di Antonio Gaspari
CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 10 novembre 2012 (ZENIT.org).- Accogliendo la richiesta del promotore di giustizia, Nicola Picardi, il tribunale della Città del Vaticano ha condannato Claudio Sciarpelletti, il tecnico informatico della Segreteria di Stato, a quattro mesi di reclusione per favoreggiamento.
La pena è stata ridotta a due mesi di reclusione, per “lo stato di servizio e la mancanza di precedenti penali”.
Secondo il Tribunale Vaticano Sciarpelletti avrebbe aiutato ad “eludere le investigazioni dell’autorità”, nell’ambito dell’inchiesta che hanno portato all’arresto ed alla condanna di Paolo Gabriele già aiutante di camera del Papa, per “furto aggravato di documenti riservati”.
I magistrati hanno concesso la sospensione della pena “per cinque anni” e la non menzione della condanna nel casellario giudiziario a patto che Sciarpelletti non commetta altri reati.
Nell’ambito delle indagini, Sciapelletti era stato arrestato dopo il ritrovamento, in un cassetto della sua scrivania, di una busta con il timbro dell’Ufficio informazione della Segreteria di Stato e una scritta che indicava Paolo Gabriele.
Nel corso della requisitoria il pm Picardi ha spiegato che Sciarpelletti avrebbe “ostacolato l’accertamento della verità”, perché al momento dell’arresto avvenuto il 25 maggio scorso avrebbe fornito due differenti versioni in merito a chi gli aveva consegnato la busta con documenti trovata nel suo cassetto.
All’inizio Sciarpelletti disse che la busta con documenti riservati gli era stata data da Paolo Gabriele. Il giorno dopo disse che in realtà la busta gli era stata consegnata da mons. Carlo Maria Polvani, responsabile dell’ufficio informazione della Segreteria di Stato, affinché la consegnasse a Paolo Gabriele.
Monsignor Polvani è nipote di monsignor Carlo Maria Viganò, Nunzio Apostolico a Washington negli USA.
Monsignor Viganò è stato al centro dell’attenzione dei media a livello internazionale per una lettera riservata inviata al cardinale Segretario di Stato in cui lamentava ingiustizie e cospirazioni nei suo confronti.
La lettera di monsignor Viganò era stata resa pubblica da una trasmissione televisiva, dando vita all’inchiesta vaticana per il furto aggravato di documenti riservati.
Sostenuto dalla deposizione di quattro testimoni voluti dalla difesa, Sciarpelletti ha confermato la sua dedizione alla Santa Sede. Ha detto che non conosceva il contenuto della busta e che aveva dimenticato di averla riposta in un cassetto inutilizzato.
Sciarpelletti ha affermato di non ricordare chi gli avesse consegnata la busta, ed in evidente contraddizione con quanto sostenuto al momento dell’arresto, ha escluso che siano stati Paolo Gabriele o mons. Carlo Maria Polvani.
Da parte sua mons. Polvani, ha precisato che il timbro rilevato sulla busta, oggetto del processo, è facilmente accessibile perché riposto in un corridoio frequentato da molte persone, anche dallo stesso Sciarpelletti.
“Per quanto mi risulta – ha rilevato – Sciarpelletti e Gabriele erano buoni amici”.
Prima di entrare nel dettaglio della vicenda, il responsabile dell’ufficio informazione della Segreteria di Stato ha ringraziato il tribunale Vaticano, i gendarmi e i suoi superiori di non avere avuto dubbi sul suo conto.
“Affermo solennemente – ha sottolineato mons. Polvani – di non aver mai confezionato, sottratto, trasferito o passato alcun documento coperto da segreto di ufficio. Per me queste cose sono totalmente impensabili. Lo giuro sul battesimo e sul sacerdozio”.
Su sollecito dei magistrati Paolo Gabriele ha scagionato monsignor Polvani ed ha detto che è stato lui ad aver consegnato a Sciarpelletti i documenti contenuti nella busta.
Nel briefing seguito alla sentenza il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha precisato che “la magistratura ha detto che l’istruttoria non è chiusa. Dipenderà ora dagli inquirenti. E’ chiaro che la storia non è finita”.
In merito all’eventualità di un licenziamento di Sciarpelletti, padre Lombardi ha affermato: “Non penso. Bisogna innanzitutto vedere se la difesa di Sciarpelletti farà ricorso in appello ma mi par di capire che ci sia l’intenzione di non aggravare le conseguenze”.