Non c’è pace senza difesa della vita

Intervista a Ernesto Olivero, fondatore del Sermig

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di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 7 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Che c’entra la difesa della vita con la battaglia contro la pena di morte? Che relazione c’è tra il difendere la vita e la famiglia e i progetti di pace? Può esistere una questione sociale senza difesa della vita?

Queste ed altre domande ZENIT le ha rivolte a Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani) e dell’Arsenale della Pace di Torino.

Madre Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II ed anche Padre Pio hanno più volte sottolineato che non ci sarà pace nel mondo se non si porrà fine all’aborto. Qual è il suo parere in proposito?

Olivero: Il cristiano è cristiano se vive il comandamento dell’amore: dar da mangiare all’affamato, dare da bere all’assetato, visitare il carcerato… Da qui deriva la sensibilità o la non sensibilità verso la vita in tutte le sue fasi, soprattutto nei tempi di maggior fragilità.

Quando, tanti anni fa, una ragazza mi ha confidato di voler abortire, perché sola, senza lavoro, senza casa, mi sono interrogato e mi sono detto: se credo nel valore della vita, non posso limitarmi ad indicarle la strada, devo starle vicino nei suoi problemi concreti. Il suo bambino è nato, ma ho avuto una figlia e un nipote in più.

Per chi come me si impegna da sempre per aiutare nel mondo vite umane schiacciate dalle guerre e dalla fame, come non spendersi per salvare una vita che nasce… Ci sarà pace quando la vita dell’uomo sarà rispettata, accolta, amata sempre, dal concepimento alla morte, sempre con il medesimo amore, e in ogni parte del mondo.

In questo inizio di terzo millennio sembra trionfare la cultura dei diritti. Molti però sostengono che anche l’aborto è un diritto. Lei che ne pensa? 

Olivero: Il nostro tempo esalta l’“IO”: tutto ruota intorno a me, tutto è per me, io posso tutto… Se IO sono al centro di tutto, i miei diritti non sono in discussione. E’ una questione di scala di valori. In questo senso siamo tutti da rieducare, soprattutto noi cristiani che abbiamo perso la nostra identità.

Oggi per andare avanti dobbiamo aver il coraggio di tornare indietro. Dobbiamo tutti avere il coraggio di fare un passo indietro nei nostri diritti acquisiti e pensare che per offrire a tutti le medesime opportunità di vita, forse dobbiamo accontentarci tutti di avere di meno. Ma sicuramente tutti dobbiamo mettere al centro il più debole: l’anziano, il malato, il bambino… Chi crede che la vita è un valore in sé, crede che lo è sempre e comunque, dal primo momento fino alla fine e per l’eternità; crede che non c’è una vita che vale più di un’altra: la mamma e il bambino vanno accolti entrambi e aiutati entrambi.

Il diritto alla vita è diritto di tutti e soprattutto è diritto della vita più debole ad essere fasciata di cure, di affetto, di attenzione. Per quanto può dipendere da noi ci mettiamo in gioco in prima persona per contribuire a che ogni vita sia vissuta in pienezza, con opportunità uguale per tutti, cure, istruzione, lavoro… in una società dove giustizia, solidarietà, libertà siano il patrimonio di tutti.

In Europa attualmente c’è una interruzione volontaria di gravidanza ogni 25 secondi e una separazione o divorzio ogni trenta secondi. Nonostante le tante sofferenze causate, alcuni sostengono che questa sia la strada del progresso e dell’emancipazione femminile. Cosa direbbe in proposito?

Olivero: La donna ha conquistato la sua autonomia con grandi fatiche, e questo va detto; va detto anche che, ancora oggi e nonostante tutto il progresso, è spesso vittima di violenza anche tra le mura domestiche. Se avessimo a cuore le donne, se le amassimo veramente, le aiuteremmo a capire che l’aborto crea una ferita che non si rimargina più; le aiuteremmo a non arrivare ad un atto di così grande crudezza. Ma bisogna aiutarle davvero.

Per tanti anni la questione sociale è stata separata dalla difesa della vita. Cosa ne pensa in proposito?

Olivero: Viviamo in un mondo che continua a tuffarsi nel baratro della morte. Per ribaltare questa tendenza la strada da intraprendere è quella dell’amore, è quella di farsi gli affari degli altri. Le azioni concrete di ognuno di noi possono contribuire perché ogni vita sia vissuta in pienezza.

Da sempre le nostre case sono aperte ai più disagiati in nome del rispetto della vita e della dignità della persona; da sempre cerchiamo di sostenere le madri sole, le madri in attesa di un figlio. Accanto a tutte le forme di accoglienza rivolte alla mamma e al bambino, abbiamo accettato anche di realizzare la culla della vita, non come alternativa al diritto della donna a partorire il suo bambino nell’anonimato e a lasciarlo in ospedale, non riconoscendolo, ma come possibilità ultima anche per chi, per ignoranza delle possibilità di assistenza al parto in ospedale, non trovi o non le sia data altra alternativa che un cassonetto dove deporre il bimbo appena nato come è successo recentemente a Varese.

Ma vogliamo anche lasciare questa ultima estrema possibilità di salvare una vita a chi, per paura, per ignoranza o per qualunque altro drammatico motivo, non trovi altra strada. In un luogo come l’Arsenale della Pace, la culla della vita resta un segno, un richiamo per tutti noi a guardarci attorno perché accanto a donne e madri in difficoltà non manchi mai un consiglio, un aiuto, una mano amica.

Dobbiamo lavorare perché ogni persona abbia le opportunità per vivere una vita piena di dignità, in ogni fase della vita. Non si può pensare che la vita non sia vita o chiederle di morire prima di essere vissuta.

[Per maggiori informazioni: http://www.sermig.org/]

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ZENIT Staff

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