L’ Humanae vitae: un’Enciclica che sollecita i Pastori

ROMA, domenica, 12 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica la relazione pronunciata da monsignor Giuseppe Anfossi, Vescovo di Aosta e Presidente della Commissione Episcopale per la famiglia, i giovani e la vita, in occasione del Congresso internazionale “Humanae vitae: attualità e profezia di un’Enciclica”, svoltosi dal 3 al 4 ottobre scorso presso l’Università Cattolica di Roma.

 

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Introduzione

Interpreto il mio compito nel modo seguente; si chiede a me, che sono Vescovo di una Diocesi in Italia, di rispondere alla domanda: i Vescovi che esercitano il loro ministero in un popolo loro affidato quali sollecitazioni ricevono, secondo Lei, dall’Enciclica HV? La parola ‘sollecitazione’ nella lingua italiana dice ‘richiesta insistente fatta con un po’ d’urgenza’. Immagino che le ‘sollecitazioni’ siano pastorali e riguardino l’educazione della fede affidata in primo appello al Pastore e poi alle diverse persone che condividOno con lui, in forma diversa responsabilità e compiti di carattere pastorale. Questa responsabilità accoglie le parole di Paolo VI rivolte ai vescovi: “Lavorate con ardore e senza sosta alla salvaguardia e alla santità del matrimonio, perché sia sempre vissuto in tutta la sua pienezza umana e cristiana. Considerate questa missione come una delle vostre più urgenti responsabilità nel tempo presente.” (n. 30).

Il Vescovo ha la cura di un gregge per tutto ciò che riguarda la vita cristiana; il suo compito pastorale, quindi, è ampio quanto la missione pastorale della Chiesa (non è uno studioso di teologia o morale, e neppure l’incaricato di una particolare pastorale ad esempio, familiare o giovanile). I compiti di insegnare, santificare e governare nella Chiesa sono affidati al successore di Pietro e ai Vescovi in comunione con lui. Il ministero affidato ai Vescovi mediante uno specifico sacramento (cfr CCC n. 875) ha un carattere collegiale, é quindi esercitato in comunione con il Vescovo di Roma successore di Pietro e con gli altri Vescovi dentro un collegio. Esso ha però anche un carattere personale come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “è chiamato personalmente : ‘Tu seguimi’ (Gv 21,22) per essere, nella missione comune, testimone personale, personalmente responsabile davanti a colui che conferisce la missione, agendo ‘in sua persona’ e per delle persone: ‘Io ti battezzo nel nome del Padre…’; ‘Io ti assolvo…’ ” (n. 878). Desidero allora parlare con voi delle sollecitazioni che un Vescovo sente in sé rileggendo l’Enciclica HV, stando in questa posizione ecclesiale che ho descritto, anche personale.

Provo subito ad elencare ciò che secondo me un Vescovo ‘sente’ e pensa durante la lettura avendo di fronte il suo popolo. Immagino che la reazione sia diversa da vescovo a vescovo, ma provo a non guardare solo a me stesso.

La fedeltà a Dio e all’uomo

Se c’è un progetto di salvezza di Dio, il pastore non può non vederlo in riferimento alle concrete situazioni di vita dei soggetti interessati, alla loro cultura e mentalità, e non può non chiedersi quale peso abbia la situazione concreta sul progetto stesso e se per caso non induca a modificarlo. In ogni caso nasce la domanda: la situazione concreta ha soltanto una funzione passiva e di recezione? Questo problema che è stato preso seriamente in considerazione dal Papa Paolo VI, può trovare oggi una nuova e diversa considerazione?

Dopo tanti anni dalla pubblicazione dell’Enciclica, sono davvero molte le risposte date in qualche modo al problema che ho sollevato; vi hanno concorso fedeli laici, religiosi, presbiteri e vescovi. Credo dunque che si possa affermare che la Chiesa nel suo livello più autorevole, a cominciare da Paolo VI, abbia risposto dicendo che è proprio la fedeltà all’uomo a motivare la decisione che ispira l’Enciclica. Si deve inoltre notare che con il passare del tempo questa fedeltà si manifesta sempre più. Essa assume un carattere addirittura profetico come ha detto chiaramente Giovanni Paolo II il 7 novembre 1988.1 A ben guardare si è anche trattato di conciliare verità e carità, e una verità che produce libertà. Provo a dirlo con il Catechismo della Chiesa Cattolica che lo indica come un compito affidato ai Vescovi: “[…] Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera” (n. 890). Questa citazione mi interessa come Pastore anche là dove dice che il mio compito è vigilare affinché il popolo di Dio rimanga nella verità. Mi chiedo ora però come posso declinare concretamente e quotidianamente questo compito di vigilare; esso comporta naturalmente anche proporre, diffondere, sostenere idee e convinzioni e, forse, prendere delle corrispondenti iniziative. Un aspetto molto importante e anche un po’ previo è dato dal proporre la dottrina dell’Enciclica in modo convincente, mostrando quindi che contiene una verità che libera; non è sufficiente che ne sia convinto io soltanto. Devo dire che la lettura della più diversa letteratura specifica, a cominciare da quanto è offerto dal magistero, mi aiuta. Bisogna riconoscere che negli anni si è fatto molto lavoro culturale per mostrare che la scelta è buona; questo vale soprattutto per quanto riguarda l’antropologia, la concezione dell’uomo e della sessualità nell’unità di corpo e spirito, e il significato della procreazione. Anche la concezione del matrimonio e la spiritualità coniugale ne hanno guadagnato. Il punto che più mi convince – pur annotando la difficoltà di trovare sempre le parole per dirlo – è riconducibile all’ intero o al totale come reazione forte e salvante, mentre la cultura moderna accentua la frammentarietà dell’universo umano.2 (Cfr Benedetto XVI, OR 11. 05. 2008).

Continuare a riflettere e studiare: un compito tuttora aperto

Rileggendo l’HV e almeno una parte dei documenti e studi che ad essa si riferiscono trovo che si possono elencare notevoli punti acquisiti in favore dell’HV e della verità che contiene, ma nello stesso tempo credo si debba tenere vivo l’appello lanciato da Paolo VI allora e prima dal Concilio Vaticano II agli uomini di scienza perché la riflessione e lo studio continuino.3 Il compito culturale volto a comprendere di più e meglio non è quindi terminato. Se l’insegnamento dell’HV non è facile come dice lo stesso Papa Benedetto XVI, non si deve lasciare nulla di intentato. Questo compito culturale, pedagogico, didattico e comunicativo è molto impegnativo e va seriamente considerato da tutti coloro che come me sono impegnati nella missione pastorale, perché ricorda a tutti che pur sapendo da quale parte sta la verità, il tempo presente deve essere vissuto e concepito come in movimento e ancora in crescita, un cantiere aperto.

Avere cura dei protagonisti della pastorale

Dal punto di vista pastorale potrebbe essere utile e formativo offrire ai sacerdoti e ad altri operatori, religiosi e laici, delle informazioni più accurate sullo stato della ricerca teorica, ed eventualmente offrire ad alcuni di loro momenti di formazione almeno sui temi che si ritiene siano più importanti oggi. Non è facile definirli, ne indico uno, l’educazione all’amore che comprenda, come è giusto, anche la formazione al sentimento, all’affettività e alla sessualità. La preparazione dei ragazzi e ragazze alla Cresima, la pastorale dei ragazzi e dei giovani di parrocchia, associazione, movimento e oratorio, hanno un estremo bisogno di idee, racconti, riflessioni, strumenti e sussidi. Perché non far incontrare di più su questo compito educativo gli uomini e le donne delle facoltà teologiche con gli educatori e gli animatori? Il tema è molto vicino al meraviglioso retroterra richiesto per comprendere la pedagogia proposta dall’HV. Il tema naturalmente deve essere affrontato con saggezza pedagogica e profondità spirituale. Secondo me sarebbe necessario accrescere il dialogo tra i ‘teorici’ e i ‘pratici’ (tra i teologi professori di facoltà e gli educatori sul campo) e avviare delle sperimentazioni condotte con la presenza di veri supervisori teorici. Non possiamo nasconderci una constatazione precisa: le conoscenze che abbiamo della sessualità – parlo soprattutto del
le conoscenze che si presentano come scientifiche – non sono a punto di arrivo e c’è anche da domandarsi se lo saranno mai. Tuttavia oggi è possibile comporre un patrimonio di conoscenze che possediamo e metterlo a servizio dei diversi educatori. Questo però richiede preventivamente un altro incontro tra gli studiosi delle discipline teologiche e quelli delle scienze umane.

Sulla formazione di chi insegna discipline teologiche e filosofiche

A questo proposito voglio esprimere un’osservazione personale: la poca esperienza che ho fatto di convegni organizzatiti da soggetti e istituzioni fedeli al magistero, mi dice che i difensori della dottrina dell’HV – e sono per lo più studiosi di professione eo insegnanti universitari – hanno genericamente parlando, i seguenti valori o meriti e limiti. I valori sono dati dal possesso amoroso della dottrina della Chiesa che presentano e dalla forza del pensiero astratto, sistematicamente costruito e ben inserito nella tradizione teologica. I limiti sono dati dalla conoscenza troppo teorica che essi hanno delle teorie filosofiche, sociologiche e psicologiche del mondo contemporaneo e occidentale. Essi conoscono le tesi antropologico-filosofiche che sottendono tali teorie, ma non hanno dimestichezza con i presupposti di tali teorie che citano.4 Questo fa sì che chi li ascolta provenendo dalle scienze umane non riesce a ‘entrare’ nella loro esposizione tanto sistematica e dalle premesse teoriche a loro non note; di conseguenza molte persone di per sé ben disposte anche credenti e praticanti, pur esercitando delle professioni importanti oggi, dai medici agli psicologi, rimangono escluse dalla comprensione che li potrebbe persuadere. Per dirla tutta, coloro che posseggono una preparazione universitaria filosofica eo teologica dovrebbero munirsi di conoscenze teoriche psicologiche, antropologiche, sociologiche e medico-scientifiche di prima mano e dirette. Questo studio darebbe loro anche un altro vantaggio non secondario: permetterebbe di costruire delle ‘letture’ più ampie e più documentate conformi al pensiero della Chiesa; lo potrebbero fare poggiando su quelle parti di verità o di scoperte scientifiche che sono acquisite e condivise e già presenti nel pensiero laico di oggi. Così facendo si eviterebbero alcuni aspetti negativi del dibattito contemporaneo come è talora condotto da parte dei pensatori cattolici religiosi o preti: usare il proprio linguaggio tecnico e non il loro; considerare l’altro come un avversario e quindi esagerare in termini di opposizione e di denuncia di errore l’esposizione della posizione avversa con il rischio di esasperare la distanza tra la nostra verità e il loro errore.

Persuadere: un’arte da coltivare

Un problema importante e grave per un Vescovo, ma lo condivide con gli esperti del vostro mestiere, riguarda la costruzione del consenso sulle tesi teoriche previe e presupposte alle indicazioni etiche. Questo consenso da costruire riguarda molte persone, una parte di coloro che pure si definiscono fedeli alla Chiesa, ivi compresi quelli che hanno delle responsabilità in essa. Riguarda più precisamente i destinatari della pastorale matrimoniale e familiare: i giovani in crescita verso l’età adulta, i fidanzati e gli sposi e coloro che si rivolgono ai consultori; riguarda naturalmente anche tutti coloro che hanno delle responsabilità nei loro confronti, medici, insegnanti di metodi naturali, operatori di consultorio, sacerdoti e coniugi animatori di pastorale familiare; infine, gli uomini e le donne dalla comunicazione sociale cattolica e altri ancora. Il Pastore, in breve, anche se decide di riferirsi soltanto o prevalentemente ai componenti del Popolo di Dio, si interroga spesso sulle strade da percorrere per persuadere o almeno per creare un consenso critico disponibile alla ricerca o alla messa in discussione della posizione tenuta fino allora e spesso errata, delle persone che gli sono affidate. La sua domanda poi si articola in alcune pastorali particolari, ad esempio pastorale familiare e giovanile e quella affidata all’ufficio diocesano delle comunicazioni sociali. In ogni caso, mi permetto di dire che la domanda sulla strade da percorre è molto seria e che oggi trova poche risposte o almeno non adeguate alla gravità del problema.

Piccole e quotidiane attenzioni

Tra le cose importanti che sono da fare aggiungo ancora le seguenti. In generale, ma soprattutto circa il tema che ci sta cuore qui oggi, i responsabili della pastorale e dell’educazione dovrebbero imparare e mettere in atto delle forme educative fatte per coltivare la coscienza. Da un certo punto di vista le persone che frequentiamo sono migliori di quanto appare ai loro stessi occhi; esse però abitualmente non sanno parlare di tutto ciò che hanno dentro; esse inoltre hanno poche occasioni o pochi luoghi per farlo; poi, come insegna l’esperienza, i contenuti dei mondi interiori sono più ricchi delle parole che le persone trovano per dirlo. I maestri di ogni tipo e i sacerdoti potrebbero imparare molto dall’esperienza umana che si rivela nella coscienza. Anche io mi associo ad un teologo molto conosciuto e affermato, Giuseppe Angelini, che invita a ‘dare la parola alla coscienza muta’.5

Una seconda attenzione riguarda l’apporto che possono dare ad una nuova cultura dell’amore e della sessualità le persone che non elaborano pensiero sistematico e che non insegnano nelle scuole. Ritengo che si debba ancor più seriamente di quanto già si fa, intraprendere una strada che valorizzi l’esperienza umana in tutte le sua manifestazioni. Ritengo perciò che la Chiesa debba cercare delle persone istruite, formate spiritualmente e teologicamente, che si dispongano a fare delle analisi fenomenologiche a partire dalla lettura di storie vere, narrazioni di avvenimenti accaduti (piccole e grandi storie tragiche e felici), opere di poeti e cantanti, romanzi e diari … Questa via può portare a convinzioni nuove, e quindi ad un cambio di atteggiamenti, molte persone che non hanno attitudine al pensiero astratto o non ne posseggono gli strumenti. In questa stessa direzione vanno le narrazioni a mo’ di testimonianze che si possono fare in piccoli gruppi.

Per terminare

Termino dicendo delle cose ovvie che però sono importanti e un pastore non può non dirle. A mio modo di vedere chiunque abbia in questo campo delle responsabilità pastorali o promozionali – compresi allora anche i medici e gli insegnanti dei metodi naturali – dovrebbe anche curare alcuni aspetti della sua personalità. Li elenco senza troppa cura di sistematicità. Deve voler bene alle persone e cercare di comprenderle; deve dialogare e quindi ascoltare molto sapendo però mantenersi vigile, in modo da non cadere in una qualche forma di solidarietà troppo simpatetica sì da dimenticare poi ciò che la Chiesa insegna. Per fare questo deve anche essere culturalmente curioso e sempre disponibile ad imparare; deve leggere e studiare. Deve poi avere umiltà e rimandare o ricorrere a chi ne sa di più sia nel livello culturale alto e scientifico e sia in quello dell’esperienza o della vita vissuta. Gli richiederei, in breve, un cuore di pastore il cui modello sappiamo bene dove si trova, e per trovarlo è sufficiente leggere il Vangelo pregando. Gli chiederei anche l’animo e lo stile dell’animatore, di chi cioè fa crescere quanto già trova presente nell’altro, ma non teme di dare qualche cosa di sé, sapere, vita e speranza. Vedo importante, infine, anche un altro aspetto della personalità, la disponibilità al colloquio prolungato compreso quello spirituale con la coppia o con il singolo a tu per tu.

Appendice: il progetto AMOS

Propongo alla lettura un progetto a cui anche io tempo addietro ho dato un po’ pensiero e lavoro. E’ in realtà il frutto di una collaborazione tra più persone, sposi, esperti, una religiosa e un sacerdote. Allora gli sposi erano insieme con me re
sponsabili della pastorale familiare del Piemonte: l’intuizione di fondo è stata loro.

Come nasce.

Si comincia e riflettere sull’insegnamento della Chiesa riguardante l’HV e i metodi naturali. Si constata che i giovani e le giovani coppie sono portatori di domande e di sane inquietudini, ma non sono disponibili ad accogliere ciò che la Chiesa insegna, la visione cristiana della sessualità e la regolazione naturale della fertilità. Bisogna creare un terreno che le renda sensibili; si decide di partire più da lontano con la speranza che possano essere anche più numerose le coppie interessate ad ascoltare. Si prendono in considerazione le difficoltà sulla sessualità con cui si misurano le giovani coppie: essa si presenta come un castello che affascina e insieme mette paura, un castello un po’ buio che sono costretti a visitare da soli … e senza luce.

Il progetto

Il nome: AMOS è acronimo di Amore Metodi naturali Orientamenti sulla Sessualità. Ricorda un profeta dallo stesso nome, che annuncia delle promesse … “in quel giorno rialzerò la capanna di Davide, che è caduta” (9, 11).

Il progetto naturalmente contempla una meta finale, obiettivi intermedi, contenuti, metodi e strumenti… affidati a dei responsabili. E’ sostanzialmente un progetto culturale (non fa movimento e non crea appartenenza). La sua finalità consiste nel preparare delle coppie di sposi o delle persone singole, al compito di svolgere nella comunità cristiana ruoli (1) di organizzatori e animatori impegnati a programmare attività o a gestire gruppi o corsi, oppure (2) di consulenti (per esercitare questo secondo compito è necessario però che vi sia oltre alla disponibilità della persona e la formazione specifica, una formazioni di base adeguata come è il caso di medici, psicologi, insegnanti…). Sono tutti volontari.

Come opera

Il pensiero è rigorosamente quello che l’Enciclica propone e suppone. La finalità è descrivibile come diffusione di una cultura dell’amore e della sessualità che dia valore alla persona umana. Vuole favorire l’assimilazione delle buone ragioni che persuadono e motivano la scelta dei metodi naturali. Chi vi opera deve disporsi a conoscere e a comprendere i giovani, i fidanzati e gli sposi mettendosi un po’ dalla loro parte e vedere le loro difficoltà, paure e perplessità.

NB. Far conoscere i metodi naturali, proporli e accompagnarne la pratica non rientra nelle finalità. Si colloca prima su di un terreno culturale formativo.

Obiettivi intermedi

Si riconducono a – conoscenza e confronto con altre attività similari (ad esempio, consultorio, centro metodi naturali) – a presa di contatto con diversi modi di affrontare gli stessi problemi (come altri soggetti o istituzioni fanno con diversa ideologia o pensiero o prassi) – conoscenza di come i vari mezzi di comunicazione espongono e trattano i problemi della sessualità e della procreazione – acquisizione di competenze culturali e tecniche per esercitare il ruolo di organizzatori, animatori o consulenti con altre coppie o persone – conoscenza delle presenze pastorali del territorio diocesano e presa di contatto con alcune di esse – conoscenza di sussidi e loro pratica per utilizzarli in modo personalizzato.

Stile operativo

Si riconduce fondamentalmente a quello della animazione o della consulenza. Quando si affrontano temi di contenuto in particolare la sessualità, si dà spazio al confronto delle coppie tra di loro e con gli esperti; questi a loro volta si distinguono per appartenenza a discipline teologiche oppure alle scienze umane: anch’essi vengono messi a confronto.

Le attività in fascia interna

Il progetto avendo una struttura di associazione è regolato da uno Statuto,perciò cura l’organizzazione, l’adempimento delle regole, la formazione dei soci e il loro aggiornamento.

Le attività in fascia esterna.

Contatti con enti e strutture (parrocchie, gruppi famiglia, scuole, consultori, associazioni…) e organizzazione di servizi. Si cerca ogni utile collaborazione con altri organismi o enti presenti sul territorio.

[Per ulteriori informazioni consultare: www.bussola.it/progettoamos]

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1 Cfr L’Osservatore Romano del 7/8 novembre 1988.

2 Cfr BENEDETTO XVI ai partecipanti al Convegno internazionale nel quarantesimo anniversario dell’Humanae Vitae in L’Osservatore Romano dell’11 maggio 2008.

3 Cfr GS n. 52 e HV n. 24.

4 Con la parola ‘presupposti’ intendo le teorie definite con il linguaggio scientifico e quindi non filosofico, e le loro argomentazioni anch’esse scientifiche.

5 Cfr Giuseppe ANGELINI, Educazione e identità di genere: il maschile e il femminile. Relazione tenuta il 23 ottobre 2004 a Torino nell’ambito del primo Convegno dell’Associazione Progetto Amos sul tema “Famiglia: insieme si può…”.

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ZENIT Staff

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