Pakistan: la Chiesa prega e digiuna per Asia Bibi

La donna cristiana, madre di cinque figli, è in attesa del ricorso alla Corte suprema per scongiurare la condanna a morte per blasfemia confermata la scorsa settimana dall’Alta Corte di Lahore

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La Chiesa in Pakistan si unisce in preghiera per Asia Bibi, la cristiana madre di cinque figli condannata per blasfemia. La donna è in attesa del ricorso alla Corte suprema, ultimo passaggio per scongiurare  il verdetto di morte confermato la scorsa settimana dall’Alta Corte di Lahore in una sentenza di appello.

I fedeli pakistani, però, non si rassegnano e continuano a sperare che non verrà uccisa un’altra innocente. Quindi oggi si sono riuniti per celebrare la Giornata di digiuno e preghiera per Asia Bibi, guidata dal vescovo di Islamabad-Rawalpindi, mons. Rufin Anthony. “Preghiamo per Asia Bibi, la sua famiglia, per Zafar Bhatti e le altre persone imprigionate a causa delle leggi sulla blasfemia”, ha detto il presule all’agenzia Asia News. 

“Nessun innocente dovrebbe essere vittima in nome della religione”, ha gridato inveceMaulana Muhammad Mehfooz Ali Khan del Consiglio per l’ideologia islamica, ricordando che scopo delle leggi è di “proteggere la sacralità della religione e il profeta Maometto” e che, quindi, tutti gli abusi “vanno condannati”. 

Sulla vicenda della donna condannata alla pena capitale per l’accusa di due persone di aver insultato l’Islam, è intervenuto ieri anche Haroon Barkat Masih, direttore della “Masihi Foundation”, impegnata in Pakistan per il miglioramento della vita dei cristiani e anche nella difesa di cristiani ingiustamente accusati di blasfemia.

“Ci sono troppi interessi in gioco dietro al caso di Asia Bibi – ha detto Masih -. Troppi poteri forti e troppe pressioni che, alla fine, coprono e finiscono per calpestare la verità dei fatti”. “Continuiamo a sperare perché, da cristiani, la nostra fede alimenta la speranza”, ha aggiunto, “continuiamo a pregare per Asia Bibi e per il suo rilascio, perché il Signore la protegga e la consoli”.

E’ vero che “ci sono molti elementi che non inducono all’ottimismo”, ha osservato il direttore della Fondazione, “basti ricordare che sulla testa di Asia pende ancora una taglia, promessa da un imam, che premia chi la ucciderà”. Tuttavia “le pressioni e la mobilitazione internazionale possono essere utili”. Soprattutto “è necessaria la volontà politica del governo e delle massime autorità pakistane” se si vuole porre fine a un storia segnata da evidenti ingiustizie. Oltre al fatto che la sentena della Corte Suprema potrebbe essere ribaltata, anche in caso di condanna, il Presidente del Pakistan avrebbe sempre il potere di concedere la grazia.  

Ma il Premier attuale, Nawaz Sharif – ha dichiarato Barkat – “in passato ha dato ampio spazio a gruppi estremisti e approvato la legge sulla blasfemia per calcolo politico: dunque non sembra quello più adatto a prendere posizione contro tali pressioni”. Senza dimenticare che “la corruzione e il desiderio di sfruttare il caso per fini economici” sono due aspetti molto presenti.

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ZENIT Staff

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