Le ragioni della speranza cristiana sono più forti della morte

Omelia del cardinale Caffarra per la Commemorazione di tutti i defunti

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

BOLOGNA, venerdì, 2 novembre 2012 (ZENIT.org) – Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, ha pronunciato questa mattina nella Chiesa Monumentale di S. Girolamo durante la Santa Messa per la Commemorazione di tutti i defunti. 

***

1. «Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato perché ci salvasse, questi è il Signore in cui abbiamo sperato: rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza». L’invito del profeta a rallegrarsi del dono della salvezza è anche la conferma che la speranza di chi confida nel Signore non resta delusa. «In lui abbiamo sperato perché ci salvasse» e il profeta sembra sottintendere: “potete costatare che Egli ha mantenuto la promessa”. Ed anche il salmista, come avete sentito, prega: «al tuo riparo io non sia deluso».

Cari fratelli e sorelle, il luogo in cui noi ci troviamo, di fronte alle tombe dei nostri cari, ci pone però alcune domande: per quanto tempo posso sperare nel Signore senza paura di rimanere deluso? Solo per il tempo di questa vita dal momento che la morte ci toglie tutte le ragioni per continuare a sperare? So che molti di voi visitano in questi giorni il cimitero perché sono intimamente convinti che la morte non è una caduta nel nulla eterno. Ma vi è chi viene in questo luogo durante questi giorni mosso da una pia e lodevole consuetudine, e come da un debole barlume di speranza rimasto ancora in fondo al cuore, in una vita oltre la morte. A tutti voi, fratelli e sorelle, desidero dire in primo luogo perché le ragioni della nostra speranza sono più forti della morte; dirvi che la speranza cristiana non fugge i sepolcri.     

Una delle più antiche raffigurazioni artistiche di Gesù lo raffigura come un pastore che porta sulle spalle una pecora. Certamente i nostri primi fratelli e sorelle nella fede avevano ben presente la parabola del buon pastore che va a cercare la pecora che si è smarrita e trovatala la riporta all’ovile sulle spalle. Ma la raffigurazione dice anche qualcosa di più profondo.

Gesù è il pastore che è passato attraverso la valle oscura della morte: è morto veramente e realmente. Ma Egli non è rimasto nella valle oscura della morte; è ritornato per prendere sulle spalle ciascuno di noi nel momento della morte, perché non restiamo in essa, ma attraverso essa giungiamo alla vera vita. La consapevolezza che non sarò solo ad attraversare la valle della morte, poiché con me in quel momento ci sarà Lui, il Signore Gesù, che mi accompagna alla vita: questa è la speranza cristiana, la quale non fugge neppure davanti ai sepolcri. Veramente possiamo fare nostre le parole del profeta: «ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato: rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza».

2. L’apostolo Paolo nella seconda lettura ci dice che la nostra speranza, una speranza così consistente da non essere messa in discussione neppure dalla morte, non è qualcosa che riguarda esclusivamente il futuro, ma che sostanzialmente ci lascia per ora come ci trova. Noi fin da ora, in forza della fede e dei suoi sacramenti, veniamo già in possesso di un anticipo – la caparra, dice Paolo – di ciò che la speranza attende. Ma ascoltiamo l’Apostolo.

«Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito di figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre”… e se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio». Ciò che noi speriamo è già presente; e questo anticipo ci dona la certezza che la nostra speranza non ci deluderà.

Mi spiego con un esempio. Immaginiamo che un padre scriva un testamento e lo metta già prima di morire nelle mani del figlio, assicurandolo che non lo cambierà mai più. Questa consegna definitiva rende certo il figlio di ereditare. Una cosa analoga l’ha fatta il Padre. Egli ha scritto un nuovo ed eterno Testamento in cui ci assicura che al momento della morte noi entreremo in possesso della sua vita eterna. Ha depositato questo testamento nel credente: è il dono dello Spirito Santo. E così il nostro futuro
dopo-morte è già attirato dentro il nostro presente, ed il nostro presente non è una vacua attesa.

3. Ieri nella seconda lettura della S. Messa abbiamo letto: «chiunque ha questa speranza in Lui, purifica se stesso, come egli è puro». Cari fratelli e sorelle come potremmo, come potrebbero i nostri defunti entrare nella casa di Dio se non sono puri come Dio è puro?

Noi siamo qui oggi non solo per confermarci nella beata speranza generata in noi dalla fede. Siamo qui anche per compiere un eminente atto di carità: pregare per i nostri defunti. Desideriamo che essi siano ammessi alla eredità eterna perché vogliamo loro bene; desideriamo quindi che siano completamente purificati. E’ questo duplice desiderio che prende corpo nella nostra preghiera di suffragio, “perché siano lavate le loro colpe nel sangue di Cristo e siano ricevuti fra le braccia della divina misericordia”.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione