Ed "ecumenico" lo è stato

Riflessioni sul Concilio Vaticano II / 3

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di Carmine Tabarro

ROMA, sabato, 24 novembre 2012 (ZENIT.org).– Altro grande merito del Vaticano II sta già nella sua denominazione ufficiale l’aggettivo “ecumenico”, secondo la prassi plurisecolare della Chiesa cattolica di contraddistinguere con quel termine i sinodi generali di tutti i vescovi del mondo. Ma “ecumenico”, nel senso di rispetto nei confronti dei cristiani delle altre confessioni e aperto al dialogo con loro, il Concilio lo è stato sia nella sua preparazione che nello svolgimento: basti pensare alla presenza di osservatori non cattolici a tutte le sessioni dell’intensa attività del Segretariato per l’unità istituito da papa Giovanni già durante la fase preparatoria.

Ed “ecumenico” il Concilio lo è stato anche, forse soprattutto, per il cambio di paradigma nel modo di intendere la ricerca dell’unità visibile dei cristiani: l’ecumenismo cessava di essere l’aspirazione utopicao il compito specialistico di qualche appassionato. Secondo le parole di Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint «l’ecumenismo, il movimento a favore dell’unità dei cristiani, non è soltanto una qualche appendice, che s’aggiunge all’attività tradizionale della Chiesa. Al contrario, esso appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione e deve, di conseguenza, pervadere questo insieme ed essere come il frutto di un albero che, sano e rigoglioso, cresce fino a raggiungere il suo pieno sviluppo. Così credeva nell’unità della Chiesa Giovanni XXIII e così egli guardava all’unità di tutti i cristiani».

Al Concilio Vaticano II parteciparono delegazioni luterane, anglicane e ortodosse.

Questa stagione ha fatto crescere la convinzione di “appartenenza organica” dell’ecumenismo alla vita della Chiesa. I suoi frutti hanno progressivamente operato un grande mutamento nei pastori e nei laici cristiani, passati da una situazione di ignoranza degli altri – se non, a volte, di disprezzo e di condanna – a una consapevolezza di doversi “convertire” tutti a una maggiore fedeltà alla volontà del Signore espressa nella preghiera al Padre durante l’ultima cena: «Siano una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17,21). Se diverse Chiese protestanti e ortodosse avevano già vissuto e realizzato un cammino ecumenico, per noi cattolici è stato il Concilio II ad essere «la bussola del nostro cammino» e a guidarci guidarci con sapienza e spirito evangelico dalla negazione alla possibilità concreta dell’ecumenismo.

Alcune delle speranze accese al momento del Concilio sono andate frustrate.  Eppure le speranze del Vaticano II non hanno ancora esauritola loro spinta profetica. Le parole del Decreto conciliare Unitatis redintegratio: «Coloro che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il Battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica. Non v’è dubbio che, per le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la Chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, impedimenti non pochi, e talora gravi, si oppongono alla piena comunione ecclesiastica, al superamento dei quali tende appunto il movimento ecumenico. Nondimeno, giustificati nel Battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore».

Sta a noi, mentre celebriamo il cinquantesimo anniversario di quella “Nuova Pentecoste”, far sì che queste parole si traducano in gesti quotidiani alimentati dalla preghiera e dalla conversione all’unico Signore della Chiesa che tutti professiamo come «una, santa, cattolica e apostolica».

Il Concilio Vaticano II ha portato alla “fine dell’esilio della Parola”,   sancita dal movimento biblico e dalla riforma liturgica voluta dal Vaticano II. La riscoperta operata dal Concilio Vaticano II della centralità della Bibbia nella chiesa cattolica era da secoli offuscata e financo smarrita, si esprime nella Dei Verbum attribuendo alla Scrittura il ruolo unificante dei quattro ambiti che costituiscono la vita della chiesa: nella liturgia infatti le Scritture “fanno risuonare… la voce dello Spirito santo” e per mezzo di esse “Dio viene … incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro” (DV 21); la predicazione “deve essere nutrita e regolata dalla sacra Scrittura” (DV 21); la teologia deve basarsi “sulla parola di Dio come fondamento perenne” e lo studio della Scrittura deve essere “come l’anima della teologia” (DV 24); la vita quotidiana dei fedeli deve essere segnata dalla frequentazione assidua e orante della Scrittura (cf. DV 25).

Altra grande visione profetica del Vaticano II riguarda  la ricchezza del significato dell’essere laico espresso nel cap. IV della Costituzione Dogmatica Lumen Gentium (nn. 30-38).

Al n. 31 dà una chiara definizione del termine laico.

«Col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla chiesa, i fedeli cioè che, dopo essere stati incorporati a Cristo con il battesimo e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano.»

La realtà secolare è propria del laico, mentre i membri dell’Ordine Sacro svolgono il loro ministero nell’ambito del sacro, ed i religiosi vivono la dimensione mondana nello spirito delle Beatitudini.

I laici cercano il regno di Dio trattando delle cose temporali e ordinandole secondo Dio. Ogni cristiano è impegnato in tutti i singoli doveri e affari del mondo e nella concreta situazione familiare e sociale. All’interno del tempo presente, il credente è chiamato da Dio, quasi come un fermento, a santificare il mondo sotto la guida dello Spirito Santo, a manifestare con la propria vita Cristo agli altri.

Ai laici viene riconosciuto il valore della partecipazione alla vita della Chiesa basandosi sulla loro qualità di membri della stessa, grazie al Battesimo e alla missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo stesso.

Inoltre ha emanato il Decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, ed è stata la prima volta nella Storia della Chiesa che un Concilio Ecumenico dedica uno spazio così rilevante ai laici.

Un aspetto significativo di tale documento è l’insistenza sul fatto che nelle parrocchie i consigli pastorali, uniscono clero e laici per organizzare in armonia l’opera di evangelizzazione e di santificazione delle singole comunità cristiane (n. 26).

Il problema della partecipazione dei laici, e non solo delle donne, alla vita e alla missione della Chiesa è un tema ancora si sente nel popolo di DIo, una diffusa e sincera attesa, almeno tra le file di coloro che condividono le ansie dei pastori, presbiteri vescovi e diaconi, di poter dare alla Chiesa un volto meno clericale e più evangelico; di poter valorizzare fin dove è possibile il sacerdozio battesimale accanto al sacerdozio ministeriale; di poter far sentire la propria voce non con toni contestativi ma in modo pacato e sereno, a partire dalle proprie competenze; di insegnare agli uomini di Chiesa un linguaggio più accessibile e comprensibile, di poter rappresentare la Chiesa non solo a titolo personale ma anche a titolo ecclesiale.

Ci sarebbero non pochi altri ambiti del vissuto ecclesiale da passare in rassegna, ma quelli accennati sono senz’altro i più importanti e ci sarebbe già molto da fare. Preghiamo il Signore perché dia forza e coraggio a chi detiene qualche responsabilità nella Chiesa, soprattutto perché susciti in essa qualche figura carismatica o profetica che sappia interpretare le istanze conciliari sopradette e, nello stesso tempo, possa far risuonare la voce di Dio tra di noi.

-Come prepararci all’Anno della fede.

Ovviamente il primo compito di
ogni pastore deve essere quello di conoscere (forse sarebbe più esatto dire studiare e meditare) e far conoscere i documenti conciliari il più possibile, in modo del tutto particolare ai collaboratori e collaboratrici dell’attività parrocchiale. Ci sono molte persone che si dedicano con grande generosità alla vita e all’azione pastorale delle varie comunità parrocchiali ma forse non sono ancora debitamente formate secondo lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II. Questo è certamente il primo modo di corrispondere all’invito e alle attese del Papa.

Il secondo dovere di tutti, presbiteri e fedeli laici, è quello di farsi carico, con il massimo senso di responsabilità, di tutto ciò che attiene alla vita della propria comunità di fede, mettendo in atto le proprie competenze e i propri carismi, vincendo ogni sorta di pigrizia pastorale che è nemica della condivisione fraterna, e cercando sempre con rispetto e determinazione le vie del dialogo intraecclesiale tra carismi diversi. Non dobbiamo dimenticare che ogni comunità di fede è chiamata a vivere la logica e i dinamismi di una famiglia con tutte le sue caratteristiche.

Il terzo compito che grava sulle spalle di tutti, nessuno escluso, è quello della preghiera, appunto perché sappiamo che solo un potente intervento di Dio in questa Chiesa potrà smuoverla dalle sue paure e dalle sue incertezze e orientarla verso traguardi più ariosi e fiduciosi. Pregare comporta avere fede che tutto è possibile a Dio, a quel Dio che ha suggerito a Giovanni XXIII di aprire un’assise conciliare per il bene della Chiesa e oggi può donare alla Chiesa la presenza di autentici profeti disposti a pagare di persona pur di vedere la Chiesa camminare sulle vie delle sane novità che il Vaticano II non ha mancato di indicare (vedi Presbyterorum ordinis, 22).

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ZENIT Staff

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