L'inno alla speranza di Francesco tra le mura del Verano

Il Papa celebra la Messa di Ognissanti nel cimitero romano e, a braccio, parla della devastazione che subisce il mondo di oggi a causa di “un uomo che si crede dio”

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È tornato al Verano Papa Francesco a celebrare la Solennità di Tutti i Santi e ricordare i cari defunti. Il Pontefice già lo scorso anno aveva celebrato la Messa nell’ingresso del monumentale cimitero romano, riprendendo una tradizione che si era interrotta 20 anni prima con la funzione presieduta da Giovanni Paolo II il 1° novembre 1993.

E come lo scorso anno, Bergoglio ha voluto parlare a braccio per esprimere, nel luogo dove la gente piange i suoi morti, tutto il dolore per le vittime dei mali che logorano oggi il mondo. In particolare tre immagini hanno guidato la riflessione del Pontefice, che prende le mosse dalla prima Lettura dell’Apocalisse proposta dalla liturgia del giorno.

La prima è la triste immagine di una Terra devastata dai suoi stessi abitanti. Nel brano dell’Apocalisse, l’Angelo gridava a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso di distruggere la Terra e il Mare: “Non devastate la Terra né il Mare né le piante”. E al Papa viene in mente “una frase che non è qui, ma è nel cuore di tutti noi: ‘Gli uomini sono capaci di farlo, meglio di voi’”.

“Noi – sottolinea, infatti – siamo capaci di devastare la Terra meglio degli angeli. E questo lo stiamo facendo, questo lo facciamo: devastare il Creato, devastare la vita, devastare le culture, devastare i valori, devastare la speranza. E quanto bisogno abbiamo della forza del Signore perché ci sigilli con il suo amore e con la sua forza, per fermare questa pazza corsa di distruzione”.

Bergoglio rammenta il bombardamento di Roma che colpì il quartiere del Verano: “Quando in sagrestia guardavo le fotografie di 71 anni fa – ricorda – ho pensato: ‘Questo è stato tanto grave, tanto doloroso. Questo è niente in comparazione di quello che oggi accade’”.

La radice di tutto ciò è che “l’uomo si impadronisce di tutto, si crede Dio, si crede il Re”. E pone in atto queste guerre che “continuano non precisamente a seminare grano di vita”. È una vera e propria “industria della distruzione”, afferma Francesco, un sistema in cui “quando le cose non si possono sistemare, si scartano”. A farne le spese sono poi i bambini, gli anziani, i giovani senza lavoro, i popoli…. “Questa devastazione ha fatto questa cultura dello scarto”, dice il Papa.

Richiama poi una seconda immagine: “questa moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua … I popoli, la gente …”. Il pensiero del Papa va a tutti coloro che, ora, con il freddo alle porte, “devono fuggire per salvare la vita, dalle loro case, dai loro popoli, dai loro villaggi, nel deserto … e vivono in tende, sentono il freddo, senza medicine, affamati … perché il dio-uomo si è impadronito del Creato, di tutto quel bello che Dio ha fatto per noi”.

“Ma chi paga la festa? Loro!”, rimarca con durezza Bergolio, “i piccoli, i poveri, quelli che da persona sono finiti in scarto. E questo non è storia antica: succede oggi”, anche nel nostro quartiere, dietro la nostra porta. “Sembra che questa gente – osserva il Pontefice -, questi bambini affamati, ammalati, sembra che non contino, che siano di un’altra specie, non siano umani. E questa moltitudine è davanti a Dio e chiede: ‘Per favore, salvezza! Per favore, pace! Per favore, pane! Per favore, lavoro! Per favore, figli e nonni! Per favore, giovani con la dignità di poter lavorare!’”.

Sono “quelli che vengono dalla Grande Tribolazione”, come dice l’Apocalisse: “santi sconosciuti”, “peccatori come noi, peggio di noi, ma distrutti”.  Il Papa invita a pensare a questa tanta gente “in tribolazione”.

E alla fine, dopo la devastazione e le sue vittime, c’è una terza immagine: Dio. “Noi fin d’ora siamo figli di Dio”, rimarca il Papa citando la seconda Lettura. Un Dio che si rivelerà per come Egli è, cioè “la speranza”. La speranza che “abbia pietà del Suo popolo, che abbia pietà di questi che sono nella Grande Tribolazione. Anche, che abbia pietà dei distruttori e si convertano”, dice Francesco.

È proprio questa speranza, santa, che manda avanti la Chiesa. E l’unico atteggiamento per poter “camminare verso il Padre, in questo mondo di devastazione, in questo mondo di guerre, in questo mondo di tribolazione”, spiega Papa Francesco, è l’atteggiamento delle Beatitudini.

“Soltanto quel cammino ci porterà all’incontro con Dio – afferma -. Soltanto quel cammino ci salverà dalla distruzione, dalla devastazione della Terra, del Creato, della morale, della Storia, della famiglia, di tutto. Soltanto quel cammino: ma ci farà passare cose brutte, eh? Ci porterà problemi. Persecuzione. Ma soltanto quel cammino ci porterà avanti”.

Le ultime parole di Bergoglio sono dunque un incoraggiamento a non cedere alla tentazione di pensare che tutto sia perduto. “Che il Signore – è il suo auspicio finale – ci aiuti e ci dia la grazia di questa speranza, ma anche la grazia del coraggio di uscire da tutto quello che è distruzione, devastazione, relativismo di vita, esclusione degli altri, esclusione dei valori, esclusione di tutto quello che il Signore ci ha dato: esclusione di pace”. Ci liberi da questo, aggiunge, “e ci dia la grazia di camminare con la speranza di trovarci un giorno a quattr’occhi con Lui”. E questa speranza, lo sappiamo, non delude.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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