di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 17 ottobre 2011 (ZENIT.org) – Ieri 16 ottobre a Roma è stata ricordata la razzia che i nazisti fecero nel ghetto ebraico.
Un’azione barbara e disumana. Erano le cinque e mezza di una mattina piovosa del 16 ottobre 1943, quando i nazisti entrarono con forza nelle abitazioni per deportare uomini, bambini, donne e anziani.
Più di mille ebrei vennero presi, destinati insieme a tanti altri in Europa ad essere eliminati.
Ma proprio quando i nazisti accecati dall’odio razziale stavano per mettere in pratica la “soluzione finale”. Quando sembrava che per gli ebrei sembrava che il destino fosse inevitabilmente segnato, migliaia di eroi sconosciuti misero a repentaglio la loro vita, quella dei congiunti, dei confratelli e delle consorelle per salvare i perseguitati.
Nonostante le divisioni segnate dalle leggi razziali ed il rischio di perdere la vita, le porte di chiese e conventi, collegi e università pontificie, si aprirono agli ebrei per accoglierli e proteggerli come fratelli. Storie commoventi e struggenti, molte delle quali non compaiono ancora sulle pagine dei libri di storia.
L’albero della vita così duramente colpito dalle offese della guerra, dalla divisione politica e dall’intolleranza razziale, continuò ad essere alimentato dal coraggio e dalla carità di migliaia di persone. Grazie alle indicazioni precise impartite dal Pontefice Pio XII, l’opera di assistenza delle istituzioni ecclesiastiche fu immensa.
Secondo lo storico Emilio Pinchas Lapide, già console generale di Israele a Milano “La Santa Sede, i nunzi e la Chiesa cattolica hanno salvato da morte certa tra i 700.000 e gli 850.000 Ebrei”.
E Luciano Tas autorevole rappresentante della comunità ebraica romana ha scritto nella ‘Storia degli ebrei italiani’ che “centinaia di conventi, dopo l’ordine in tal senso impartito dal Vaticano, accolsero gli ebrei, migliaia di preti li aiutarono, alti prelati organizzarono una rete clandestina per la distribuzione di documenti falsi…”.
L’opera di protezione della Chiesa è ampiamente testimoniata anche dalla percentuale di cattolici che ha ricevuto la medaglia di giusti tra le nazioni.
Lo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah, istituito nel 1953 con il compito di ricordare i Giusti fra le Nazioni, che rischiarono le loro vite per aiutare gli ebrei durante la Shoah, annoverava alla fine del 2010 circa 23,788 Giusti tra le Nazioni.
La stragrande maggioranza di questi Giusti è cattolica, e notevole è la percentuale anche di membri del clero, tra cui cardinali, Vescovi, sacerdoti, suore e religiosi, molti dei quali persero la vita per salvare gli ebrei.
Liana Millu, sopravvissuta al lager di Auschwitz ha ricordato che in quegli anni di guerra “uomini e donne hanno potuto mostrare il meglio o il peggio di sé”.
Il male perpetrato è stato così grande che molti hanno dubitato della presenza di Dio.
Ma come ha spiegato San Paolo “Dio non è mai stato assente, anche quando la gente ha adorato gli idoli” Sappiamo infatti che a fronte di tanto male ci fu tanto bene. Il sangue e le sofferenze di ognuno di quegli eroi sconosciuti ha salvato l’umanità.
Si scopre così che il sentimento di carità, l’amore per gli altri, soprattutto verso coloro che erano più deboli e perseguitati è un atto che riesce a sconfiggere anche la morte.
Questo è il motivo per cui anche la sofferenza può essere piena di significato.
A questo proposito indicative le storie di Odoardo Focherini e Mafalda Pavia.
Odoardo Focherini morto a 37 anni, non era un supereroe. Padre di sette figli, direttore dell’Azione cattolica ed amministratore de l’Avvenire d’Italia, salvò 105 ebrei dalla deportazione, ma venne catturato dai tedeschi e portato nei lager di Hersbruck dove morì il 27 dicembre del 1944.
Nella sua ultima lettera ha scrito: “I miei sette figli … vorrei rivederli prima di morire. Tuttavia accetta o Signore anche questo sacrificio e custodiscili tu, insieme a mia moglie, ai miei genitori, a tutti i miei cari. Dichiaro di morire nella più pura fede cattolica apostolica romana e nella piena sottomissione alla volontà di Dio, offrendo la mia vita in olocausto per la mia diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo. Vi prego di riferire a mia moglie che le sono sempre fedele, l’ho sempre pensata e sempre intensamente amata”.
Mafalda Pavia, una dottoressa di fede ebraica, libera docente universitaria in Clinica Pediatrica, fu salvata da San Giovanni Calabria, che la nascose nel noviziato delle ‘Povere Serve della Divina Provvidenza’ di Roncà in provincia di Verona.
Il un libro di lettere inviate a San Giovanni Calabria la dottoressa Pavia ha scritto: “Gesù questo fratello sublime si è offerto al nostro popolo”.
“Sublime quest’Ebreo che si è offerto in olocausto per tutti i peccati degli uomini… quest’Uomo che par morire ogni anno, ogni giorno, ogni minuto per la cattiveria di tutti, di ieri, di oggi, di domani … quest’Uomo che par risuscitare ad ogni istante quasi per darci la dolcissima speranza del perdono divino”.
La vicenda di Odoardo Focherini e di Mafalda Pavia sono esempi di come seppure in una lotta impari, il bene possa vincere sul male, e come dove abbonda il peccato sovrabbonderà la grazia.
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