedienza alla “Parola di vita”. La pedagogia di questo movimento dà giustamente la priorità all’elemento dinamico dell’amore rispetto all’elemento noetico della Parola. Questa priorità richiede da parte di tutti i partner ecumenici una conversione sempre più profonda al disegno d’amore di Dio trinitario, che lo Spirito Santo cerca di portare a compimento con “gemiti inesprimibili” (Rm 8, 26).
È significativo il fatto che questo movimento cattolico ed ecumenico – non dovremmo forse dire solo “cattolico”, cioè ecumenico? – porti il nome canonico di “Opera di Maria”. In esso vi confluiscono serenamente e armoniosamente – come d’altronde in altri movimenti[73] – il movimento biblico, il movimento ecumenico e il movimento mariano, grazie a una pratica risoluta della Parola di Dio, incarnata e condivisa.[74] Questa testimonianza ricorda che l’unità dei cristiani e il suo impatto missionario non sono innanzitutto “opera nostra”, ma dello Spirito e di Maria[75].

C. DIALOGARE CON LE NAZIONI E CON LE RELIGIONI

1. A servizio dell’uomo

L’attività missionaria della Chiesa affonda le radici, come abbiamo detto, nella missione del Cristo e dello Spirito che rivela e diffonde la comunione trinitaria in tutte le culture del mondo. La portata salvifica universale del mistero pasquale del Cristo richiama l’annuncio della Buona Novella a tutte le nazioni e anche a tutte le religioni. La Parola di Dio invita ogni uomo al dialogo con Dio che vuole salvare tutti gli uomini in Gesù Cristo, l’unico mediatore (1 Tm 2,5 ; Eb 8,6 ; 9,5 ; 12,24). L’attività missionaria della Chiesa testimonia il suo amore totale per Cristo che comprende ogni cultura. Nei suoi sforzi di evangelizzazione delle culture, quest’attività riguarda l’unità dell’umanità in Gesù Cristo, ma nel rispetto e nell’integrazione di tutti i valori umani.[76] “In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8).
Nel suo dialogo liturgico con Dio, la Chiesa intercede per tutti gli uomini e soprattutto per i più poveri. La sua passione per la Parola di Dio la conduce sui passi di Gesù povero, casto e obbediente, per portare la speranza, la riconciliazione e la pace in tutte le situazioni di ingiustizia, di oppressione e di guerra. Come per il “buon Samaritano”, questa preoccupazione per qualsiasi uomo esprime la compassione della Chiesa per ogni sofferenza umana e la sua disponibilità a soccorrere i poveri e gli afflitti. Consapevole della presenza di Gesù al suo fianco, come sulla via di Emmaus, essa interpreta la Scrittura come lui “partendo da Mosè e da tutti i profeti” e spiegando a ogni uomo il mistero di Gesù salvatore: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 26).
Questa esegesi di Gesù, ripresa continuamente dalla Chiesa, conferma l’interpretazione cristologica del Primo Testamento che i Padri, fin da Origene e Ireneo, hanno ampiamente sviluppato. Ai nostri giorni, tenuto conto della storia tragica delle relazioni fra Israele e la Chiesa, siamo invitati non solo a riparare l’ingiustizia commessa nei confronti degli ebrei, ma anche a “un rinnovato rispetto per l’interpretazione giudaica dell’AT“[77]. Un dialogo rispettoso e costruttivo con il giudaismo può servire inoltre ad approfondire, da entrambe le parti, l’interpretazione della Sacra Scrittura [78] .

2. Il dialogo interreligioso

Fra gli interlocutori dei differenti dialoghi della Chiesa con le nazioni, il popolo ebraico occupa un posto particolare in quanto erede della prima Alleanza con cui condividiamo le Sacre Scritture. Questa eredità comune ci invita alla speranza, “perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!” (Rm 11, 29), come tes
timonia appassionatamente San Paolo nella lettera ai Romani: “Vorrei infatti essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.” (Rm 9, 1-5); “Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato come sta scritto” (Rm 11, 25-26).
Seguono immediatamente i fedeli di fede musulmana, radicati anch’essi nella tradizione biblica, che professano un unico Dio. Di fronte alla secolarizzazione e al liberalismo, sono degli alleati nella difesa della vita umana e nell’affermazione dell’importanza sociale della religione. Il dialogo con loro è più importante che mai nelle circostanze attuali per “promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (NA 3). La testimonianza dei martiri di Tibhirine in Algeria nel 1996 eleva questo dialogo a un livello forse mai raggiunto nella storia, per quanto riguarda il servizio dell’uomo e la riconciliazione dei popoli. Le audaci iniziative di Papa Benedetto XVI sostengono la prosecuzione perseverante del dialogo con l’Islam.
Vengono infine gli uomini “di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (cf. Ap 5, 9), che sono sotto il cielo, poiché l’Agnello immolato ha versato il suo sangue per tutti. La Parola di Dio è destinata specialmente a coloro che non ne hanno mai sentito parlare, poiché, nel cuore di Dio e nella coscienza missionaria della Chiesa, gli ultimi hanno la grazia di essere i primi.[79]
In un mondo in via di globalizzazione, con i nuovi mezzi di comunicazione, il campo della missione è aperto a nuove iniziative d’evangelizzazione in uno spirito di autentica inculturazione. Siamo nell’era di Internet e le possibilità di accedere alla Sacra Scrittura si sono moltiplicate [80]. Il Sinodo deve ascoltare, discernere ed incoraggiare i progetti di trasmissione e di trasposizione delle Sacre Scritture in tutti questi nuovi linguaggi che aspettano di servire la Parola di Dio.

Conclusione

E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? […] Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore” (1 Gv 5, 5-9).
Gesù viene sempre, nella Chiesa, per “rendere testimonianza della Verità” e per comunicare a coloro che credono nel suo nome la conoscenza del Padre, che egli possiede in pienezza. Questo messaggio di Giovanni delinea il primo obiettivo e la prima preoccupazione del Sinodo: ascoltare ed accogliere nuovamente Dio che parla e chiedere la grazia di una fede rinnovata nel suo Verbo incarnato. Consapevoli del rinnovamento ecclesiologico legato alla concezione dinamica e dialogale della Rivelazione, abbiamo suggerito alcune tracce di approfondimento della Parola di Dio a partire dalla fede di Maria così come si prolunga nella vita della Chiesa, la Liturgia, la predicazione, la Lectio divina, l’esegesi e la teologia.
L’applicazione di questo paradigma mariano presuppone un approfondimento pneumatologico della tradizione ecclesiale e dell’esegesi scritturale che rendano conto della virtù performativa della Parola di Dio, distinguendola accuratamente dalla presenza eucaristica. Più che una biblioteca per eruditi, la Bibbia è un tempio in cui la Sposa del Cantico ascolta le dichiarazioni dell’Amato e celebra i suoi baci (cf Ct 1,1). “Chi è istruito dallo Spirito Santo comprende ogni cosa, scrive San Silvano, la sua anima si sente come in Cielo, poiché lo Spirito Santo stesso è in Cielo e sulla terra, nella Sacra Scrittura e nelle anime di tutti coloro che amano Dio“.[81] Questa prospettiva più dinamica che noetica richiede una teologia più contemplativa, radicata nella Liturgia, nei Padri e nella vita dei santi, un’esegesi praticata nella fede in conformità con il suo oggetto, e anche una filosofia dell’essere e dell’amore.
Essa si apre a una lettura spirituale della Bibbia più fruttuosa, a una interpretazione ecclesiale della Scrittura e a una rivitalizzazione del dialogo missionario della Chiesa in tutte le sue forme. La frequentazione più assidua delle Scritture rinvigorirà la coscienza missionaria della Chiesa e il suo amore per l’uomo, immagine di Dio che tende alla somiglianza divina.
San Cesario d’Arles esortava spesso i suoi diocesani a non trascurare mai ciò che egli chiamava “nutrimento dell’anima per l’eternità“: “Vi prego, diletti fratelli, di applicarvi a consacrare alla lettura dei testi sacri tante ore quante potrete“.[82] Spesso, alla fine della giornata, amava domandare ai suoi sacerdoti, a proposito della meditazione della Parola di Dio: “Che cosa avete mangiato oggi?” Magari potessimo avere la stessa disponibilità, lo stesso gusto per la Parola di Dio e porci a nostra volta la stessa domanda: “Che cosa abbiamo mangiato oggi?

Note

[1] S. CESARIO D’ARLES, sermone VI.
[2] Instrumentum laboris, 4.
[3] L’aggettivo “dialogale” è un neologismo. È usato qui per esprimere la dimensione personale e responsoriale della fede come dialogo con Dio. Corrisponde in certo modo alla differenza fra “teologico” e “teologale”, il primo riferito all’aspetto noetico e il secondo all’aspetto personale.
[4] Vedi J. Ratzinger, Commento di Dei Verbum in LThK, 1967 ; A. Grillmeier in LThK Vat. II, vol. 2, Freiburg i. Br., 1967 ; H. de Lubac, La Révélation divine, Paris, Cerf, 1983, 190 p; A. Vanhoye, “La réception dans l’Église de la constitution Dei Verbum. Du Concile Vatican II à nos jours“, in Esprit et Vie, n° 107, giugno 2004, 1a quindicina, pp. 3-13 ; H. Hoping: “Theologischer Kommentar zur Dogmatischen Konstitution über die göttliche Offenbarung. Dei Verbum“, in P. Hünermann, B. J. Hilberath (Hrsg), Herders theologischer Kommentar zum Zweiten Vatikanischen Konzil. Freiburg-Basel-Wien: Herder, 2005; pp. 695-831 ; C. Théobald, “La Révélation. Quarante ans après Dei Verbum”, in Revue théologique de Louvain 36 (2005), pp. 145-165.
[5] Instrumentum laboris, 6.
[6] M. Seckler, “Der Begriff der Offenbarung”, in Handbuch der Fundamentaltheologie, Ed. W. Kern et.al., vol.2, Freiburg i. Br., 1985, pp. 64-67.
[7] Ibid.
[8] J. Rigal, “Le phénomène gnostique”, in Esprit et Vie, n° 192, aprile 2008 – 2a quindicina, pp. 1-10.
[9] P. Bordeyne et L. Villemin (dir.), L’herméneutique théologique de Vatican II, Paris, Cerf (coll. “Cogitatio Fidei”), 2006, 268 p.
[10] Benedetto XVI, Lettera enciclica Deus caritas est.
[11] Benedetto XVI, Lettera enciclica Spe salvi, n° 9.
[12] Gv 19, 25-27 ; Gv 20, 21-22 ; 1 Pt 2, 9-10.
[13] S. Ireneo di Lione, Trattato contro le eresie, I, 3.
[14] S. Cipriano, De Orat. Dom. 23: PL 4, 553.
[15] Instrumentum laboris, 25.
[16] “Non crediamo in formule, ma nelle realtà che esse esprimono e che la fede ci permette di ‘toccare’. ‘L’atto (di fede) del credente non si ferma davanti all’enunciato, ma alla realtà (enunciata)’ (S. Tommaso d’Aquino, S. th. 2-2, 1, 2, ad 2)” (CEC 170). L’oggetto formale della fede è la Persona che enuncia e che si dona nel suo enunciato supremo, Gesù Cristo, che lo Spirito Santo ci autorizza a professare. La fede è essenzialmente trinitaria, è un atto di dono personale in risposta a un dono tri-personale di Dio. Nel testo della Dei Verbum si percepisce un equilibrio ancora da raggiungere fra l’aspetto personale o dinamico e l’aspetto noetico della fede.
[17] H. de Lubac, L’Écriture dans la tradition
, Aubier, 1966, p. 100.
[18] Equivale a dire che la vita di fede di Maria è più che un esempio per la Chiesa, è madre, ovvero fonte permanente di vita per la Chiesa.
[19] Vedi Conc. di Trento, sess. XXII, 17 sett. 1562, Decr. De Ss. Eucharist., c. 1. “volle lasciare alla Chiesa, sua diletta Sposa, un sacrificio visibile”; Lumen Gentium 4; Dei Verbum 8, 23; Sacrosanctum Concilium, 7. Vedi anche: Ef 5, 21-32; Ap 22, 17; Gv 2; Gv 19, 25-27).
[20] H. de Lubac, L’Écriture dans la tradition, Aubier, 1966, p. 246 ; l’autore fa riferimento a san Bernardo, Sup. Missus est, h. 4, n. 11, facendo parlare Maria: “Nec fiat mihi verbum scriptum et mutum, sed incarnatum et vivum” (PL, 183, 86 B).
[21] Sull’espressione, vedi W. Rordorf, “La confession de foi et son “Sitz im Leben” dans l’Église ancienne” in Novum Testamentum, Vol. 9, Fasc. 3 (Lug., 1967), pp. 225-238; A. Vanhoye, “La réception dans l’Église de la constitution dogmatique Dei Verbum. Du Concile Vatican II à aujourd’hui”, Esprit et Vie, n° 107, giugno 2004, p. 9.
[22] Questa dimensione responsoriale si trova già espressa con enfasi nella descrizione del rito fondatore dell’alleanza sinaitica (Es 24, 3.7) e anche nella narrazione della fase preparatoria (Es 19, 8).
[23] Gv 19, 30; Gv 20, 22 ; At 2, 1-13; Rm 8, 15-17; Gal 4, 6.
[24] Origene, Omelie sull’Esodo, 13, 3.
[25] La storia della redazione di questo passaggio mostra che, nella versione finale, è stata apportata una sfumatura: si usa l’espressione sicut et au invece di velut per evitare di forzare un confronto nel senso di una identica venerazione. Vedi H. Hoping, op. cit., 2005; p. 791.
[26] “Il Corpo si trova sotto la specie del pane e il Sangue sotto la specie di vino per la virtù delle parole” Denz. 1640.
[27] Benedetto XVI, Spe salvi, 2.
[28] Origene, I principi, IV, 2.8. ; cf Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 12-13.
[29] Vedi Lumière de la Parole, Culture et Vérité, 1990, il commento alle letture domenicali delle annate A, B et C di H. U. v. BALTHASAR, che mette in risalto l’unità delle tre letture da un punto di vista teologico. Questo commento pubblicato in varie lingue risponde a una necessità spesso espressa dagli omelisti. L’originale in tedesco Licht des Wortes. Skizzen zu allen Sonntagslesungen è stato pubblicato da Paulinus Verlag, Trier, 1987.
[30] J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Op. cit., p. 50; cf Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 46.
[31] S. Agostino, Commento ai salmi 85.
[32] S. Pio X, Costituzione apostolica Divino afflatu, 1911, Liturgia delle Ore, vol. 3, p. 1254.
[33] Ibid.
[34] Menzioniamo il felice rinnovamento biblico di numerose pratiche e devozioni che sono anche luoghi importanti di meditazione della Sacra Scrittura: l’adorazione eucaristica fuori dalla messa, il santo rosario, la via crucis, ecc.
[35] Instrumentum laboris, 25.
[36] Benedetto XVI, “Ad Conventum Internationalem La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa” (16.09.2005): AAS 97 (2005) 957. Vedi anche C.M. Martini, “La place centrale de la Parole de Dieu dans la vie de l’Église – L’animation biblique de toute la pastorale” in Catholic Biblical Federation, n° 76/77, 2005, p.33.
[37] Cf. H. U. v. Balthasar, Sponsa Verbi. Skizzen zur Theologie II, Johannes Verlag, 1961 ; La Dramatique divine. II. Les personnes du drame. 2. Les personnes dans le Christ, pp. 209-367 ; H. Rahner, “Die Gott Geburt. Die Lehre der Kirchenväter von der Geburt Christi Aus dem Herzen der Kirche und der Gläubigen”, in Symbole der Kirche (O. Müller, Salzburg, 1964, 13-87); L. A. Schökel, Símbolos matrimoniales en la Biblia, Estella, Verbo Divino, 1997.
[38] Instrumentum laboris, 22.
[39] W. Kasper, “Dei Verbum Audiens et Proclamans” in Catholic Biblical Federation, n° 76/77, 2005, p.11. Vedi anche Groupe des Dombes, Pour la conversion des Églises, Paris, 1991.
[40] H. U. v. Balthasar, Retour au Centre, Desclée de Brouwer, 1998, pp. 25-57
[41] H. U. v. Balthasar, Theologik 1. Wahrheit der Welt, Johannes Verlag, 1985, pp. 11-23 ; Phénoménologie de la Vérité. La Vérité du monde, Beauchesne, 1952.
[42] Vedi a questo proposito I. de la Potterie, L’exégèse chrétienne aujourd’hui, Fayard, 2000, p. 220, in particolare J. Ratzinger, “L’interprétation de la Bible en conflit. Problèmes des fondements et de l’orientation de l’exégèse contemporaine”, pp. 65-109.
[43] Pontificia Commission Biblica, Interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 1.
[44] J. Ratzinger, “L’interprétation de la Bible en conflit”, in L’exégèse chrétienne aujourd’hui, Fayard, pp. 65-109; I. De la Potterie, “L’exégèse biblique, science de la foi”, in ibid., pp. 111-160.
[45] L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Atti del Simposio promosso della Congregazione per la Dottrina della Fede, Settembre 1999, Libreria Editrice Vaticana, 2001.
[46] W. Kasper, op. cit., p. 11. “La lecture spirituelle de l’Écriture et l’exégèse scripturaire sont réponses au malaise œcuménique et exégétique”
[47] H. de Lubac, L’Écriture dans la tradition, Aubier, 1966, p. 201. Per lo studio generale del magistrale contributo di Padre de Lubac, cf R.Voderholzer, Die Einheit Der Schrift Und Ihr Geistiger Sinn, Johannes, 1998, p. 564.
[48] S. Tommaso d’Aquino, S. th. I, q. 1, a. 10, ad 1.
[49] Pontificia Commissione Biblica, Interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 2.B.1.
[50] A. Vanhoye, op cit. pp. 3-13.
[51] Pontificia Commissione biblica, op. cit., 2.B.2.
[52] H. U. v. Balthasar, “Le sens spirituel de l’Écriture” in L’exégèse chrétienne aujourd’hui, op. cit., p. 184.
[53] S. Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici, 73, 2.
[54] Benedetto XV, Encicl. Spiritus Paraclitus, 15 sett. 1920, E. B., 469; S. Girolamo, Sulla lettera ai Galati, 5, 19-21, PL 26, 417 A.
[55] S. Teresa di Lisieux, Manuscrits autobiographiques, B 1r°-v°; F.-M. Léthel, Connaître l’amour du Christ qui surpasse toute connaissance, Carmel, 1989, p. 593 (La théologie des saints comme science de l’amour, pp. 3-7).
[56] H. U. v. Balthasar, “Actualité de Lisieux”, conferenza a Notre-Dame de Paris, in Thérèse de Lisieux, Conférence du centenaire 1873-1973, numero speciale di Nouvelles de l’Institut catholique, p. 112.
[57] H. U. v. Balthasar, “L’amour seul est digne de foi”, Aubier, 1966, p. 11.
[58] H. U. v. Balthasar, “La Gloire et la Croix”, t. 1, Aubier, 1961, p. 194.
[59] A. Rotzetter, “Mystique et observation littérale de l’Évangile chez François d’Assise”, in Concilium 169, 1981, p. 86.
[60] Cf. M. Ouellet, “Adrienne von Speyr et le samedi saint de la théologie” in Hans Urs von Balthasar – Stiftung Adrienne von Speyr und ihre spirituelle Theologie, Johannes, 2002, p. 145, pp. 31-56.
[61] S. Francesco di Sales, Lettera CCXXIX [6 Ottobre 1604]: Œuvres XII, Annecy, Dom Henry Benedict Mackey, o.s.b., 1892-1932, pp. 299-325.
[62] J. Ratzinger -Benedetto XVI, Jésus de Nazareth, Flammarion, 2007, p. 8.
[63] A. Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia, 1986 ; J. Jeremias, Il problema del Gesù storico, Paideia, 1973.
[64] R. Burridge, What are the Gospels? A Comparaison with Greco-Roman Biography. Cambridge, University press 1992.
[65] J. Ratzinger- Benedettto XVI, Op. cit., p.17.
[66] Ibid. p. 19.
[67] Cf D. Brown, Il Codice da Vinci, Jean-Claude Lattès, 2004, p. 574.
[68] S. Gregorio di Nissa, 15a omelia sul Cantico dei Cantici
[69] CELAM, “Disciples et missionnaires de Jésus-Christ, pour qu’en Lui nos peuples aient la vie en plénitude” (Documento di Aparecida), Va Conferenze generale di Aparecida (Brasile) dal 13 al 31 maggio 2007.
[70] H. U. v. Balthasar, “La Gloire et la Croix”, op. cit., p. 418.
[71] UR e UUS ; vedi anche W. Kasper, Manuel d’œcuménisme spirituel, Nouvelle Cité, 2007, p. 96.
[72] Benedetto XVI, Allocuzione Il mondo attende la testimonianza comune dei cristiani (25.01.2007): L’Osservatore Romano, E.H.L.F. 5 (30.01.2007) p. 3.
[73] Specialmente le comunità e movimenti di Sant
‘Egidio, Taizé, ecc.
[74] C. Lubich, Pensée et spiritualité, Nouvelle Cité, 2003,p. 510.
[75] M. Ouellet, Marie et l’avenir de l’œcuménisme, Communio XXVIII, 1- Gennaio-Febbraio 2003, pp. 113-125; D.-I Ciobotea; B. Sesboue ; J.-N. Peres ; “Marie: L’oecuménisme à l’épreuve”, L’actualité Religieuse dans le Monde, 1987, no46, pp. 17-24.
[76] AG 11; EN 20; RM 3.
[77] Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia Cristiana, 2001: J. Ratzinger, Prefazione, p. 12.
[78] Ibid., nn. 9, 11, 21-22,85-86.
[79] AG 10.
[80] A titolo d’esempio, la Biblia Clerus della Congregazione per il Clero offre strumenti di consultazione molto validi provenienti, fra l’altro, dalla Bible chrétienne scritta da Dom Claude-Jean Nesmy e da Madre Élisabeth de Solms, benedettini delle abbazie di La Pierre qui Vire et Solesmes, pubblicata da Éditions Anne Sigier.
[81] S. Silvano del Monte Athos, Écrits spirituels, Spiritualité orientale n° 5, Abazia di Bellefontaine, 1976/1994, p. 30.
[82] S. Cesario d’Arles, Sermone VIII, 1; (Cf. SC 175, pp. 349-351).

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ZENIT Staff

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