“Non dobbiamo dimenticare, non dobbiamo rassegnarci”. Questo l’appello del cardinale Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin di fronte alle tragiche notizie che giungono dalle aree di conflitto nel Medio Oriente, colpite dal cosiddetto Stato Islamico.
In un’intervista pubblicata oggi su L’Osservatore Romano, il porporato ribadisce l’impegno della Santa Sede a favore delle migliaia di persone nella regione perseguitate a causa della loro fede. Ricorda poi l’importante Concistoro del prossimo 20 ottobre, che vuole “dedicare una riflessione sulla drammatica situazione che da tempo si vive nella regione” e “manifestare la vicinanza e la solidarietà, da parte del Papa e di tutta la Chiesa”, verso le vittime del conflitto.
Il Concistoro avviene a poco più di due settimane dall’incontro dei nunzi apostolici nel Medio Oriente convocato in Vaticano, al quale hanno partecipato pure i Capi Dicastero della Curia romana che hanno responsabilità dirette verso la Chiesa cattolica in Medio oriente. “Questi rappresentanti del Papa – spiega Parolin nell’intervista – danno voce in ambiti multilaterali alla posizione della Santa Sede su diverse questioni e intrattengono continui contatti con i rappresentanti diplomatici di numerosi Paesi”.
Nell’incontro di sabato 4 ottobre è stato possibile quindi “un ricco scambio di informazioni e una valutazione della situazione partendo dall’esperienza diretta sul terreno per valutare cosa può fare la Chiesa e cosa può essere richiesto alla comunità internazionale e venire incontro alla triste situazione attuale”.
In particolare, afferma il porporato, i diversi rappresentanti vaticani hanno ascoltato “con commozione e grande preoccupazione” la testimonianza delle atrocità inaudite perpetrate soprattutto dai fondamentalisti dell’Isis: “le decapitazioni, la vendita di donne al mercato, l’arruolamento di bambini in combattimenti sanguinosi, la distruzione dei luoghi di culto”. Crimini che hanno costretto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle proprie case e cercare rifugio altrove in condizioni di precarietà.
“Sono persone umiliate nella loro dignità e sottoposte a sofferenze fisiche e morali” – denuncia il Segretario di Stato – per cui si è riaffermato “il diritto di fare ritorno e di vivere in sicurezza nel proprio Paese e nel proprio ambiente”. Un diritto che, dice, “deve essere sostenuto e garantito tanto dalla comunità internazionale quanto dagli Stati di cui essi sono cittadini”.
Nel corso dell’intervista il cardinale spiega poi che “alla radice dello sradicamento forzato di milioni di persone nel Medio Oriente sta una conflittualità violenta e disumana che vede coinvolti apertamente o nella penombra gruppi di mercenari, gruppi non statali, potenze regionali e globali”. “La scelta della lotta armata, invece del dialogo e del negoziato, moltiplica la sofferenza di tutte le popolazioni coinvolte”, evidenzia, ribadendo che “la via della violenza porta solo alla distruzione”, mentre quella della pace “porta alla speranza e al progresso”.
Il primo passo urgente “per il bene della popolazione della Siria, dell’Iraq, e di tutto il Medio oriente” è quindi di “deporre le armi e dialogare”: “La distruzione di città e villaggi, l’uccisione di civili innocenti, di donne e bambini, di giovani reclutati o forzati a combattere, la separazione di famiglie – afferma Parolin – ci dicono che è un obbligo morale per tutti dire basta a tanta sofferenza e ingiustizia e cominciare un nuovo cammino in cui tutti partecipino con uguali diritti e doveri come cittadini impegnati nella costruzione del bene comune, nel rispetto delle differenze e dei talenti di ciascuno”.
Un pensiero va anche al traffico delle armi che è alla base di tutte le guerre. “Speculare e guadagnare sulla vita degli altri suscita serie questioni etiche”, osserva Parolin, “più le armi diventano disponibili, più facile diviene la tentazione di usarle”. E per quanto riguarda lo Stato Islamico “bisognerebbe anche prestare attenzione alle fonti che sostengono le sue attività terroristiche attraverso un più o meno chiaro appoggio politico, nonché tramite il commercio illegale di petrolio e la fornitura di armi e tecnologia”.
Alla domanda se sia lecito l’uso della forza per fermare i terroristi, il cardinale ribadisce che “è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre però nel rispetto del diritto internazionale”, perché “non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare”.
Da parte sua, la comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite e le strutture dedicate a simili emergenze, “dovrà agire per prevenire possibili genocidi e per assistere i numerosi rifugiati che rischiano una vita di stenti e una morte lenta ma certa”. In questo impegno sono coinvolti anche i leader delle diverse religioni che – sottolinea il porporato – “possono e debbono svolgere un ruolo fondamentale per favorire il dialogo tra le religioni e le culture, e l’educazione alla reciproca comprensione”.
Essi, inoltre, “devono denunciare chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza”. Nel caso concreto del cosiddetto Stato islamico “una responsabilità particolare ricade sui leader musulmani non soltanto per sconfessare la sua pretesa di formare un califfato e di denominarsi ‘Stato Islamico’, ma anche per condannare più in genere le pratiche indegne dell’uomo commesse dagli estremisti, come l’uccisione delle persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa”.
Quindi, evidenzia il Segretario di Stato vaticano, per rispondere alla grave emergenza umanitaria nella regione, “è necessaria una rinnovata volontà di solidarietà da parte della comunità internazionale e delle sue strutture umanitarie per provvedere cibo, acqua, abitazione, educazione per i giovani, assistenza medica, per gli sfollati e rifugiati in tutto il Medio Oriente”.
“Le cifre del dramma umanitario sono sconvolgenti”, aggiunge, “e dietro ogni numero c’è una persona concreta che soffre, un nostro fratello che ha bisogno di aiuto”. Per questo, conclude, “sento come una responsabilità di tutta la Chiesa sostenere con la preghiera e con ogni mezzo possibile i nostri fratelli cristiani che confessano la loro fede in Medio Oriente e incoraggiarli a continuare a essere nelle loro terre una presenza significativa per il bene di tutta la società. E a tutti rivolgo un accorato appello: non dobbiamo dimenticare e non dobbiamo rassegnarci”.