Italiane rapite in Siria. I terroristi di al Nusra: "Sono nelle nostre mani"

Entrano nel vivo i negoziati per liberare le giovani. Il video diffuso ieri, con le due in abiti islamici, fa crescere la preoccupazione per una contromossa che potrebbe alzare il prezzo del “riscatto”

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Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti italiane rapite in Siria il 31 luglio scorso, sono nelle mani del Fronte al Nusra, gruppo siriano legato ad al Qaida in opposizione all’Isis. A confermarlo è un esponente del gruppo terroristi poche ore dopo la diffusione del breve filmato in cui le due giovani dicevano di essere in grave pericolo e ‘supplicavano’ il governo italiano di intervenire per riportarle a casa prima di Natale. Ai media tedeschi l’uomo ha confermato di tenere in ostaggio “le due donne italiane, perché il loro Paese sostiene i raid in Siria contro di noi”.

Mentre il coinvolgimento è stato confermato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong con base a Londra, alcuni analisti hanno ritenuto la rivendicazione “non attendibile”, vissuta come una sorta di “interferenza”. Secondo le indicazioni fornite dai mediatori, infatti, le ragazze dovrebbero essere ostaggi del Free Syrian Army, l’Esercito Siriano Libero, e non si esclude che altri gruppi stiano tentando di inserirsi nei negoziati. Tra questi anche alcuni truffatori occidentali che, nelle scorse settimane, si sono proposti come intermediari.

Con il filmato diffuso su You Tube ieri – ‘datato’ tuttavia venerdì 17 dicembre 2013, come recita il foglio tenuto in mano da Vanessa –  i terroristi hanno voluto esercitare una maggiore pressione sui negoziati, evidentemente per chiudere la pratica il prima possibile. Un gesto che, secondo gli esperti della Farnesina, potrebbe inasprire i rapporti con l’Italia e portare a richieste di un riscatto più alto da parte dei sequestratori, pronti a “vendere” le due ragazze al miglior offerente o ad una seconda organizzazione disposta a sborsare denaro. Non a caso gli apparati di intelligence hanno chiesto “massimo riserbo”, perché – hanno detto – siamo “in una fase delicatissima”. 

Gli 007 dell’Aise e i carabinieri del Ros, da parte loro, procedono intanto ad un’analisi accurata del video alla ricerca di un dettaglio utile che possa far individuare la zona della Siria dove le ragazze sono segregate.

Le due giovani cooperanti erano partite la scorsa estate per aiutare la popolazione siriana martoriata dalla guerra civile con il Progetto Horryaty, da loro fondato. Originarie una di Brembate, nel Bergamasco, e l’altra di Besozzo, nel Varesotto, erano già al secondo viaggio nel Paese, nel giro di quattro mesi. Il primo si era svolto a marzo come sopralluogo per capire il da farsi.

Arrivate in Siria da Atma, a pochi chilometri di distanza dal campo profughi omonimo, le ventenni sono state rapite tre giorni dopo, esattamente il 31 luglio, in una zona vicino ad Aleppo. Da lì per cinque mesi si sono perse le loro tracce.

Il 20 settembre un quotidiano libanese lancia poi la notizia, mai confermata, che sarebbero state vendute due volte ad altri gruppi, senza però finire nelle mani degli jihadisti dello Stato Islamico (Isis), come molti temevano.

Un altro segnale è giunto poi a metà dicembre, quando si ha avuto la prova che le ragazze erano ancora in vita, rinchiuse in una casa “gestita” da donne. Tuttavia i negoziati col governo italiano hanno subito una battuta d’arresto e i rapitori avevano sconfessato il proprio mediatore ritenendolo “non attendibile”, facendo così perdere tempo prezioso e rendendo di fatto nulle le condizioni già prestabilite.

Tutto questo fino alla diffusione del video di ieri che, mostrando le due ragazze provate, dimagrite, coperte da vesti islamiche, segna una svolta nel processo di liberazione. E laddove, dona speranza per la salute delle due giovani, fa accrescere l’affanno per chi riuscirà a chiudere prima questa ‘partita’.

(S.C.)

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ZENIT Staff

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