di Paolo Lorizzo*
ROMA, sabato, 24 novembre 2012 (ZENIT.org).- E’ praticamente impossibile allo stato dei fatti stabilire la reale estensione di quello che gli studiosi identificano come Palazzo Sessoriano, in parte situato sottola Basilica di S. Croce in Gerusalemme.
Visibile presso l’area dell’Esquilino, questa meravigliosa residenza venne cosi definita a partire dall’inizio del IV secolo d.C. (il significato è legato alla parola ‘sedeo’, indicante un luogo di soggiorno ma anche riunione) quando l’imperatrice Elena, madre dell’imperatore Costantino, vi trasferì la sua residenza posta nei pressi dei cosiddetti Horti Variani. Il ruolo di rappresentanza del Palazzo Imperiale è forse più rilevante di quello residenziale. Sappiamo infatti che prima dell’ampliamento esisteva una villa residenziale che soltanto in seguito all’interessamento dell’Impero assunse una duplice funzione, tra l’altro ricordata da papa da papa Sisto III quando qui convocò un concilio ‘in Basilica Eleniana quae dicitur Sessorium’ coinvolgendo non soltanto il consesso clericale, ma anche l’Imperatore Valentiniano III e l’intero Senato Romano. Anche papa Simmaco nel 501 convocò in questo luogo una seduta del concilio romano (‘in Hierusalem basilica Palatii Sessoriani’) appena un anno dopo l’assassinio di Odoino, suo ufficiale romano giustiziato ‘in palatium quod pellantur Sessorium’ perché ritenuto traditore.
Le notizie prettamente politiche legate al Palazzo Sessoriano e fornite dal Liber Pontificalis, si legheranno con il trascorrere dei secoli ad attività più strettamente religiose, segno dunque che l’antico palazzo cade in disuso ed acquista sempre più importanza la chiesa che sorge su una parte dei suoi resti. Nonostante la sua inevitabile decadenza, l’identità del palazzo resta conosciuta almeno fino al XIII secolo a cui si fa costantemente riferimento quando si allude alla chiesa. Questa identità va gradualmente perduta fino all’inizio del ‘500 quando l’Anonimo Magliabechiano, facendo riferimento al ritrovamento di una statua che viene erroneamente attribuita a Venere, parla di un ‘templum Veneris et Cupidinis’ testimoniando che l’antico edificio residenziale non soltanto aveva perso la sua originale attribuzione ma probabilmente era ridotto ad un rudere, ampiamente spogliato dai saccheggiatori di tutti i preziosi arredi marmorei e decorativi. Tali saccheggi furono probabilmente perpetrati a partire dal 1144 anno da papa Lucio II, sotto il cui pontificato venne avviata la costruzione di un convento per il quale fu necessaria una grande quantità di materiale da costruzione. Nel XVI secolo infatti quando il Terribilini descrive il giardino della chiesa, sottolinea la presenza di molte vestigia che emergono qua e là nel terreno dove ‘si esercitavano in giostra i cavalli’, chiaro riferimento alla struttura circense degli Horti Variani, ma nessun riferimento al palazzo sessoriano. Il circo Variano prende il nome dall’imperatore Eliogabalo (Sesto Vario Avito Bassiano) sulla cui spina era collocato il cosiddetto ‘Obelisco di Antinoo’ fatto trasportare a Roma dall’imperatore Adriano, ma qui fatto ricollocare dallo stesso Eliogabalo. L’obelisco è attualmente visibile sul Pincio.
Il rinascente interesse topografico di questa zona identifica tutta l’area come Templum Veneris et Cupidinis così come riportato nelle piante di Bartolomeo Mariano e Giacomo Toorliet senza fare nessun riferimento al Sessorio.
Una pianta del Nolli del 1748 testimonia chiaramente come all’epoca l’area era completamente campagna, status che si protrasse fino a quando Roma non venne insignita del ruolo di capitale e fu costretta a rispondere a determinate esigenze urbanistiche. In quest’area vennero infatti costruite le case dei dipendenti delle ferrovie e successivamente la caserma del Principe del Piemonte. Gli scavi riportarono alle luce in vari punti notevoli tracce del palazzo sessoriano che oggi sappiamo formato anche dall’Anfiteatro Castrense (il secondo anfiteatro di Roma dopo il Colosseo) e un grandioso impianto termale di cui attualmente rimane la grande cisterna di Via Eleniana, costituita da dodici ambienti comunicanti tra loro tramite aperture ad arco. L’anfiteatro Casternse era formato da una facciata con tre ordini di arcate scandite da lesene e semicolonne con capitelli in stile corinzio e all’interno un unico ordine di gradinate con capienza piuttosto limitata, proprio per il suo carattere spiccatamente privato (successivamente inglobato nella costruzione delle Mura Aureliane).
Un altro edificio facente parte del complesso è il Tempio di Venere e Cupido, formato da una grande aula rettangolare absidata con cinque grandi finestre ad arco, coperta da una semicupola.
Nelle vicinanze gli scavi hanno riportato alla luce i resti di un’abitazione di età imperiale, che si attribuisce ad Aufidia Cornelia Valentilla.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.
[La seconda parte verrà pubblicata sabato prossimo, 1° dicembre]