L'appello di Benedetto XVI per la dignità dei detenuti

Durante la visita a Rebibbia, il Papa deplora il sovraffollamento delle carceri

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ROMA, domenica, 18 dicembre 2011 (ZENIT.org) – Un appello contro il sovraffollamento delle carceri e per la dignità dei detenuti, perché non debbano scontare una “doppia pena”. Lo ha raccomandato papa Benedetto XVI nel corso della sua visita alla Casa Circondariale di Rebibbia, tenutasi questa mattina.

Il Santo Padre è giunto a Rebibbia intorno alle 10, accolto dal Ministro della Giustizia, Paola Severino, da Franco Ionta, Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, da Carmelo Cantone, direttore dell’Istituto, e da don Per Sandro Spriano e don Roberto Guarnieri, cappellano del carcere.

L’incontro con i detenuti, durato circa un’ora, è avvenuto nella cappella “Padre Nostro” della Casa Circondariale di Rebibbia. Il Papa ha innanzitutto ricordato ai reclusi la frase evangelica: «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36). Parole che “esprimono in pienezza il senso della mia visita odierna tra voi”, ha detto.

La visita ai carcerati, ha rammentato il Pontefice, è da sempre annoverata tra le opere di misericordia corporale, come ribadisce anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (2447).
La questione della dignità dei detenuti è stata affrontata di recente da Benedetto XVI nell’Esortazione apostolica Africae Munus, firmata lo scorso mese durante il viaggio pastorale in Benin.

A tal proposito il Santo Padre ha menzionato ai detenuti il passaggio del documento in cui raccomanda l’adozione di “sistemi giudiziari e carcerari indipendenti, per ristabilire la giustizia e rieducare i colpevoli”.

L’Esortazione, poi, deplorava “le incarcerazioni che non sfociano se non tardivamente o mai in un processo” e sollecitava un trattamento umano nei confronti dei detenuti, persone “nonostante il crimine”, meritevoli di “rispetto e dignità”.

Il Vescovo di Roma si è poi soffermato sulle notevoli differenze tra giustizia umana e giustizia divina. Sebbene gli uomini non siano “in grado di applicare la giustizia divina”, è necessario che comunque si ispirino ad essa per coglierne lo “spirito profondo”, illuminare la giustizia umana ed evitare che “il detenuto divenga un escluso”.

“Dio, infatti, è colui che proclama la giustizia con forza, ma che, al tempo stesso, cura le ferite con il balsamo della misericordia”, ha aggiunto il Santo Padre.

La giustizia divina trova il suo riscontro evangelico nella parabola dei vignaioli (Mt 20,1-16), dove il padrone della vigna retribuisce in modo uniforme tutti i suoi operai, indipendentemente dalla qualità delle prestazioni. “Nell’ottica umana – ha commentato il Papa – questa decisione è un’autentica ingiustizia, nell’ottica di Dio un atto di bontà, perché la giustizia divina dà a ciascuno il suo e, inoltre, comprende la misericordia e il perdono”.

La miglior realizzazione possibile della giustizia umana è quindi il suo “compimento nell’amore verso chi è nel bisogno”. Essa sarà tanto più perfetta quanto sarà animata dalla carità “per Dio e per i fratelli”.

Successivamente Benedetto XVI ha auspicato il costante rispetto dei due capisaldi intorno a cui ruota il sistema di detenzione: la tutela della società da eventuali minacce e la reintegrazione del reo nella società, senza che si calpesti la sua dignità.

Il dramma del “sovraffollamento” e del “degrado” delle carceri è qualcosa che può “rendere ancora più amara la detenzione”, ha sottolineato il Papa, confidando di aver ricevuto varie lettere di detenuti che denunciano il problema.

A questo proposito il Santo Padre ha auspicato un sistema carcerario che non condanni i detenuti a una “doppia pena” e che “nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione”.

A conclusione del proprio discorso il Papa ha rivolto ai detenuti gli auguri di Natale: “Il Bambino di Betlemme sarà felice quando tutti gli uomini torneranno a Dio con cuore rinnovato – ha detto il Pontefice -. Chiediamogli nel silenzio e nella preghiera di essere tutti liberati dalla prigionia del peccato, della superbia e dell’orgoglio: ciascuno infatti ha bisogno di uscire da questo carcere interiore per essere veramente libero dal male, dalle angosce e dalla morte”.

Dopo aver risposto alle domande dei detenuti, Benedetto XVI ha terminato l’incontro con la “Preghiera dietro le sbarre” (composta da un recluso), la recita del Padre Nostro e la Benedizione Apostolica. Prima di lasciare la Casa Circondariale di Rebibbia, il Papa ha benedetto un cipresso piantato nel piazzale antistante la cappella del carcere, a ricordo della sua visita.

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ZENIT Staff

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